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Fenomenologia del cyborg: ecco il nostro futuro post-umano



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L’evoluzione del cyborg, da icona dell’immaginario collettivo a entità biotecnologica avanzata potenziata da tecnologie quali protesi e impianti neurali. Una rassegna dei progressi più recenti della ricerca sull’ibridazione uomo-macchina, ci aiuta a esaminare il tema dello human enhancement da prospettive interdisciplinari, sollevando questioni su coscienza artificiale, identità e l’evoluzione futura dell’umanità

Pubblicato il 26 apr 2024

Giuseppe Galetta

funzionario presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II



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Il concetto di cyborg affonda le radici nella fantascienza, ma ha una storia profondamente radicata nella ricerca scientifica. Nel 1960, gli scienziati Manfred E. Clynes e Nathan S. Kline coniarono il termine “cyborg” (contrazione di cybernetic organism): tale concetto si riferisce a esseri viventi che hanno acquisito abilità potenziate grazie all’innesto di componenti artificiali o all’integrazione di tecnologie cibernetiche (Wiener, 1968; 2020).

Il cyborg, dalla Guerra Fredda a Neuralink

La corsa allo spazio durante la Guerra Fredda contribuì a questa riflessione, portando alla proposta di modificare la biologia umana per adattarla a ambienti alieni, creando così l’ipotetico astronauta cyborg (Clynes & Kline, 1960; 1961). Nell’immaginario collettivo, il termine “cyborg” evoca immagini di esseri ibridi e senzienti, al confine tra l’uomo e la macchina, un concetto che ha radici profonde nella fantascienza e nel dibattito culturale attuale (Abruzzese, 1988; Caronia, 1996; 2008; 2020).

L’idea del cyborg, come esplorato in opere seminali quali Cyborg Manifesto della Haraway (1991b) e Neuromancer di Gibson (1984), riflette una fusione di organico e artificiale che sfida le nostre tradizionali concezioni di identità e corporeità.

Questa figura, un tempo relegata ai margini della narrativa speculativa, è oggi una realtà tangibile grazie ai progressi nelle tecnologie di impianti neurali e nelle interfacce uomo-macchina, come documentato da Warwick (2004; 2012) e Nicolelis (2011), portando all’impianto del primo microchip nel cervello di un paziente umano grazie a Neuralink, la start-up di interfacce neurali fondata da Elon Musk e altri imprenditori della Silicon Valley.

In un’epoca in cui la tecnologia è onnipresente e sempre più integrata nelle nostre vite, il cyborg emerge dunque come un simbolo potente del nostro futuro postumano e della ridefinizione dei confini tra uomo e tecnologia, come illustrato da numerosi studiosi (Hayles, 2006; Barcellona, 2007; Benanti, 2012; Braidotti, 2013).

Le implicazioni socioculturali e filosofiche dell’integrazione uomo-macchina

L’obiettivo di questo lavoro è quello di esplorare le implicazioni socioculturali e filosofiche dell’integrazione uomo-macchina. Contrariamente ad una visione dualistica, che separa nettamente natura umana e tecnologia, il cyborg è il simbolo della fusione tra carne e artificio (Berardi, Caronia & Zucchella, 2005). Attraverso questa lente, si cercherà di superare le barriere ontologiche tradizionali tra umano e non umano, aprendo la strada ad una “normalizzazione” del modello cyborg nella società attuale. Infatti, si esplorerà la fenomenologia del cyborg non solo come topos culturale, ma come entità corporea reale in continua trasformazione, con implicazioni profonde per l’individuo e la società. Si analizzerà pertanto l’evoluzione del cyborg da figura narrativa a entità biotecnologica, investigando come l’ibridazione uomo-macchina stia ridefinendo la percezione e l’esperienza del corpo umano, cercando di rispondere ad alcune domande fondamentali, ossia: come le attuali tecnologie cyborg stanno trasformando l’esperienza umana? Quali sono le implicazioni sociali di tali trasformazioni? In che modo le narrative sulla figura del cyborg influenzano e sono influenzate dalle tecnologie emergenti?

