il bilancio

Moneta elettronica, per il Governo è mission impossibile: ecco perché

La direzione, intravista nell’aggiornamento del Def, è giusta ma insufficiente. Così come difficile da attuare per motivi giuridici e di fattibilità. Ma la tracciabilità digitale – elettronica resta una grande speranza contro l’evasione

Pubblicato il 04 Ott 2019

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR

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In attesa che la partita iniziata con l’aggiornamento del DEF si concluda con la presentazione della manovra di bilancio – in cui le misure sul digitale troveranno definitiva collocazione – già spiccano alcune proposte: fisco semplificato, la necessità di incrociare le banche dati finanziarie, incentivo all’utilizzo della moneta elettronica (tramite il meccanismo del cash back su determinati acquisti), l’estensione dello scontrino elettronico e alle possibili detrazioni ottenibili solo con l’uso del bancomat.

Qui tentiamo un primo giudizio.

I limiti degli interventi fiscali pro digitale e tracciamento

Già ci sono sistemi di pagamenti digitale da smartphone e il POS è già obbligatorio, ma la legge di Stabilità del 2016 che l’ha sancito paradossalmente è monca, infatti, non sono previste sanzioni per chi non si adegua.

Oltre a questo, il Governo e il Parlamento non devono limitarsi a introdurre bonus per chi utilizza la moneta elettronica, ma anche prevedere incentivi proprio per l’acquisto dei POS, per esempio attraverso un credito d’imposta. Il punto è che non si può incoraggiare soli i consumatori all’uso della moneta elettronica per i pagamenti, ma bisognerebbe anche fare in modo che l’idraulico, l’elettricista e qualsiasi altro tecnico che viene a casa si presenti con un POS mobile obbligatorio per legge.

Sul tema ci sono anche altri tipi di problemi di fattibilità.

Il principale è giuridico. L’Iva è un’imposta armonizzata a livello europeo e le regole dicono che è possibile prevedere aliquote diverse a seconda della natura del venditore e non del compratore. L’Italia dovrà perciò chiedere l’autorizzazione alla Ue. In tempi stretti.

Così come i 3 milioni di POS istallati oggi nel nostro Paese dovranno essere collegati a un software per la restituzione parziale dell’Iva. E dovrebbero essere attivate le convenzioni bancarie che abbattono le commissioni. Visti i precedenti, la situazione appare poco promettente.

Gli aspetti positivi

Nella strategia del Governo, le misure sui pagamenti digitali vanno comunque nella direzione giusta. La conferma arriva dai dati, emersi da alcune recenti ricerche, che testimoniano come l’industria dei pagamenti in mobilità continui a crescere, con oltre 866 milioni di account registrati in 90 Paesi del mondo e 1,3 miliardi di dollari di transazioni ogni giorno. Le previsioni dicono anche che il numero delle persone che utilizzano digital wallet salirà dai 2,3 miliardi di quest’anno a quasi 4 miliardi nel 2024 (Fonte: Juniper Research).

Questo significa che, fra cinque anni, il 50% della popolazione mondiale, ovvero una persona su due, avrà il suo digital wallet, spingendo il valore delle transazioni dell’80%, fino a toccare i 9 trilioni di dollari per anno. Anche per l’Italia il mercato registra un trend di crescita.

Il mercato italiano del new digital payment in cifre

Pagamenti con carta240 miliardi di euro
Transazioni pro capite: 69,6 euro
Pagamenti contactless1 miliardo di transazioni senza contatto
47 miliardi di transato complessivo
Transazione media: 45 euro
Pagamenti da smartphone530 milioni di euro transati
(+650% sul 2017)
15,6 milioni di transazioni effettuate
1 milione di utilizzatori
500€ spesa annua media per persona
Mobile Remote Commerce8,4 miliardi di euro
+40% sul 2017
Mobile Remote Payment900 milioni di euro di transato
Mobile POS1,5 miliardi di euro di transato
100 transazioni annue per POS
9.000 € annui per POS

Fonte: Osservatorio Mobile Payment & Commerce della School of Management del Politecnico di Milano.

Lo studio di Juniper Research Digital Wallets: Service Provider Analysis, Market Opportunities & Forecasts 2019-2024 sostiene che la crescita più significativa dei digital wallet dovrebbe registrarsi nei pagamenti online per gli acquisti a distanza. Secondo il report, l’incremento sarà dovuto a un maggiore volume di transazioni condotte attraverso le credenziali di accesso allo store. Per esempio negli Stati Uniti la spesa annuale per ogni digital wallet sembra destinata a passare dai 3.350 dollari di quest’anno ad oltre 6.400 nel 2024. Sempre secondo lo studio, l’utilizzo dei mobile payment sarà incoraggiato dall’aumento della sicurezza nei pagamenti online ottenuto grazie all’introduzione di standard SRC (Secure Remote Commerce), con transazioni protette da token e crittografia dinamica.

