Agenda orfana delle competenze digitali precipita in Europa

Roberto Scano, presidente IWA e consulente del governo per l’Agenda digitale italiana, analizza il decreto sviluppo alla luce delle nuove priorità enunciate dalla Commissione europea. L’assenza di programmi per sviluppare le Competenze sono la lacuna più grave

Pubblicato il 04 Feb 2013

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A volte le coincidenze sono significative. Quella che riguarda la tempistica del rapporto tra Italia ed Europa in tema di agenda digitale lo è. Protagonista della storia è Neelie Kroes, Commissaria europea che di innovazione si occupa e che nelle battute conclusive del dibattito in Parlamento per l’approvazione del decreto sviluppo, sosteneva l’urgenza dell’approvazione del testo in discussione con una lettera in italiano promossa da alcuni tweet, anch’essi in italiano. Solo che poco dopo essersi esposta con la mano destra per evitare di “dilazionare ulteriormente l’approvazione di una legislazione necessaria a colmare il grave ritardo dell’Italia rispetto ai Paesi piú virtuosi d’Europa”, con la sinistra stava rigettando il Paese indietro nella timeline dello sviluppo digitale. Non che ci sia dolo in tutto questo, semplicemente la Kroes ha redatto le nuove priorità da implementare nell’Agenda Digitale Europea, da realizzare possibilmente nel biennio 2013-2014.

Le priorità sono sette – anche se la settima, una strategia industriale per la micro e la nano-elettronica è appena accennata nei suoi termini e quindi ancora sostanzialmente ingiudicabile – e pongono nuovi obiettivi che siamo ben lontani dal raggiungere.
La prima riguarda l’infrastruttura da migliorare per portare banda larga a tutti gli europei e giudicare l’Italia sotto questo aspetto – al di là delle parole di Bernabè che ritiene che la situazione sia soddisfacente – è in realtà impietoso. La situazione è nota, di investimenti sostanziali non se ne sono visti negli ultimi dieci anni e così il Paese scivola progressivamente nelle classifiche internazionali sulla connettività. La stessa Kroes nella lettera aperta agli italiani, si è detta sorpresa di constatare che la penisola abbia così tanta strada da fare sulla connettività e l’alfabetizzazione digitale. Per quel che riguarda l’alfabetizzazione e le competenze digitali invece l’occasione di inserire incentivi e servizi nel decreto sviluppo è sfumata. Il capitolo si è smarrito ne percorso tra il documento stilato dalla Cabina di Regia all’approvazione in Parlamento. Roberto Scano, presidente dell’associazione degli sviluppatori (IWA) e consulente del governo fin dall’inizio dell’iter legislativo che proprio di competenze digitali si è occupato imputa la responsabilità dell’esclusione al Governo Monti: “Le competenze digitali non hanno avuto il necessario supporto governativo: il Parlamento, con dl Gentiloni-Palmieri ne riconosceva l’importanza, il governo meno. È stato fatto un tentativo di recuperarle sotto forma di emendamento la Commissione bilancio del Senato però l’ha respinta perché costava. Certo che costa; la cultura costa però è imprescindibile per la diffusione dei servizi online. Il problema principale in Italia è proprio culturale, serve educazione sia per chi usufruisce dei servizi sia per chi li eroga”.
L’ultima speranza che rimane per recuperare questa amputazione è l’accordo di servizio con la Rai, in modo che come negli anni ’50 (Pasolini docet) la tv di stato ha contribuito a unificare vocabolario e costumi degli italiani, così si ripeta oggi con l’unificazione del nuovo vocabolario digitale. Nuovi Mario Soldati, autore e protagonista di Chi legge?, programma di alfabetizzazione in onda nel 1960, educheranno a usare la posta elettronica, a scaricare un documento da un sito della PA e magari a regolare le impostazioni della privacy dei servizi online? “È l’ultima speranza rimasta a breve termine”.

La seconda priorità della Commissione riguarda l’interoperabilità europea dei formati. “Non si può giudicare a che punto siamo rispetto all’obiettivo se l’obiettivo non è chiaro – commenta Scano – ma se come a me sembra la Commissione indica l’accesso universale del cittadino europeo ai servizi della Pubblica Amministrazione in qualunque Stato dell’Unione, siamo terribilmente indietro”. Per dare un’idea di quanto, è sufficiente guardare cosa è capitato all’emendamento per uniformare il formato dei bilanci delle Asl: “L’emendamento è stato bocciato, inspiegabilmente. Così oggi le Asl mandano i propri bilanci nel formato che vogliono e il Ministero deve istituire una task force che traduca i dati in modo che siano compatibili. Insomma siamo più o meno al livello del portalettere digitale. È assurdo”.
Sul terzo punto, la formazione delle professionalità per l’economia digitale, Scano ha molto da dire visto che fa parte del programma skill profiles che si occupa proprio di definire gli standard delle competenze per il web. Il lavoro è iniziato nel 2006 ed è oggi alla terza versione. “Se non standardizziamo le definizioni delle competenze chi offre formazione e chi la riceve non sa bene cosa aspettarsi”. Il problema è tenere il passo dell’innovazione che crea figure professionali inesistenti fino a poco tempo fa. “Nella terza revisione che stiamo portando a termine ad esempio stabiliamo le caratteristiche della competenze delle professioni che sono nate dall’Ict, ad esempio il web marketing”.

La Commissione europea ha segnalato anche il tema della sicurezza informatica, quantomai fondamentale ora che molte azienda stanno spostando l’archiviazione di dati anche molto sensbili online e un quadro per riformare il diritto d’autore. Entrambi gli argomenti sono vasti e complessi, credo però ormai che non basti nemmeno più un approccio europeo. Bisogna ragionare a livello globale, il che è difficile e in tempi ragionevoli non penso si vedranno radicali cambiamenti”.
Tra le poche note liete di casa nostra è quanto stiamo facendo in tema di cloud computing “sì, ci stiamo muovendo, soprattutto per quel che la PA sta facendo sia per rinnovarsi che per educare le aziende del territorio di competenza all’uso del cloud. Inoltre in alcune regioni, come il Veneto, l’alluvione ha aiutato a comprendere che avere i dati su server ospitati in azienda non li proteggeva del tutto dai pericoli. Oltre ai player internazionali (HP, Microsoft, Salesforce) e nazionali (Telecom Italia ed Engineering) già noti si sta affacciando sul mercato anche Poste Italiane, che può contare su una infrastruttura non indifferente”.

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