Metodologia

Per analizzare l’evoluzione del cyborg, si esaminerà sia la storia del termine che le rivoluzioni tecnologiche e biotecnologiche degli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, fino ad affrontare l’attuale dibattito sullo human enhancement alimentato dai progressi in campo biotecnologico, considerando le posizioni dei bioconservatori e dei transumanisti (Savulescu & Bostrom, 2009). Infine, si esploreranno le possibilità offerte dal modello cyborg nel processo d’integrazione tra l’uomo e i dispositivi tecnologici, che prefigurano l’avvento di un superuomo, dotato di un corpo “aumentato” e potenziato attraverso processi di protesizzazione e innesti meccanici. L’analisi utilizzerà un approccio multiprospettico, allo scopo di offrire una visione completa sull’argomento, includendo un esame critico della letteratura esistente, così come i risultati delle ricerche più attuali. Attraverso un’analisi interdisciplinare si descriverà la fenomenologia del cyborg, indagando la sua complessità e problematicità per l’attuale società postmoderna.

Storia ed evoluzione del Cyborg

A partire dal XX secolo, la figura del cyborg è entrata prepotentemente nel lessico culturale attraverso la fantascienza, dove incarna un’entità biologica dotata di innesti o protesi meccaniche in grado di estendere le capacità umane oltre i limiti imposti dalla natura.

Le origini concettuali

Ma le origini del concetto di cyborg, quale essere umanoide, androide o macchina biologica, risalgono al XIII secolo, quando nel 1206 il matematico arabo Al-Jazari scrisse il primo trattato sugli automi, che affascinò anche Leonardo Da Vinci, che nel 1495 progettò un proprio modello di automa-cavaliere.

Fu nel 1737 che l’inventore francese Jacques de Vaucanson costruì il primo automa meccanico, cui seguirono gli automi creati da Pierre Jaquet-Droz a partire dal 1770. Nell’ambito della cultura di massa, il mito del potenziamento del corpo umano attraverso la tecnologia (human enhancement) affonda le sue radici alla fine della prima rivoluzione industriale, con la pubblicazione del romanzo gotico “Frankenstein” di Mary Shelley nel 1818, dove si narra della creazione di un essere mostruoso costituito da parti di cadaveri e innesti meccanici, che viene riportato in vita grazie alla tecnica del galvanismo.

Il romanzo ebbe numerose trasposizioni cinematografiche, diffondendo nell’immaginario collettivo il mito di un corpo umano artificialmente potenziato dalla tecnologia, un ibrido uomo-macchina capace di sopravvivere alla morte. Il mito ebbe una prima trasposizione cinematografica con il film Metropolis di Fritz Lang (1927).

Ma, come già anticipato, fu nel 1960 che il termine “cyborg” venne utilizzato per la prima volta da due medici consulenti della NASA Manfred E. Clynes e Nathan S. Kline per descrivere un essere umano “migliorato”, in grado di sopravvivere in ambienti extraterrestri (Clynes & Kline, 1960; 1961): erano gli anni della Guerra Fredda e della corsa allo spazio.

Dall’immaginario alla realtà

A partire dagli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, attraverso la narrativa di fantascienza, la figura del cyborg si trasforma in icona dell’immaginario collettivo: grazie al romanzo “Neuromancer” di William Gibson (1984), iniziatore del genere cyberpunk, la figura del cyborg (droide, androide, automa, robot antropomorfo o replicante) diventa un meme che si diffonde rapidamente in tutti gli ambiti della cultura di massa. Il mito cibernetico dell’integrazione uomo-macchina viene amplificato attraverso il cinema, grazie a una serie di cult movie di successo, il cui filone narrativo prosegue ancora oggi, tra cui Tron di Steven Lisberger (1982), Blade Runner di Ridley Scott (1982), Terminator di James Cameron (1984), Robocop di Paul Verhoeven (1987), Johnny Mnemonic di Robert Longo (1995), Matrix di Andy e Larry Wachowski (1999), Io, robot di Alex Proyas (2004), Il mondo dei replicanti di Jonathan Mostow (2009), Eva di Kike Maìllo (2011), Elysium di Neill Blomkamp (2013), Transcendence di Wally Pfister (2014), Automata di Gabe Ibáñez, Humandroid di Neill Blomkamp (2015) ed Ex Machina di Alex Garland (2015).