Il digitale per il contrasto all’evasione fiscale

Occorrerà vedere in che modo il pacchetto di soluzioni digitali, pensato per cercare di contrastare l’evasione fiscale e recuperare 7,2 miliardi, compreso il nuovo software, per ora segreto, annunciato dal ministro Di Maio per contrastare l’evasione dei contributi INPS, diventerà realtà e in che modo si faranno i conti con il paradosso per cui oggi i dati sui conti correnti ci sono ma sono inutilizzabili e l’Agenzia delle Entrate, malgrado gli sforzi degli ultimi anni, non è ancora del tutto pronta per usarli al massimo delle loro potenzialità.

Da un lato, infatti, si tratta di dover fare i conti con i paletti fissati dal Garante della privacy a quella che in gergo si chiama “profilazione individuale del rischio fiscale”. La profilazione, introdotta dal Governo Monti con l’articolo 11 del decreto legge n. 201/2011, il cosiddetto “Salva Italia” e dalla sua successiva attuazione, è stata già oggetto di attenzione da parte della Corte dei Conti. Si tratta di quel meccanismo che permetterebbe di scovare meglio gli evasori, attraverso l’utilizzo massivo dei dati dell’anagrafe dei rapporti finanziari, in cui vengono raccolte le informazioni sul saldo iniziale e finale dei conti correnti e di deposito (a inizio e fine anno) e l’importo totale degli acquisti con carta, incrociando poi queste informazioni con le dichiarazioni dei redditi.

Sulla misura l’Authority ha imposto un preciso paletto, cioè che l’incrocio a monte venga fatto solo a titolo sperimentale su poche centinaia di posizioni. Per questo la sperimentazione sulle società è partita lo scorso anno e quest’estate è stata allargata alle persone fisiche. A valle, invece, l’uso sarebbe consentito solo quando c’è un’indagine in corso. Insomma prima bisogna scoprire l’evasore e solo dopo si può chiedere di accedere ai dati come prova delle sue dichiarazioni mancate o incomplete. Un vero paradosso, frutto di una logica vecchia concentrata su accertamenti e controlli (che per forza di cose riguardano una piccolissima percentuale di contribuenti) invece che sulla mappatura del rischio utilizzata in altri Paesi. Austria e Gran Bretagna si stanno già muovendo in questa direzione. In Belgio il machine learning è usato per predire se e quando i contribuenti ottempereranno al pagamento. E negli Usa la temuta agenzia delle entrate IRS (Internal Revenue Service) ha investito massicciamente sulle tecniche predittive basate sull’uso dei big data per contrastare i crimini finanziari.

Ma anche riuscendo a superare l’ostacolo delle profilazioni su larga scala, con una nuova legge o con una diversa interpretazione delle norme da parte dell’Authority, non è detto che l’Agenzia delle Entrate sia poi in condizioni di poter usare e gestire la mole di dati a sua disposizione. Dopo la sentenza della Consulta, che ha dichiarato l’illegittimità di centinaia di posizioni dirigenziali, in attesa dell’esito dei concorsi per funzionari e dirigenti di seconda fascia, nella sua composizione attuale l’Agenzia non sarebbe in grado di utilizzare i dati al massimo della loro potenzialità. L’idea di attrezzarsi non solo per mappare, ma addirittura in prospettiva di predire il rischio di evasione, sembra ancora lontana soprattutto se l’approccio rimane basato sulle repressione e si interviene solo dopo la dichiarazione, andando a contestare qualcosa.

Al contrario occorrerebbe un’Agenzia delle Entrate da potenziare, a cui servirebbero professionisti che attraverso i big data sappiano individuare i casi a rischio e usare le informazioni nel rapporto con il contribuente. In un’ottica di efficienza di sistema, si potrebbero sfruttare anche le risorse presenti in società esterne all’Agenzia. Il riferimento è a società come Sose e Sogei, partecipate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, dove ci sono competenze elevate usate finora solo per gli studi di settore o per la tenuta dell’anagrafe tributaria. Qualcuno si è spinto anche a prospettare la creazione di un’Agenzia ad hoc per la prevenzione dell’evasione e l’analisi dei dati, indotto da una semplice constatazione: se oggi l’Agenzia delle Entrate non riesce a usare, con tecniche di data mining e machine learning, i miliardi di dati provenienti dalla fatturazione elettronica tra aziende questo non dipende mica dal garante. Ecco che torna il tema del divario di competenze digitali da dover colmare.

