Negli ultimi mesi il sistema delle cryptovalute è sotto pressione per il crollo del mercato indotto prima dall’accoppiata Terra-Luna e USDT, e successivamente da altri eventi simili. In realtà fattori avversi si sono manifestati si dall’inizio dell’anno ma solo negli ultimi mesi le difficoltà si sono acuite. A soffrirne di più le principali crypto con Bitcoin ed Ethereum in testa.
Questi episodi che hanno fatto perdere oltre due terzi del valore complessivo del mercato in pochi mesi sono legati ad astuti utilizzi degli algoritmi e delle tecniche di scambio sulle blockchain, piuttosto che a crisi dei mercati finanziari in genere: ciò ha messo in seria discussione l’affidabilità dei progetti di crypto e dei token ma ha anche evidenziato che il tutto si basa sulla potenza e velocità di calcolo per battere l’algoritmo concorrente o navigarne nei bug.
Bitcoin e crypto-asset: scatta l’ora delle regole, anche in Italia
I 64 del Bitcoin
Di ben diverso impatto è lo studio di Alyssa Blackburn e di Erez Lieberman Aiden, entrambi della Rice University, lei una data scientist esperta di analisi ed investigazioni sui dati, e lui un esperto di matematica applicata, un genetista e informatico di primo livello.
Blackburn ha accumulato per anni una mole di dati estratti dalla blockchain di Bitcoin, ha catalogato e registrato tutte le transazioni dalla nascita di Bitcoin fino al 2011, ha incrociato i dati con numerosi blog e fonti social, le operazioni di vendita in profitto e quelle in perdita, tutte le operazioni di mining di un nuovo Bitcoin e ha letteralmente seguito, per non dire inseguito, ogni singola traccia di ogni Bitcoin coniato sin dalla prima ora. Ma il passaggio fondamentale è stato quello di inseguire, goccia dopo goccia, le infinitesime informazioni trapelate rispetto alla blockchain, al suo inventore Satoshi Nakamoto e una ristretta cerchia di altre persone. Nonché lo studio dettagliato delle abitudini di ogni miner (anche detto agente) rispetto alle loro esitazioni o schemi di azione.
Potete immaginare la quantità di dati elaborati, diverse centinaia di Gigabyte, senza neanche sapere esattamente cosa aspettarsi o cosa ricercare. Lieberman Aiden ha dato il suo supporto sia mettendo a disposizione capacità di calcolo quando alla Blackburn è stato vietato l’uso delle risorse di calcolo dell’università, sia e soprattutto validando i modelli di analisi che di volta in volta la Blackburn elaborava. In sostanza hanno applicato i concetti di analisi dei big data ad un mondo che promette l’anonimato assoluto, la decentralizzazione delle decisioni e degli algoritmi, la mancanza di un regista o un unico attore che regola il traffico e detta le regole.
Il risultato di questo studio è l’aver identificato un cluster di 64 “agenti” fondatori che sin dalla prima ora hanno coniato, e detengono, la maggior parte dei Bitcoin in circolazione, tra questi ovviamente anche Satoshi Nakamoto che è l’agente n.1 e la cui identità non è stata ancora scoperta.
Il risultato sorprendente è che si è sconfitto il motto di Bitcoin “In Code We Trust” che rappresenta il concetto di un sistema “cryptographic proof instead of trust”.
Ovvero per anni si è creduto che ogni crypto basata sul proof of work come Bitcoin avesse una impenetrabilità intrinseca tale da non poter associare in alcun modo una specifica identità ad una persona fisica. Secondo lo studio della Blackburn, tutto vero finché i dati non vengono resi pubblici. Ad esempio, Blackburn ha identificato l’identità dell’agente miner n.19 in Michael Mancil Brown, già accusato di frode ed estorsione nel 2012, e l’agente miner n.67 in Ross Ulbricht fondatore di Silk Road, una società che gestisce le transazioni di Bitcoin sul mercato nero.
Il risvolto delle scoperte di Blackburn
Quale è il vero risvolto sul mercato delle crypto di queste scoperte?
Le prime domande che ci poniamo sono: ma Bitcoin (ed altre crypto) sono affidabili?
Dove sta la democrazia decentralizzata del sistema se una ristretta cerchia, i magici 64, detengono ben oltre il 51% delle monete in circolazione? Che ne è della mia riservatezza e protezione dell’identità? Dove deve evolvere la tecnologia ed il mercato delle crypto per assicurare il sogno e l’obiettivo che inizialmente ci si è posti?
