Istruzione

Cambiare la scuola. Il ruolo dei libri digitali

Il processo di cambiamento nella scuola è centrale per lo sviluppo della cultura digitale nel nostro Paese. In questo, il tema dei libri digitali è una parte certamente importante, ma forse è ancora più dirompente la caduta dell’obbligo di adozione dei libri di testo

Pubblicato il 02 Ott 2013

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Negli ultimi mesi l’attenzione sui temi del digitale nella Scuola è stata in gran parte focalizzato sulle decisioni di rinvio o meno rispetto all’obbligo di utilizzo dei libri digitali.

Poca attenzione è stata invece dedicata all’ottima e ampia analisi realizzata dall’OCSE e di cui da qualche settimana è disponibile la documentazione completa del report.

Credo che il tema dell’utilizzo dei libri digitali nella scuola sia stato viziato dal vincolo dell’obbligo di adozione dei libri di testo, vincolo che è stato superato dal recente “Decreto Istruzione” e che rappresenta una delle novità principali di questo provvedimento.

Come hanno ampiamente dimostrato diversi progetti realizzati nelle Scuole italiane, di cui il più famoso e ampio è BookInProgress, la definizione dei materiali e dei contenuti didattici può essere effettuata valorizzando le esperienze e le competenze dei docenti, oltre che essere frutto di un lavoro collaborativo e creativo realizzato con gli studenti. In diverse scuole si è fatta la strada la pratica di utilizzo di piattaforme come Moodle per la condivisione delle lezioni e per la loro fruizione a distanza permettendo così anche l’attuazione dell’approccio delle “flipped classroom”. Esperienze innovative che funzionano, ma ancora troppo rare e isolate.

Se queste esperienze vengono gestite in rete tra le scuole, esse diventano patrimonio il cui valore è dato anche dal continuo arricchimento e affinamento, la stessa qualità dipendente dal loro grado di aggiornamento. L’importanza di questi progetti risiede anche nella spinta che viene data così all’evoluzione dell’offerta da parte degli operatori specializzati, la cui produzione digitale può essere attrattiva soltanto se, in termini tecnologici e di contenuti di approfondimento, riesce a collocarsi in modo complementare rispetto alla dotazione di base dei contenuti digitali di cui possono disporre le scuole semplicemente con la valorizzazione di quanto realizzato negli anni.

Per questo è importante l’eliminazione del vincolo dell’obbligo di adozione, richiesto da più parti e oggetto di diverse proposte di emendamento all’ultimo decreto “Crescita 2.0” del governo Monti, relegando ai soli contenuti di approfondimento i libri consigliabili dal collegio dei docenti. Così, di fatto si restituisce ai docenti e alle scuole la possibilità di plasmare l’offerta formativa con un rapporto di maggior forza nei confronti degli operatori specializzati, la cui innovazione nei contenuti non è stata sempre in linea con le esigenze dei nuovi schemi di apprendimento, concretizzandosi in diversi casi nella semplice digitalizzazione dei testi cartacei. Libro digitale significa invece prima di tutto supporto multimediale per percorsi di apprendimento non predefiniti, ipertestuali, navigazione in rete, esplorazione dei contenuti, come in parte inizia ad essere specificato nell’allegato al Decreto Ministeriale del 27 settembre.

In questa situazione il punto di attenzione non è più l’introduzione o meno del libro digitale per editto ministeriale, ma quanto le scuole sono in grado di guidare questo processo di cambiamento che impatta fortemente sull’approccio alla didattica, ma che parte anche da una evoluzione di natura organizzativa. Un cambiamento che richiede una revisione profonda del Piano Nazionale della Scuola Digitale, incompleto, privo dell’identificazione di obiettivi che consentano la misurazione del successo dell’iniziativa, non correlato ad un sempre più necessario Progetto-Paese per lo sviluppo della cultura digitale.

Quali gli ingredienti di questo cambiamento, almeno nell’ambito dell’introduzione dei libri digitali e della transizione verso una nuova didattica?

In gran parte sono stati individuati dal Rapporto OCSE, e su alcuni di questi sembra che il “Decreto Istruzione” muova i primi passi:

a) sviluppo delle competenze digitali dei docenti e dei dirigenti, attraverso percorsi di formazione obbligatoria (punto previsto nel decreto, anche se con risorse limitate) e strettamente correlati con un sistema di gestione delle competenze, e con i programmi e il contesto della singola realtà scolastica, spingendo su approcci pragmatici e basati sull’attuazione immediata di quanto appreso, valorizzando le modalità di peer-education ma anche prevedendo il contributo attivo e creativo dei tirocinanti/stagisti;

b) sviluppo delle pratiche di knowledge sharing e knowledge management, finalizzate sia alla produzione di contenuti digitali da condividere nelle reti di scuole, sia allo sviluppo di una cultura dello scambio e dell’arricchimento, oltre che della valorizzazione delle esperienze come patrimonio comune, con un’attribuzione di importanza tale da richiedere una previsione di risorse e di organismi dedicati alla gestione (come l’INDIRE), nella logica del “Make knowledge sharing an engaging experience for teachers”, come raccomandato dal rapporto OCSE;

c) trasformazione dei progetti pilota in modalità organiche di gestione (della didattica, della gestione degli spazi, dell’organizzazione dei tempi), passando (come consigliato dal rapporto OCSE) da una configurazione di isole di eccellenza (es. Cl@ssi 2.0) ad una di diffusione generalizzata dell’innovazione (es. Scuole 2.0);

d) riorganizzazione delle singole realtà scolastiche, sia dal punto di vista della cultura organizzativa sia dal punto di vista del funzionamento, cercando di intervenire sull’errore che ha portato all’aggregazione ipertrofica degli istituti, in modo da articolare il loro funzionamento secondo una logica di unità snelle e interdipendenti.

Naturalmente nulla è realizzabile se allo stesso tempo non si interviene sul livello delle infrastrutture (edilizia e reti) e delle dotazioni elettroniche di ciascuna aula. La sfida didattica si può vincere, infatti, se ciascuna aula ha la dotazione elettronica adeguata. E così docenti e studenti (e su questo punto il Decreto Ministeriale del 27 settembre rimanda purtroppo ad un successivo provvedimento).

Allo stesso tempo, e non prima: perché le infrastrutture e le dotazioni da sole non sono sufficienti (secondo i dati Eurispes-Telefono Azzurro solo il 3,9% degli studenti della scuola primaria e il 10% di quelli della scuola secondaria affermano di utilizzare la rete quotidianamente a scuola).

Le risorse sono certamente un nodo critico, ma possono essere di aiuto alcune riflessioni di indirizzo, come:

· grazie al knowledge management, alle capacità di produzione, i costi dei materiali didattici possono ridursi in modo significativo;

· grazie a modalità innovative di acquisto e di spinta alla ricerca, possono essere utilizzate dotazioni tecnologiche a bassissimo costo (vedi ad esempio l’esperienza del micro PC della RaspBerry Pi Foundation e dei pc basati sulla piattaforma Arduino, oltre che i computer rigenerati grazie all’uso di Linux);

· con modalità di finanziamento “matching funds” (l’istituzione dà le risorse in misura uguale a quelle che la scuola riesce a ricevere dai privati) si può sviluppare un meccanismo virtuoso di proattività e di interazione e scambio con il territorio.

Non solo: con una consapevolezza che dovrebbe essere diffusa e che dovrebbe pesare nell’attribuzione delle priorità (e forse qui nuoce gravemente anche la perdurante assenza di una Agenda Digitale Italiana), stiamo parlando del più grande investimento sul futuro della nostra società.

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