Competenze che vanno rafforzate anche nel mondo imprenditoriale e bancario, dove si assiste a un diffuso fenomeno di licenziamenti di manager. La piattaforma di dati CB Insights ha rilanciato un rapporto secondo il quale sono circa 1.452 i CEO che hanno lasciato il loro posto di lavoro nel 2018. È un aumento del 25% rispetto all’anno precedente e la più grande ondata di partenze dalla crisi finanziaria del 2007-2008. Se il 25% di queste partenze è etichettato come pensionamento e alcuni possono essere identificati con un comportamento personale scorretto, c’è anche un’altra motivazione: l’incapacità di comprendere e di dominare la rivoluzione digitale. Negli ultimi decenni, le tecnologie disruptive – Intelligenza Artificiale, Realtà virtuale e aumentata, Machine Learning, Internet of Things – hanno investito e ribaltato le attività legacy nell’industria, ma i dirigenti dell’azienda non sono sempre disposti a vederlo. Il messaggio dei consigli di amministrazione ai CEO è forte e chiaro: aiutaci a evolvere, o troveremo qualcuno che lo farà.

Direzione giusta ma non basta

Alla luce di queste tendenze, il pacchetto di interventi sul digitale sul quale il Governo intende puntare appare del tutto condivisibile. Il dubbio è che difficilmente permetterà all’azienda Italia di potersi sollevare in volo se non sarà accompagnata da quegli investimenti pubblici e stimoli alla crescita, richiamati da più parti come davvero utili alla svolta sulla crescita e che il governatore della Bce, Mario Draghi, ha chiesto, invocato e sollecitato a più riprese.

Ma lo sforzo fatto per disinnescare gli aumenti dell’Iva sembra aver esaurito tutti gli spazi, comprimendo, per ora, quei margini di manovra che servirebbero a garantire energie ricostituenti adeguate a invertire l’impietoso declino manifatturiero e dei nostri consumi. In altre parole, il Governo approva il DEF ma rinvia a domani e dopodomani (2021 e 2022) le riforme strutturali e tutte le decisioni difficili sui conti pubblici.

Programma Spin del Mise e gli innovation manager

Da segnalare anche, sempre in materia finanziaria, che dal 1° ottobre è partito SPIN (Scaleup Program Invitalia Network), il programma promosso dal MiSE, gestito da Invitalia in partnership con ELITE, London Stock Exchange Group. Tre gli obiettivi:

  • favorire l’incontro fra le scaleup innovative del Mezzogiorno con le piccole medie e grandi imprese nazionali e internazionali;
  • facilitare i processi di open innovation;
  • accedere a nuove forme di finanza alternativa per la crescita.

Il percorso prevede due fasi: nella prima, 250 realtà parteciperanno a un programma di sviluppo imprenditoriale digitale con l’assegnazione di un tutor, l’accesso a una piattaforma di servizi, l’utilizzo di un tool di self-assessment, un report sul posizionamento competitivo, l’accesso a iniziative di networking e di Open Innovation. Nella seconda fase le migliori 50 imprese, selezionate da Invitalia, accederanno a un’edizione dedicata del percorso ELITE, con una serie di servizi per strutturarsi sui temi di strategia e business planning, organizzazione e governance, funding. Il programma SPIN sarà oggetto di un roadshow che si svilupperà in 7 tappe e toccherà tutte le regioni coinvolte (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia).

Infine, a partire dal 7 novembre e fino al 26 novembre le imprese e le reti d’impresa potranno avviare la compilazione della domanda per richiedere il Voucher per l’Innovation manager. È stato, infatti, pubblicato il decreto del MiSE che disciplina le modalità e i termini per la presentazione delle domande e per l’erogazione dell’agevolazione. La misura ha l’obiettivo di sostenere i processi di trasformazione tecnologica e digitale delle PMI e delle reti d’impresa, presenti su tutto il territorio nazionale. L’agevolazione verrà concessa sulla base di una procedura a sportello, per cui le domande inviate dalle imprese e dalle reti d’impresa verranno ammesse alla fase istruttoria sulla base dell’ordine cronologico di presentazione. L’invio della domanda di accesso alle agevolazioni sarà consentito a partire dal 3 dicembre 2019.

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