E se non è Bitcoin la moneta di cui fidarsi quali sono quelle più affidabili?
Capite bene che ognuna di queste domande, da sola, basta a minare alla base la fiducia che milioni di persone hanno riposto nel sistema e far svanire in un attimo qualche migliaio di miliardi di dollari in capitalizzazione, soldi che sono già quasi tutti nelle tasche dei miner o dei fondatori delle crypto.
Ma andiamo per gradi e vediamo di trovare qualche risposta.
Bitcoin, affidabilità e trasparenza
Bitcoin anche in questi momenti di turbolenza di mercato ha dimostrato di essere affidabile, ha retto il colpo ed ha una capitalizzazione ed una liquidità tale che gli consente di resistere e riprendersi nel tempo.
Più che l’affidabilità bisogna chiedersi se è un sistema trasparente, ovvero se non sia il club dei 64 a muovere le fila della speculazione oppure se siano eventi di mercato ad incidere veramente sulla valutazione. Una parziale risposta è data proprio dallo studio della Blackburn, la quale ha osservato che il club dei 64 non ha mai veramente approfittato della situazione ed ha cercato di proteggere in più occasioni il sistema anche gestendo il proprio mining a favore di altri. Questo non è un atto di benevolenza ma una necessità del club dei 64 e del sistema che possiamo così riassumere: Bitcoin è una macchina da soldi e nessuno ha interesse a distruggere il giocattolo, soprattutto chi detiene il pezzo più grande del giocattolo. Il tema vero è che ci piacerebbe sapere con chi stiamo giocando al tavolo e quali sono le vere regole del gioco.
L’identità del trader o del miner
Rispetto alla privacy e segretezza dei dati lo studio analizzato ci dice che non è facile, non è per tutti, ma è possibile in qualche caso risalire fino all’identità del trader o del miner. Sicuramente vero quando si tratta di pochi soggetti (del club dei 64 solo qualcuno è stato associato ad una identità specifica), un po’ più difficile quando si tratta di milioni di soggetti le cui tracce non sono concentrate come in questo caso. Direi quindi che ancora per un bel po’ di tempo la segretezza è assicurata, soprattutto se non si ha nulla da nascondere al fisco o alla legge. E soprattutto se si è consapevoli di dover restare lontano da chi nel mercato delle crypto vuole fare affari loschi o usare danaro di dubbia provenienza.
Se la tecnologia ha portato Bitcoin e le crypto fini qui, è la stessa tecnologia che usata in maniera opportuna ha permesso di scovare nei meandri di Bitcoin per rivelarne alcuni segreti, è quindi ragionevole pensare che le future evoluzioni tecnologiche di Bitcoin e di altre crypto siano in grado di proteggere ulteriormente i nostri dati.
In sostanza le crypto sono una continua sfida tecnologica che sposta continuamente in avanti l’asticella: ridurre i consumi energetici per il mining, proteggere ed assicurare le transazioni mentre si eseguono più velocemente, passare al proof of stake per rendere la cryptomoneta uno strumento di pagamento come gli altri, regolamentare i mercati per proteggere gli investimenti.
Se sulle crypto principali, in ogni caso, c’è una certa autoregolazione del sistema, molto è da fare per il mercato DeFi anche se proprio da quest’ultimo si ha l’aspettativa maggiore.
Piccoli token crescono
Nel frattempo, sorgono esempi di token, come BSon Trading, che in realtà supportano veri progetti rivolti alla creazione di piattaforme di trading per salvaguardare il capitale investito e che, sin dall’inizio, hanno condiviso la scelta delle regole di ingaggio con gli investitori e con il potenziale mercato. Anche questi sono esempi di come utilizzare le tecnologie in maniera più decentralizzata ma più vicina alle attese del mercato salvaguardando gli interessi di tutti.
Conclusioni
Fino ad oggi la tecnologia delle blockchain applicate alle crypto, Bitcoin in testa, ha creato una elite finanziaria che apparentemente è una vecchia elite trasferitasi ad operare dalla finanza tradizionale a quella delle crypto. Una elite che ha trovato nella blockchain e nelle tecnologie il proprio fattore abilitante dimenticando che qualunque cosa pensi di poter ottenere utilizzando nuovi algoritmi, big data o altro, può essere usata anche contro di te.
Gli stessi algoritmi possono essere utilizzati dagli scienziati per scandagliare i castelli costruiti dalla nuova élite. Ovvero quando si crittografano i dati privati e li si rende pubblici, non si può presumere che rimarranno privati per sempre. Questo il rischio, questo lo stimolo all’evoluzione tecnologica.