generazione z

Figli iperconnessi alla rete, tutti i rischi e come evitarli

E’ giusto preoccuparsi del tempo che i nostri figli passano online a giocare o sui social, ma meglio non sottovalutare altri possibili rischi e pericoli in cui potrebbero imbattersi più facilmente, con effetti altrettanto nocivi. Ecco alcuni consigli su cosa fare per stare tranquilli

Pubblicato il 21 Nov 2019

Andrea Millozzi

Blogger & Maker, HiTech Lover

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Da qualche tempo è in corso un intenso dibattito sulla possibile influenza negativa che i videogiochi possono avere nei confronti dei ragazzi: l’argomento è scottante.

Mentre in Cina sono arrivati a regolarne l’uso con leggi che obbligano i minorenni a rispettare determinati divieti, negli USA il Presidente Trump ha puntato il dito proprio contro i videogame perché indurrebbero alcuni ragazzi a stili di vita violenti che sfocerebbero poi in tragedie.

Inoltre, è di pochi mesi fa la notizia dell’inserimento del “gaming disorder”, da parte dell’OMS, nella lista ufficiale delle malattie mentali, anche se poi subito dopo uno studio di Oxford ha smontato questa tesi perché non sarebbero state valutate tutte le possibili cause per essere davvero certi del nesso videogame/danni alla salute: quindi, dietrofront! I videogame in sé non sarebbero un pericolo per le nuove generazioni.

In base ai dati disponibili e alle ricerche svolte finora, infatti, gli esperti confermano che la “dipendenza” da videogame, quella dannosa, che può essere considerata una patologia a tutti gli effetti, è per fortuna un evento molto raro. Quindi sì, è giusto vigilare, ma senza troppe ansie. Possiamo rilassarci quindi? Non proprio…

Nonostante si sia data tanta visibilità, da parte dei media, ad un problema che, come abbiamo visto, alla fine è quasi marginale, da papà nerd vedo tralasciate tante (troppe!) informazioni molto più impattanti e importanti per le famiglie e la loro sicurezza: bisognerebbe considerare altri possibili rischi e pericoli in cui potrebbero imbattersi con più probabilità i nostri figli durante il tempo trascorso online, con effetti gravi, tangibili e concreti.

Proviamo a elencare alcuni rischi ben più comuni del “gaming disorder”.

Cyberbullismo

Avendo a portata di mano lo smartphone, oggi è molto facile per i ragazzi incappare in situazioni che ricadono nel cyberbullismo: non è raro ad esempio che un ex scelga di condividere con i propri amici delle foto osé che sarebbero dovute restare private. Oppure può accadere che un amico un po’ troppo sempliciotto decida di pubblicare un video che ritrae tuo figlio in atteggiamenti che, estrapolati dal contesto, lo fanno sembrare uno stupido, facendolo diventare lo zimbello della scuola.

Un’altra possibilità per niente remota potrebbe essere quella legata al furto o alla perdita dello smartphone: casi in cui c’è la forte possibilità che dati sensibili finiscano nelle mani di qualche malintenzionato, con conseguenze che possono andare dal furto di identità alla divulgazione di immagini o video privati.

Insomma, stiamo parlando di un vero e proprio reato penale (che ovviamente impatta negativamente su tutta la famiglia) e vista la facilità con cui potrebbe verificarsi, è davvero necessario porre molta attenzione, cercando il più possibile di instaurare un dialogo costruttivo con i figli, basato sulla spiegazione di quali siano i comportamenti corretti da tenere e quali situazioni, è assolutamente meglio evitare.

Hacker

Ogni giorno sono migliaia gli attacchi informatici: il loro obiettivo principale è quello di arricchirsi violando i sistemi. Quello che un genitore deve assolutamente sapere è che per riuscirci un hacker escogita mille piani, compreso quello di attaccare il PC o la consolle di tuo figlio, sfruttarne le debolezze e farsi strada nella rete interna che hai in casa per riuscire ad accedere ai tuoi dati privati, come quelli bancari.