La rappresentazione dei cyborg nei media ha spesso riflettuto ansie culturali riguardo l’identità e l’integrità del corpo umano, come evidenziato nel “Manifesto Cyborg” di Donna Haraway (1991b; 1995), dove l’autrice descrive il cyborg come una creatura ibrida in un mondo post-genere, un idealtipo in grado di superare i limiti del binarismo tradizionale mettendo, in crisi le norme sociali e le strutture di potere esistenti.

Questa narrazione ha posto le basi per la comprensione contemporanea del modello cyborg, non solo come metafora dell’uomo postmoderno, ma come realtà imminente, con profonde implicazioni per la società attuale. Infatti, negli ultimi anni si è assistito ad una progressiva trasformazione del cyborg da figura dell’immaginario a entità biomeccanica incarnata nella realtà.

L’evoluzione dell’uomo verso un nuovo essere cibernetico era già stato immaginato nel 1920 dallo scrittore ceco Karel Čapek nel dramma utopistico R.U.R. (titolo originale: Rossumovi Univerzální Roboti), un’opera di letteratura distopica dove compare per la prima volta il termine “robot”, che rappresenta un umanoide organico del tutto simile all’essere umano, dotato di coscienza e in grado di provare sentimenti, ma anche di ribellarsi al suo creatore, prefigurando l’avvento della singolarità tecnologica (Čapek, 2015).

I rischi della ribellione della macchina all’uomo sono stati attentamente considerati da Isaac Asimov, che nel suo romanzo I, robot (pubblicato nel 1950), pone dei limiti alle capacità autonome dei robot attraverso le cosiddette “leggi della robotica”, il cui scopo è salvaguardare l’essere umano subordinando la macchina all’uomo (Asimov, 2021). Pertanto, è nel corso del ventesimo secolo che sono stati fatti i primi passi verso la definizione del cyborg quale entità reale, grazie all’evoluzione dei processi di protesizzazione e agli innesti biomeccanici, che hanno iniziato a modificare la percezione del corpo vissuto e osservato.

Oggi la tecnologia digitale sta assottigliando sempre di più la linea di separazione tra esseri umani e macchine attraverso lo sviluppo di protesi avanzate ed innesti artificiali, implementando i progressi della robotica e dell’AI. Mentre le prime tecnologie erano principalmente riparative (es. il pacemaker o gli impianti cocleari), negli ultimi anni stiamo assistendo alla creazione di nuovi dispositivi in grado di potenziare ed estendere le capacità umane: lo studioso di cibernetica Kevin Warwick ha documentato i suoi esperimenti con impianti neurali, che gli hanno permesso di controllare dispositivi in remoto e persino di comunicare in modo rudimentale con sua moglie tramite un’interfaccia uomo-macchina (Warwick, 2004; 2012; 2017). Questi sviluppi hanno mostrato come il concetto di cyborg possa estendersi oltre la mera compensazione di disabilità per esplorare nuove forme di interazione ed integrazione tra l’essere umano e la tecnologia.

Innovazioni tecnologiche

L’evoluzione delle interfacce uomo-macchina ha segnato il passaggio ad una nuova era di integrazione tra il corpo umano e i dispositivi tecnologici. Le prime pietre miliari in questo campo includono il lavoro di pionieri come Miguel Nicolelis, che ha esplorato le possibilità delle interfacce cervello-computer (BCI, brain-computer interfaces). Queste tecnologie permettono agli utenti di controllare gli arti protesici e i computer con il pensiero, come documentato nel suo libro Beyond Boundaries (Nicolelis, 2011). Le BCI hanno aperto la strada a ricerche ulteriori che potrebbero un giorno permettere la riparazione di danni al midollo spinale o persino l’upload della coscienza su piattaforme digitali, come speculato da Ray Kurzweil (2005; 2022).

