il punto

Amministrazioni open e innovative: esempi di nuove cittadinanze possibili

Esempi di nuova cittadinanza digitale, aperta e collaborativa. Diamo voce a quelle amministrazioni che hanno preso molto sul serio le opportunità offerte dall’innovazione tecnologica per rispondere alle esigenze dei cittadini e alle problematicità dei loro territori e dare nuovi stimoli alle imprese

Pubblicato il 18 Mag 2017

Alessandra Talarico

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Si è ormai consolidata, anche in Italia, l’idea che gli Open Data siano la linfa della società della conoscenza 2.0.

Si sente parlare, sempre più spesso, di “empowerment dei cittadini” legato alla possibilità di controllare l’operato delle pubbliche amministrazioni attraverso i dati da esse resi pubblici in nome della trasparenza, ma anche di una maggiore inclusione e partecipazione delle persone alle attività decisionali delle amministrazioni.

Ma, al di là delle parole e della narrazione, come si concretizza tutto questo? Gli Enti locali – Comuni e Regioni – stanno davvero attuando una trasformazione digitale all’altezza delle aspettative? E in che modo, nel co8ncreto, l’implementazione delle nuove tecnologie per le smart city, si declina in un vero e proprio vantaggio quotidiano per le PA e i cittadini?

Nel nostro piccolo stiamo cercando di dare voce a quelle amministrazioni che hanno preso molto sul serio le opportunità offerte dall’innovazione tecnologica per rispondere alle esigenze dei cittadini e alle problematicità dei loro territori e, perché no, per offrire alle imprese nuovi strumenti di business.

Nel realizzare il proprio modello di Smart City, ad esempio, il comune di Torino ha pensato bene di coinvolgere i cittadini in un processo di co-creazione volto a  “trasformare i cittadini stessi nella sostanza della città smart, coinvolgendoli e valorizzandone il contributo”, come ci ha spiegato Antonio Murciano, del Team di Innovazione della Città di Torino.

Al di là degli innumerevoli vantaggi rappresentati dall’utilizzo di sensori IoT in termini di riduzione dei consumi (impatto ambientale), di risparmio sui costi, di aumento della sicurezza e di migliore programmazione degli investimenti pubblici, quello che può fare la differenza nel “progetto Torino” è quella che Murciano definisce la “responsabilizzazione attiva della popolazione”.

“Ci sono decine di azioni quotidiane che i cittadini compiono senza praticamente averne coscienza. Azioni che però hanno conseguenze: sull’ambiente, sulle persone, sui beni comuni. Avere evidenza di queste azioni, che la sensoristica è in grado di rilevare, può diventare supporto fondamentale per sostenere comportamenti smart e per attivare politiche innovative sulla formazione”, spiega ancora  Murciano.

Nessuna tecnologia, insomma, è più smart di un cittadino consapevole.

La città di Genova, invece, si fregia di essere la prima città italiana nel reperimento di fondi comunitari: 7,48 milioni di euro nel periodo 2010-2014. Fondi utilizzati in diversi ambiti, dall’efficienza energetica alla riqualificazione urbana, dalla mobilità sostenibile alla prevenzione dei rischi idrogeologici. Un tema, quest’ultimo, fondamentale per l’amministrazione e la sicurezza dei cittadini.

L’agenda digitale di Genova, ci spiega Paolo Castiglieri, responsabile Strategie Smart City & Progetti Sovranazionali del Comune di Genova, “prevede lo sviluppo di piattaforme per la digitalizzazione dei servizi ai cittadini; una banca dati dell’energia che pianifichi e gestisca i consumi; la digitalizzazione dell’iter amministrativo per lo Sportello unico dell’edilizia; un sistema informativo integrato delle opere pubbliche; un modello digitale per il monitoraggio idrometrico per la prevenzione dei rischi; un sistema informativo unico per la gestione delle emergenze; un sistema di georeferenziazione per immettere l’enorme mole di dati a disposizione del Comune; e una piattaforma informatica di raccordo tra impresa, istituzioni e ricerca”.

Le tecnologie, dunque, hanno un impatto sempre più importante nella quotidianità delle amministrazioni e dei cittadini. Impatto che potrebbe essere presto ancora più rilevante – seppur non proprio percepibile – vista l’intenzione di AgID di costituire una task force che si occuperà di studiare e definire le priorità derivanti dall’utilizzo delle nuove tecnologie di Intelligenza Artificiale nella pubblica amministrazione. Un tema, quello dell’Intelligenza artificiale, che potrebbe sembrare lontano anni luce dalle pastoie della PA, dalla strenua resistenza di quest’ultima all’innovazione digitale. Eppure, i risultati potrebbero sorprendere perché, come ci dice Michele Iaselli, esperto in informatica giuridica, diritto delle nuove tecnologie, codice della PA digitale, privacy, “questo settore scientifico particolarmente affascinante…può rendere indubbi vantaggi anche nei rapporti con i cittadini in termini di sensibile miglioramento dei servizi messi a disposizione della collettività”.

Ma come? “L’apprendimento cognitivo, un’elaborazione avanzata del linguaggio naturale, il riconoscimento vocale e gli algoritmi, alcuni dei possibili utilizzi di strumenti di IA, possono aumentare e migliorare la qualità e l’efficienza della pubblica amministrazione, consentendo agli stessi cittadini un adattamento più efficace ai cambiamenti tecnologici che ci circondano”, dice ancora Iaselli.

E se fin qui ci siamo concentrati su quelli che son o (o saranno) gli aspetti positivi e più o meno tangibili dei dati e delle ultime tecnologie sulla nostra qualità della vita e sul ritorno del cittadino al centro dello sviluppo dei servizi, ci soffermiamo, infine, anche su un aspetto meno evidente dell’influenza dei Big Data sulle nostre vite e le nostre azioni.

E’ ormai risaputo che ciascuno di noi lascia ogni giorno dietro di sé una miriade di impronte “digitali”, attraverso la navigazione web, l’uso del cellulare e dei diversi dispositivi connessi in rete che costellano la nostra quotidianità. Quello che però non tutti sanno è che questi dati non solo vengono raccolti e analizzati ma permetto di “mettere a fuoco il comportamento dei singoli individui”, come ci racconta Alberto Berretti, professore di Analisi di Uniroma2. Soltanto analizzando i “like” su Facebook, ad esempio, è possibile risalire in maniera precisa a dati sensibili quali l’orientamento sessuale, la razza, l’orientamento politico o quello religioso. L’analisi di Berretti evidenzia, insomma, come la rete consenta di raccogliere una miriade di dati su utenti inconsapevoli. Dati che vengono analizzati dai software e che, grazie alle tecniche cosiddette di computational politics, consentono di ricostruire la personalità di un individuo e influenzarne l’opinione politica.

E’ il futuro, bellezza! Direbbe qualcuno.

No, è già il presente.

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