Purtroppo i buchi digitali esistenti, fra quelli conosciuti e quelli che vengono allo scoperto ogni giorno, sono talmente tanti che alla fine è solo una questione di tempo. Per non parlare dei malware usati dai malintenzionati: farne un elenco non avrebbe senso visto quanti sono!

Insomma, anche in questo caso l’unica arma a disposizione è il dialogo: è necessario informarsi sulle varie minacce e parlarne insieme ai figli (e perché no, anche con i suoi amici). Ho radunato diversi consigli che possono esserti utili, in questo articolo: “La cyber security comincia a casa: consigli per difendersi dalle nuove minacce“.

Pedofilia

Da Wikipedia: “La parola pedofilia, termine derivante dal tema greco παῖς (bambino) e φιλία (amicizia, affetto), indica un disturbo della preferenza sessuale avente per oggetto bambini e neonati e comunque prepuberi. Per individui adolescenti si parla invece di efebofilia o ebefilia”.

Purtroppo, nonostante la pedofilia sia un reato punito con sanzioni molto gravi, stando alle cronache, non è raro imbattersi in rete in persone malate di questo disturbo: sempre più spesso queste persone, per venire in contatto con le loro “prede”, utilizzano le chat presenti nei social network, ma anche in quelle dei videogiochi, ambienti frequentati proprio dai ragazzi. Il loro obiettivo ovviamente è quello di riuscire, utilizzando dei piccoli premi, come soldi o ricariche per lo smartphone, ad adescare la vittima di turno per portarla a compiere atti sessuali, online ma anche offline.

Naturalmente se i genitori hanno un buon rapporto con i propri figli sarà molto difficile che il pedofilo riesca nel suo intento: infatti verrà probabilmente smascherato già alla prima richiesta “strana”, quindi il consiglio è sempre lo stesso (e non può essere altrimenti): parlate, parlate, parlate con i vostri figli!

Una piccola parentesi: se vostra figlia (o vostro figlio) usa l’App chiamata TikTok (conosciuta anche come Musically), almeno per le prime volte chiedete di farvi capire il funzionamento e di farvi vedere cosa fanno gli altri ragazzi che la usano. Guardate e valutate voi se è idonea all’età: purtroppo non è difficile imbattersi in bambine e bambini mezzi svestiti che cantano e ballano mettendo in mostra il proprio corpo. Il terreno di caccia perfetto per i malintenzionati…

Neuromarketing

Fin dalla sua nascita, il commercio ha portato i venditori a trovare il modo migliore per piazzare i loro prodotti al grande pubblico. Questa ricerca spasmodica della vendita perfetta è sempre esistita, e la sua massima espressione è indubbiamente la pubblicità: si è partiti dal passaparola iniziale, per arrivare ai poster e alle inserzioni sui giornali e sulle riviste, per poi approdare al cinema e alla televisione.

Ma con l’avvento della tecnologia e dei computer, avendo la possibilità di veicolare le informazioni pubblicitarie in tutto il mondo, in tempo quasi reale, le tecniche di persuasione hanno raggiunto limiti etici discutibili.

C’erano già state le prime avvisaglie quando anni fa iniziò a circolare la voce che all’interno di alcuni film venivano introdotte delle immagini raffiguranti prodotti o loghi aziendali, che passavano davanti agli occhi in modo talmente veloce da non essere viste, ma che, allo stesso tempo, erano percepite inconsciamente dal cervello degli spettatori ignari di quello che stava succedendo, tutto questo per indurli a comprare ed aumentare quindi le vendite. Stiamo parlando delle cosiddette immagini subliminali.

Da allora, lo studio sul funzionamento del cervello ha fatto passi da gigante: oggi però molti neuroscienziati, invece di prestare i loro servizi alla medicina, come ci si aspetterebbe, hanno deciso di utilizzare le loro conoscenze per aiutare le multinazionali (ma anche la politica) a scoprire i meccanismi da adottare per persuadere le persone a comportarsi in un modo piuttosto che in un altro, senza che se ne rendano conto.

Uno dei casi più eclatanti è quello di Cambridge Analytica: una azienda che ha sfruttato i dati presenti nei social network per influenzare, riuscendoci, la scelta di voto di milioni di americani.