Queste innovazioni tecnologiche non solo espandono le capacità umane ma pongono anche domande fondamentali riguardo la natura dell’esperienza umana e dell’identità in un’epoca in cui le barriere tra l’uomo e la macchina si stanno rapidamente dissolvendo.

Oggi le sperimentazioni di Neuralink stanno spostando ancora più avanti i confini dell’ibridazione uomo-macchina: il primo paziente nel cui cervello è stato impiantato il dispositivo prodotto dall’azienda californiana è riuscito a muovere il puntatore del mouse con il pensiero per giocare a scacchi. Grazie all’impianto cerebrale Neuralink è stato possibile trasformare gli impulsi elettrici del cervello in comandi per il computer, aprendo la strada ad incredibili applicazioni nella cura di malattie neurologiche degenerative come l’Alzheimer, il morbo di Parkinson o altre patologie come la cecità: il mito della fusione tra l’uomo e la macchina sta quindi diventando una realtà sempre più tangibile e necessita di una riflessione in grado di normalizzare questa nuova forma di corporeità.

A partire dall’introduzione delle prime protesi bioniche, che hanno permesso a molti esseri umani di recuperare funzionalità perdute, il percorso evolutivo delle interfacce uomo-macchina (HMI) hanno subito una significativa accelerazione: si è passati da una fase “Hands & Touch”, dove l’interazione uomo-macchina avveniva manualmente tramite pulsanti, tastiere e interruttori, ad una fase “Mind & Body”, dove il corpo umano stesso diventa interfaccia diretta con la macchina, o è addirittura la macchina ad emulare l’essere umano, come nel caso del robot umanoide dotato di AI creato dalla start up Figure. La figura del cyborg si dipana dunque da un retaggio narrativo e concettuale, molto radicato nell’immaginario collettivo e nella cultura di massa, fino alle sue attuali manifestazioni quale entità biotecnologica reale, segnando un percorso che continua a influenzare profondamente il modo in cui percepiamo noi stessi, la nostra corporeità e il futuro stesso della nostra specie.

La fenomenologia del Cyborg

L’ibridazione uomo-macchina ridefinisce profondamente l’esperienza umana.

L’integrazione uomo-macchina e la trasformazione dell’esperienza individuale

Quando protesi avanzate, impianti neurali e interfacce uomo-macchina si fondono con il nostro corpo, l’esperienza quotidiana si amplia e si trasforma. La percezione sensoriale si estende oltre i confini tradizionali, aprendo nuovi orizzonti di conoscenza e interazione.

Studi come quelli di Clark e Chalmers sulla “mente estesa” dimostrano che l’interazione con tecnologie esterne può diventare parte integrante del nostro processo cognitivo (Clark & Chalmers, 1998). L’avvento della tecnologia cyborg ha portato a un cambiamento fondamentale nell’esperienza vissuta del quotidiano: infatti, l’integrazione uomo-macchina modifica l’esperienza soggettiva e la percezione del proprio corpo, aprendo nuove prospettive e sfidando le concezioni tradizionali di sé. Per i cyborg, ovvero per gli individui che hanno deciso di impiantare dispositivi tecnologici nel proprio corpo, il mondo è percepito attraverso una lente ibrida di sensazioni naturali e artificiali.

L’integrazione uomo-macchina modifica radicalmente l’esperienza individuale, estendendo le capacità sensoriali e cognitive oltre i confini tradizionali.

