DIGITAL TRANSFORMATION

Business agility, così sconfiggiamo gli anticorpi al cambiamento

Nuovi modelli organizzativi basati sull’innovazione continua sono in grado di preparare l’azienda alla disruption. Scardinando modalità inefficienti e puntando a processi orientati alla generazione del valore. Ecco i vantaggi della “conversione” e i quattro pilastri su cui lavorare

Pubblicato il 08 Gen 2020

Alberto Fietta

Senior Executive Partner | Gartner Advisory & Executive Programs

digitaltransformation

In cosa consiste l’agilità organizzativa? La capacità di fare fronte e rispondere alla digital transformation in modo efficiente ed efficace. Che l’utilizzo di metodi e pratiche agili sia oggi limitato non più solo allo sviluppo applicativo è confermato da una recente ricerca condotta a livello globale. Ben il 63% delle organizzazioni ha dichiarato di utilizzare ora o nel prossimo futuro queste metodologie per iniziative trasformative di business.

Perché ha oggi così tanto senso parlare di agilità? Innanzi tutto, perché nessuna organizzazione è immune alla digital disruption. Poi per un motivo semplice: le evidenze di mercato ci dicono che chi ha abbracciato principi e pratiche agili sia a livello di impostazione strategica sia di modello operativo, consegue una performance economico finanziaria (i.e., crescita, profittabilità ed enterprise value) migliore. Non solo, anche gli indicatori di performance operativa migliorano: economicità, time-to-market, qualità di prodotto.

Agility: ecco perché conviene adottarla

Ma vi sono anche altri motivi che possono giustificare lo sforzo per portare a scala l’introduzione di pratiche agili. Per prima cosa l’agilità diventa un connettore dell’innovazione, a red line of innovation. In questo caso agilità non significa assenza di metodo o di rigore. Tutt’altro. Significa avere definito un processo di innovazione integrato, realmente end-to-end dalla fase di ideation sino alla industrializzazione e rilascio a mercato, ispirato a principi di collaborazione e che abbia meccanismi semplici di misura e tracciamento del valore. Revisione del portafoglio, iteratività, back-log di value proposition rispetto ai progetti sono esempi di cosa concretamente tutto questo significhi.

Un altro aspetto è legato alla guerra dei talenti, mai come oggi tema attuale. La maggior parte delle organizzazioni è ben consapevole di quanto sia difficile attrarre e fare retention di nuove figure professionali necessarie per supportare una trasformazione digitale. Citiamo solo a titolo di esempio Data Scientist, Product Owner, Agile Scrum Master, Cloud Engineer, Business Translators. Un’azienda che si proponga verso la workforce attuale e verso il mercato del lavoro con una proposizione di valori e pratiche operative moderne e innovative, ha senza dubbio un elemento competitivo in più da spendere.

Un ultimo, ma non per importanza, elemento di cui tenere conto è legato alla potenzialità di queste pratiche agili di lavoro di fare hacking della cultura. Ossia di scardinare modelli e comportamenti organizzativi sviluppati nel tempo incentrati sull’appartenenza ad un’unità piuttosto che alla collaborazione, al ruolo rispetto alla competenza, a preservare lo status quo piuttosto che lavorare alla costruzione del futuro.

Le quattro dimensioni della Business Agility

La prima è la Skillset (r)Evolution. Il tema delle competenze non è a caso il primo. Nessun nuovo modello operativo potrà essere agito ed essere sostenibile in assenza di skill, competenze adeguate. La verticalità del modello tradizionale delle competenze sta entrando in crisi. Se da un lato la complessità da gestire è aumentata, dall’altro le competenze diventano rapidamente obsolete.

Occorre dotarsi di una workforce in grado di abbracciare un percorso di apprendimento continuo. Il principale tratto sempre di più diventerà la capacità di apprendere e la flessibilità mentale (e non anagrafica). E forse questa è la sfida maggiore, nella consapevolezza che non tutti gli attuali dipendenti riusciranno ad essere “fit-for-future”. Ma la sfida è altrettanto importante guardano alle nuove generazioni e alle implicazioni sul sistema educativo.