Ovviamente anche i social network, ma soprattutto i videogiochi, sono studiati e modellati in base agli studi fatti sul funzionamento del cervello: da genitori dobbiamo stare molto attenti. I giovani infatti, per loro natura, non hanno ancora acquisito quelle capacità tipiche di un adulto di capire come reagire davanti a certi stimoli, e per questo sono più fragili ed influenzabili. Se poi consideri che spesso neanche noi adulti siamo in grado di competere contro queste pratiche subdole ma, ahimé, efficaci… è meglio tenere la guardia alzata e adottare un comportamento di scetticismo soprattutto riguardo a tutti quei videogiochi dove prevalgono ricompense e premi “indotti”, che servono proprio per “addomesticare” e “costringere” il povero giocatore a continuare a giocare, ore e giorni, senza sosta, effettuando spesso acquisti cosiddetti “in-app” (cioè all’interno del gioco).

Classificazione in base all’età (Pegi)

Di seguito alcune considerazioni utili rispetto all’età e all’uso dei videogiochi e dei social network.

Per prima cosa, anche alla luce dell’entrata in vigore del GDPR, è indispensabile controllare che la registrazione del minore sulle varie piattaforme e nei videogiochi (se richiesta) avvenga secondo il rispetto dei regolamenti: troppo spesso invece si lasciano soli i figli ad effettuare queste operazioni che, è importante sapere, possono avere in alcuni casi anche dei risvolti penali (come nel caso ad esempio di siti di scommesse online). Questo significa che, presenti o no all’operazione di registrazione, alla fine la giustizia chiederà comunque conto, a noi genitori, come ben evidenziato ad esempio su questo sito in cui si gioca d’azzardo:

«I clienti minorenni che avessero fornito informazioni false o inesatte sulla propria età reale potrebbero vedersi confiscare le vincite e potrebbero essere sottoposti a procedimento penale».

In secondo luogo è bene preservare, almeno i più piccoli, da immagini violente o di tipo sessuale, per questo è necessario valutare sempre in anticipo se il gioco, l’App, la piattaforma, ecc. siano adatti o meno alla loro età. Per saperlo esistono delle classificazioni a cui le aziende si devono adeguare prima di offrire i propri prodotti e servizi ai minori. Per giudicarne l’idoneità in base all’età di tuo figlio, basta che guardi la presenza della parola PEGI (che è l’acronimo di Pan European Game Information) e di un simbolo che riporta al suo interno un numero, che sta a rappresentare proprio l’età indicata conforme per quel prodotto o servizio.

Per lo stesso motivo è sempre meglio attivare, lì dove esiste, il “Controllo genitori”. Un servizio che permette eventualmente di inibire, per uno specifico account, l’accesso a videogiochi che sono senza classificazione oppure classificati per età o per tipo di contenuto.

Per facilitare la ricerca in base all’età, PEGI ha creato un’App con cui chiunque può sfogliare i dati presenti nel database dei videogiochi più recenti e le relative classificazioni, ma anche filtrare i risultati in base al genere o alla piattaforma in modo da rendere più semplice (soprattutto ai genitori), la ricerca del videogioco più adatto alle proprie esigenze.

Molto utili anche le istruzioni dettagliate riguardo alle modalità di installazione dei sistemi di controllo parentale: l’applicazione può essere scaricata su Google Play Store e Apple Store.

Salute posturale, visiva e cerebrale

Proprio di recente è stata divulgata una notizia che ha lasciato interdetti i genitori: il tempo passato davanti ai display elettronici modifica letteralmente il cervello dei bambini, in peggio. Questo sembra essere il risultato di uno studio pubblicato da Jama Pediatrics, basato sulle risonanze magnetiche, che ha messo in relazione la durata di esposizione ad uno schermo da parte dei bambini e le modifiche cerebrali, evidenziando così una accertata perdita di capacità cognitive.

Dallo studio, precisa l’autore principale John Hutton, non emerge un “tempo minimo sicuro”. Per stare tranquilli forse è meglio adottare il principio di precauzione e fare in modo che i bambini arrivino all’asilo con una solida base nel mondo reale, evitando di far usare loro qualsiasi dispositivo elettronico (e men che meno in autonomia) almeno nei primissimi anni di vita.