Kevin Warwick, nel suo esperimento personale narrato in I, Cyborg (Warwick, 2004), illustra come gli impianti neurali possano alterare la percezione del mondo esterno, permettendo interazioni precedentemente inimmaginabili con l’ambiente, come sentire la presenza di oggetti mediante sensori infrarossi. Warwick può essere considerato il primo vero cyborg della storia: grazie alle sue ricerche sull’interfaccia uomo-macchina, nel 1998 lo studioso avviò l’esperimento denominato “Project Cyborg”, impiantando su se stesso un chip RFID ed interagendo direttamente con i computer attraverso il proprio corpo. Nel 2002 lo stesso Warwick impiantò un dispositivo BrainGate (costituito da un piccolo array di elettrodi) nel suo braccio, creando una connessione diretta tra il suo sistema nervoso, che gli permise di comunicare in maniera bidirezionale con la macchina, aprendo nuove possibilità di interazione uomo-macchina. Warwick ha narrato dettagliatamente la sua esperienza personale, riferendo che l’impianto aveva ampliato la sua percezione sensoriale, consentendogli di sentire gli impulsi elettrici inviati al computer. Impiantando lo stesso dispositivo nel braccio di sua moglie, Warwick ha potuto sperimentare forme di trasmissione dei segnali di movimento, pensiero o emozione tra i due individui, dando luogo al primo esperimento di telepatia tecnologica (Warwick, 2012; 2017). Ormai la fenomenologia del cyborg si estende oltre i cambiamenti fisici per includere l’impatto psicologico ed emotivo di diventare più di un organismo biologico.

Gli individui impiantati possono sperimentare un rinnovato senso di autonomia e abilità, ma anche un senso di intima connessione con la macchina, che non è percepita più come estranea al proprio corpo: la prima generazione di uomini cyborg è ormai nata e, accanto ad essa, sta emergendo un nuovo concetto corporeità, dove percezione ed emozioni si fondono per dar luogo ad un nuovo modello di coscienza e ad una nuova ontologia del corpo esteso dalle tecnologie digitali.

Percezione del sé e dell’altro: identità e alterità nell’ibridazione uomo-macchina

L’ibridazione uomo-macchina solleva domande profonde sull’identità e l’alterità. Quando parti di noi diventano cibernetiche, dove inizia il confine tra il “me” biologico e il “me” tecnologico? Come percepiamo noi stessi e gli altri quando le barriere tra corpo e macchina si dissolvono?

La figura del cyborg sfida le nozioni tradizionali di identità e ci costringe a riconsiderare cosa significhi essere umani. Come si è visto, la transizione verso la condizione cyborg influisce profondamente sulla percezione del sé e dell’alterità. Con l’ibridazione uomo-macchina, la questione dell’identità diventa più complessa. Le riflessioni di Donna Haraway nel suo “Manifesto Cyborg” suggeriscono che il cyborg rappresenti la dissoluzione delle categorie fisse di sé e altro, uomo e donna, natura e cultura. Nell’era dei cyborg, infatti, l’identità non è più ancorata esclusivamente all’organico; essa diventa un costrutto dinamico, un’interfaccia tra biologia, tecnologia e rete (Haraway, 1991a; 1991b; 1995).

La figura di una soggettività ibrida e ambivalente, quale quella del cyborg, richiede un’epistemologia in grado di considerare in maniera integrata il piano biologico e quello tecnologico: il cyborg non è più solo un mito o un emblema della società postmoderna, ma incarna la pervasività capillare e ubiquitaria della tecnologia nella vita umana (Lyotard, 1981; Pilotto, 2020). Il concetto di ibridazione uomo-macchina mette in crisi la netta distinzione tra corpo e tecnologia, permettendo all’uomo-cyborg di considerare i dispositivi tecnologici impiantati nel suo corpo come parti organiche e vitali, ossia non estranee alla propria soggettività biologica.

In quest’ottica decade il pericolo di una superiorità della macchina all’uomo, in quanto la tecnologia è incarnata nel corpo stesso e risponde ai comandi e ai desideri dell’uomo. L’uomo, pertanto, si evolverà grazie alla tecnologia incarnandola, liberandosi dai tratti naturali della specie umana, che lo hanno accompagnato nel corso della sua evoluzione: il superamento concettuale del modello evolutivo darwiniano attraverso una nuova cyber-ontologia del corpo biomeccanico apre le porte alla prospettiva postumanista, che trova attuazione nel movimento culturale del Transumanesimo (Baily et al., 2009; Campa, 2010; Bostrom, 2011).

Ma il discorso cambia radicalmente, se si considerano i rischi legati all’innesto di dispositivi dotati di AI, che potrebbero compromettere le capacità decisionali umane determinando inesorabilmente la supremazia della macchina sull’uomo e l’avvento della singolarità tecnologica (Kurzweil, 2005; 2022).