La seconda dimensione è quella afferente alla ridefinizione del modello di delivery, Delivery Re(Modeling). Occorre modificare pratiche e processi di allocazione e prioritizzazione degli investimenti, budgeting, sviluppo prodotto, supporto tecnico. E tutto questo definendo anche un nuovo set di metriche strategiche ed operative fortemente incentrate alla generazione di valore. Nel tempo le organizzazioni hanno affrontato i problemi e gli errori attraverso l’introduzione di processi.

Il sistema di processi diventa nel tempo sempre più complesso e rigido, inibendo innovazione e sviluppando “anticorpi” al cambiamento. Il che non significa smontare i modelli di governo e controllo della macchina operativa, ma quanto meno mettere in discussione quelli non orientati alla generazione del valore (e.g., aumento dei ricavi, riduzione dei costi e del rischio).

La terza dimensione è quella del modello organizzativo. Non si tratta qui di forzare l’introduzione di modelli organizzativi innovativi (alla Spotify) in realtà tradizionali. Sarebbe poco perseguibile. Piuttosto, si tratta di affiancare e fare coesistere modelli tradizionali improntati alla stabilità, ai processi e all’industrializzazione, con paradigmi che consentano di favorire collaborazione cross funzionale, innovazione, produttività e soddisfazione da parte della workforce.

La quarta dimensione è quella della cultura, realmente trasversale rispetto alle altre. Senza il necessario cambiamento culturale, difficilmente questo tipo di percorso può avere successo. Lavorare sulla cultura significa lavorare su come vengono prese le decisioni in azienda, su come si lavora, si interagisce e collabora e su cosa e come si misura la performance, individuale e collettiva. Tutti elementi che presi nel loro insieme definiscono il tratto caratteristico di ogni organizzazione. Vale qui il messaggio del CEO di Netflix, Reed Hastings: non è vero che al crescere della dimensione delle società diventa più difficile lavorare sulla cultura. Vale il contrario. Semplicemente si hanno più persone e talenti che vi possono dedicare attenzione, facendola migliorare nel tempo. E tutto questo chiama anche a nuove responsabilità e caratteristiche della leadership aziendale.

Business Agility, un processo senza fine

Lavorare sulla Business Agility va inteso come un percorso di maturità. Ed un percorso che idealmente non ha un inizio e una fine. Ma è un percorso continuo durante il quale valutare e rivalutare la propria ambizione. Occorre infatti essere consapevoli che il livello di agilità richiesto per restare competitivi non sarà lo stesso per tutte le industry, mercati, aree geografiche e organizzazioni.

Resta il fatto che così come Ios o Android sono i sistemi operativi dei nostri device che rendono possibile sviluppare e accedere a servizi, connettendo la nostra vita con il mondo esterno, allo stesso modo la Business Agility può diventare il nuovo sistema operativo delle organizzazioni. Un nuovo modo di lavorare che consenta di riguadagnare a chi lo ha smarrito o di guadagnarsi in un mercato dinamico il vantaggio competitivo. Sapendo che vale oggi ed ora e probabilmente già domani dovrà essere rimesso in discussione.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

EU Stories - La coesione innova l'Italia

Tutti
Social
Iniziative
Video
Analisi
Iniziative
Al via il progetto COINS
Eventi
Un nuovo sguardo sulla politica di coesione dell'UE
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Interviste
Marco De Giorgi (PCM): “Come comunicare le politiche di coesione”
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politiche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia
Iniziative
Al via il progetto COINS
Eventi
Un nuovo sguardo sulla politica di coesione dell'UE
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Interviste
Marco De Giorgi (PCM): “Come comunicare le politiche di coesione”
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politiche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia

Articoli correlati