Questo comunque è solo l’ultimo di una serie di allarmi lanciati dagli esperti sui pericoli dovuti all’uso degli schermi da parte soprattutto dei ragazzi: il problema risiede nel fatto che i giovani della Generazione-Z fanno parte della prima generazione di essere umani sottoposti alle conseguenze legate all’uso intensivo dei display. Si tratta di un esperimento mai tentato prima, di cui non conosciamo ancora gli esiti.

Ad esempio sappiamo che i display, per come sono stati progettati, emanano luce blu: questo fatto è stato a lungo oggetto di dibattito visto che da alcuni studi era emerso che la continua esposizione alla luce blu può causare la morte di alcuni componenti cellulari della retina e che, stando a precedenti evidenze su animali, potrebbe aumentare il rischio di degenerazione maculare, una patologia generalmente legata all’età, che può portare alla perdita della vista.

Recentemente pare che ci sia stato un dietrofront. Nuovi studi hanno confermato che la luce blu non fa male! O almeno, non è pericolosa per la vista, ma gli scienziati mettono comunque in guardia sul fatto che questo tipo di luce può incidere in maniera rilevante sul ritmo sonno-veglia, andando ad alterare, rendendolo più difficile, il passaggio tra la veglia e il sonno. Ed infatti, non a caso, si parla sempre più spesso di una generazione di… zombie.

Un’altra attenzione che dobbiamo adottare, sempre riguardo alla vista, è quella di non affaticare l’occhio: davanti allo schermo del PC così come davanti a un libro, è la concentrazione prolungata e fissa che potrebbe comportare un danno alla vista. Infatti, in queste condizioni, avviene una diminuzione del numero di volte in cui si ammicca (si battono le ciglia), e l’occhio rischia di diventare troppo asciutto. È questa concentrazione, protratta spesso per tante ore, che può portare ad uno stato irritativo, che spesso viene scambiato per stanchezza. Una condizione che a sua volta, se costante e continuativa, nel tempo può contribuire ad una cronicizzazione della condizione patologica.

Ultima accortezza legata all’uso che fanno i ragazzi dei display è quella di regolare bene la sedia della postazione informatica, adattandola all’altezza del ragazzo, in modo da rispettare tutti i canoni ergonomici e non impattare in modo negativo sulla schiena e quindi sulla salute, quando studia o sta al PC.

Conclusioni

Ricapitolando, sebbene l’uso ossessivo dei videogiochi (e dei social) possa sicuramente rappresentare una grande preoccupazione per i genitori (motivo per cui tutti gli occhi dei media sono puntati su questo argomento), in realtà, se non stiamo attenti, rischiamo di perdere di vista qualcosa di altrettanto importante e di ben più diffuso: maggiore è il tempo che stiamo connessi ad Internet, maggiori sono le possibilità di incappare, come abbiamo visto, in problemi più o meno gravi.

Il consiglio che, da “papà tecnologico” mi sento di dare a tutti i genitori è quello di non abbassare la guardia, ma al contrario, di informarsi il più possibile su queste tematiche e trovare poi il modo di parlarne e di coinvolgere i ragazzi.

Mi rendo conto che questa non è un’operazione facile: probabilmente già alla terza volta che ci provi, spesso quello che ottieni è uno sguardo indispettito con gli occhi al cielo (ci sono passato).

Personalmente, proprio per evitare queste spiacevoli situazioni, ho escogitato un piano: realizzare insieme a mio figlio una serie di podcast sul tema cybersecurity e videogames (che poi è proprio il titolo del podcast!), così oltre a divertirci e divulgare utili informazioni, lo “costringo” amichevolmente ad ascoltare quali sono le “buone pratiche” da tenere quando si è online.

Quello che è certo è che un buon rapporto genitori/figli è la migliore prevenzione possibile: quindi, invece di imporvi con regole da rispettare o (peggio) installare App per abilitare o inibire l’uso dei device – comportamenti che deteriorano i rapporti, da usare davvero come extrema ratio – è molto più vantaggioso, utile e divertente, contrastare questi problemi sedendoti accanto a tuo figlio a giocare insieme a lui.

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