In un simile scenario, il concetto di alterità si riferisce alla relazione tra esseri umani non potenziati e cyborg: l’emergere di nuove forme ibride di esistenza tra esseri umani potenziati e non può generare tensioni e domande riguardo all’inclusione e all’equità, nonché considerazioni sull’essenza della condizione umana. Infatti, la distinzione tra uso di tecnologie bioniche per il ripristino di funzioni perse e potenziamento delle capacità umane rappresenta una questione etica importante: mentre il ripristino di funzioni perse può essere visto come un obiettivo terapeutico, il potenziamento può sollevare preoccupazioni riguardo a questioni di equità, accessibilità e potenziali usi impropri.

La sfida, dunque, diventa quella di riconciliare la coesistenza di molteplici modi di essere, evitando discriminazioni sociali nell’accesso alle tecnologie cyborg (preludio a possibili tecnocrazie o totalitarismi tecnologici) e promuovendo un’etica dell’integrazione.

Corpo e mente: l’ontologia del corpo umano esteso dalle tecnologie

L’ibridazione uomo-macchina ridefinisce la nostra ontologia corporea e lo statuto del corpo: grazie a tecnologie protesiche, impianti neurali e interfacce uomo-macchina il corpo non è più solo biologico ma tecnologicamente e digitalmente “esteso”. Questa nuova ontologia ci sfida a considerare il corpo come un sistema dinamico, in cui biologia e tecnologia si sono ormai intrecciate inesorabilmente. La ricerca di Gallo e Stancati sulla “mente estesa” ci invita a riflettere su come il corpo umano possa diventare un “corpo diffuso”, in cui la mente si estende oltre i confini biologici, fondendosi con innesti tecnologici e proiezioni online (Gallo & Stancati, 2020). Le profonde implicazioni dell’ibridazione uomo-macchina ci spingono pertanto a riflettere su come la tecnologia stia ridefinendo la nostra stessa natura: si afferma una nuova ontologia del corpo umano.

La mente stessa, una volta considerata una fortezza privata e inviolabile, può ora essere estesa, mappata e in alcuni casi condivisa o influenzata dall’esterno attraverso interfacce uomo-computer (BCI). Questo solleva questioni profonde riguardo all’ubicazione dell’identità e della coscienza.

Le tecnologie cyborg non solo potenziano il corpo ma riconfigurano il nostro concetto di corpo e la nostra auto-percezione.

Come mostrato negli studi di Nicolelis (2011), le protesi controllate dal pensiero possono diventare parti integrate dell’autocoscienza dell’individuo, dissolvendo la linea di demarcazione tra corpo biologico e innesti meccanici ed estendendo il corpo oltre i suoi limiti fisici: l’osmosi tra corpo e tecnologia invita ad una riflessione sulla natura del sé in un’epoca in cui l’essere umano può essere considerato, almeno in parte, un artefatto di propria creazione. Questa analisi fenomenologica rivela che l’integrazione uomo-macchina non è solo una questione di ingegneria, ma un’evoluzione complessa che tocca le fondamenta stesse dell’esistenza umana: le embodied technologies stanno ridefinendo l’ontologia tradizionale dell’essere umano, ampliando il concetto di corporeità. Tale espansione ontologica è stata esplorata da filosofi, scienziati e teorici della tecnologia che hanno cercato di comprendere come tali cambiamenti stiano influenzando la nostra comprensione dell’identità e dell’esistenza. Come già detto, Donna Haraway nel suo “Cyborg Manifesto” (1991) ha definito il corpo postumano come un’entità ibrida che sfida le distinzioni binarie di genere, affermando che la tecnologia sta diventando una componente inseparabile della nostra biologia, anche se l’attuale cyborgizzazione della società sta riaffermando tecnologicamente tali distinzioni attraverso i genderized robots, modelli sessualizzati di umanoidi che impongono nuovi schemi di relazione uomo-macchina (Mizuta, 2014; Alesich & Rigby, 2017; Dumouchel & Damiano, 2019; Aşkın et al., 2023). Come si vede, il cyborg non è più solo un concetto o una figura retorica, come agli esordi della cultura di massa, ma una realtà immanente che incarna il collasso tra organico e artificiale, tra naturale e meccanico. La mente non è più confinata né definita da limiti fisici, ma può estendersi oltre il corpo biologico per interagire e controllare tecnologie esterne, connettendosi in rete. Tale estensione può portare a nuove forme di percezione della realtà, modificando la nostra stessa capacità di agire, come indicato da Clark e Chalmers (1998) nella loro teoria dell’extended mind, dove gli autori sostengono che gli strumenti e i dispositivi che utilizziamo diventano parti integranti del nostro processo cognitivo: si pensi alla realtà aumentata e al metaverso. In “How We Became Posthuman” Katherine Hayles esplora l’idea che la nostra nozione di “umano” sia profondamente legata agli sviluppi tecnologici, e che l’integrazione delle tecnologie informatiche e biotecnologiche stia sfidando la nostra comprensione della mente e della coscienza (Hayles, 1999; 2006).

La possibilità di collegare il cervello umano alla rete (come nel film Transcendence) può determinare la nascita di una coscienza diffusa e universale, di un corpo espanso e ubiquitario, attualizzando i rischi di un controllo centralizzato sulle vite umane da parte di una superintelligenza globale (Goertzel, 2015). Come si vede, la nuova ontologia del corpo umano esteso dalle tecnologie non è priva di problemi etici e filosofici.

Infatti, Francis Fukuyama (2002) nel suo saggio Our Posthuman Futuresolleva preoccupazioni sulle implicazioni di queste tecnologie per la nostra umanità, argomentando la necessità di considerare attentamente i limiti e le normative che dovrebbero governare il loro uso. Queste riflessioni sottolineano che la tecnologia non è solo uno strumento esterno all’individuo, ma un’estensione dell’essere che ridefinisce la nostra stessa natura di essere umani. L’ontologia del cyborg è quindi una condizione dinamica, una continua negoziazione tra il sé corporeo e la tecnologia, che ridefinisce i confini del possibile e del lecito nell’esistenza umana.

Conclusioni

Oggi la figura del cyborg non è più un mito, ma un’entità biomeccanica senziente: essa rappresenta un “salto di specie” del genere umano, l’evoluzione di un corpo digitale tecnologicamente migliorato ed “esteso”, ma anche di una macchina in grado di funzionare secondo le leggi della natura, incarnando il nuovo essere postumano (Marchesini, 2002; 2009). Non c’è più l’ambiguità e l’incertezza che hanno reso questo mito così affascinante per la cultura di massa e l’immaginario collettivo: esiste ormai un nuovo essere dotato di una propria soggettività e di un proprio statuto ontologico, frutto di una convergenza totale di biologia e tecnologia dove l’identità umana si è fusa con la macchina in un’ottica di immortalità.

Tutto è ormai compiuto e non resta che assistere ad una inarrestabile evoluzione il cui epilogo è difficile da prevedere. L’integrazione uomo-macchina e l’implementazione di interfacce neurali avanzate, che collegano direttamente il cervello umano al computer, segnano l’avvento di un nuovo modello antropologico basato sulla perfetta ibridazione uomo-macchina, una nuova entità dove non c’è più separazione tra identità e alterità, ma tutto è ricondotto ad un unico essere biomeccanico integrato (Marazzi, 2012; Cucci, 2022).

Il contrasto ora diventa ideologico: transumanisti e bioconservatori si affrontano sul fronte dell’accettazione o meno di questo nuovo concetto di corporeità e umanità, la cui posta in gioco è la dignità dell’uomo e il futuro della nostra specie (Bostrom, 2002; 2003; 2004; 2005; Menon et al., 2024). Se è vero che lo human enhancement ha dato speranza a chi crede che la tecnologia possa potenziare e migliorare l’essere umano, è altrettanto vero che sussistono dei limiti etici che hanno lo scopo di preservare l’unicità e l’essenza stessa della natura umana, ossia il concetto di humanitas che la contaminazione tecnologica potrebbe inesorabilmente distruggere.

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