LO SCENARIO

Intelligenza artificiale a supporto della scienza e della ricerca: stato dell’arte

I sistemi di AI stanno dando la svolta ai processi alla base della ricerca. Ma lo stato dell’arte non consente alle nuove tecnologie di superare le doti di astrazione necessarie all’invenzione scientifica. Almeno per il momento. Google sta mettendo a punto un nuovo algoritmo “intuitivo”: farà scuola?

Pubblicato il 20 Mar 2020

Piero Poccianti

past president AIxIA

renAIssance - intelligenza artificiale

L’Intelligenza Artificiale sta determinando un’ulteriore significativa evoluzione nei sistemi a supporto dei ricercatori e del metodo scientifico. I paradigmi di IA consentono di realizzare macchine in grado di ragionare, percepire la realtà, imparare da esempi, individuando pattern e clusterizzando i dati e le informazioni. Vediamo come si sono sviluppate le tappe di questo processo.

Scienza e computer, i primi passi

Da tempo i ricercatori utilizzano i computer nelle loro ricerche. Non solo come strumenti di supporto all’analisi dei dati, come ci potremmo aspettare, ma anche per i loro preziosi contributi destinati a cambiare lo stesso metodo scientifico.

Uno dei primi esempi che mi viene in mente riguarda il Teorema dei 4 colori[1] che afferma che data una superficie piana divisa in regioni connesse, come ad esempio una carta geografica politica, sono sufficienti quattro nuance per colorare ogni regione facendo in modo che le regioni adiacenti non abbiano lo stesso colore. Affermare che 4 colori sono sufficienti è particolarmente complesso, tanto che la dimostrazione di questo teorema, per una delle prime volte nella storia della matematica, ha richiesto un estensivo ricorso al computer.

La dimostrazione si basa sulla riduzione del numero infinito di mappe possibili a 1476, per le quali la validità del teorema viene verificata caso per caso dal computer. Per ridurre al minimo la possibilità di errore, il programma fu eseguito su due diverse macchine con due algoritmi indipendenti; per completare l’analisi di tutti i casi possibili fu necessario lasciar lavorare i computer per migliaia di ore.

Un altro esempio storico è costituito da un libro scritto da due allievi di Seimurt Papert, uno dei ricercatori più famosi nel campo dell’Intelligenza Artificiale, Hal Abelson and Andrea diSessa. Il libro, dal titolo “Turtle Geometry[2]”, invita gli studenti ad esplorare la matematica e la geometria usando il logo, un linguaggio derivato dal lisp. Il sottotitolo è The Computer as a Medium for Exploring Mathematics. In fatto di linguaggi per esplorare la scienza come Mathematica o le sue versioni on line (Wolfram Alpha) sono da tanto tempo strumenti preziosi che hanno sostituito il regolo calcolatore di vecchia memoria.

Wolfram Alpha, in particolare, è un motore di ricerca semantico dotato di abilità complesse in vari campi del sapere (matematica, chimica, fisica e molto altro).

Intelligenza artificiale per la scienza

Più di 10 anni fa un programma di IA era in grado di analizzare l’enorme mole di articoli pubblicati nel campo della genomica e di suggerire quale gene poteva essere responsabile di una determinata malattia ([3]). Gli attuali motori di ricerca semantici sono in grado di leggere l’enorme mole di articoli scientifici generati e portare all’attenzione del ricercatore notizie e ricerche che potrebbero sfuggirgli e persino suggerire spunti di ricerca mettendo in relazioni le evidenze emerse. È una metodologia di ricerca e tool attiva in molti campi, dalla medicina alla matematica.

Giovanni Colavizza, data scientist operativo all’Istituto Alan Turing a Londra sull’analisi delle pubblicazioni scientifiche, ha scritto sull’International Journal of Science che gli strumenti di IA sono capaci di estrarre informazioni significative da tali pubblicazioni[4]. L’articolo afferma che un enorme numero di pubblicazioni scientifiche sono disponibili su internet con almeno 1 milione di nuovi lavori pubblicati ogni anno. Dati questi numeri è impossibile per un ricercatore mettere in ordine, leggere e analizzare gli articoli che suggeriscono diverse ipotesi.

Il problema può essere risolto, almeno parzialmente, utilizzando strumenti di IA che possono aiutare gli scienziati ad estrarre specifici contenuti mettendoli in ordine di importanza, filtrandoli e raggruppandoli. Un esempio di questa tecnologia è rappresentato da Iris.ai[5], un sistema che assiste il ricercatore nel processo di mappare e acquisire nuova conoscenza scientifica. Tuttavia questa straordinaria opportunità non deve essere considerata l’unica via percorribile. Pur constatando il grande potere dell’AI dobbiamo affidarci ad essa con estrema cautela e attenzione perché la sua capacità non è illimitata. Non tutta l’informazione utile è infatti raggiungibile attraverso questi strumenti: fatti non convenzionali, poco citati o inconsueti rischiano di essere oscurati.

Robot in gara con il ricercatore

Oggi molti articoli dichiarano che gli scienziati saranno a breve obsoleti e che le macchine sono già in grado di estrarre regolarità dai dati (anche immagini), di formulare ipotesi e provarne la validità.

Kevin Schawinski, un astrofisico che ha lavorato per l’Istituto Federale di Tecnologia di Zurigo, ha catalogato le galassie in base alla loro forma ed ha realizzato un software in grado di aiutare gli astronomi in questo compito.

Le reti neurali artificiali sono in grado di individuare anche pattern temporali e quindi di fare previsioni.

Individuare una legge a partire da dati sperimentali fa parte del metodo scientifico. Oggi siamo in grado di insegnare ad una rete le regolarità che sottintendono ad un fenomeno. In qualche modo la rete impara la legge. In alcuni casi ci stiamo già provando con successo.

Brian Nord, un astrofisico del Fermi National Accelerator Laboratory che utilizza reti neurali artificiali per studiare il cosmo, è tra coloro che temono che non ci sia nulla che uno scienziato umano possa fare che sia impossibile da automatizzare. “È un pensiero agghiacciante”, ha dichiarato. Un team all’IBM[6] sostiene di aver già raggiunto questo risultato attraverso lo sviluppo di un algoritmo capace di collezionare nuove scoperte scientifiche attraverso tecniche di text mining, visualizzazione e analisi capaci di estrarre fatti e proporre ipotesi di spiegazione dei fenomeni.

Analogia e astrazione: quel che manca alla AI

Contrariamente a quanto afferma Brian, ritengo che siamo ancora lontani da una macchina in grado di fare analogie e astrazione. Le macchine possono aiutare la ricerca, qualche volta modificano i paradigmi con cui la scienza evolve, ma non sono ancora in grado di sostituire uno scienziato.

Le macchine basate sull’IA sono già oggi capaci di fare ipotesi, testarne la validità, attraverso il ragionamento e la sperimentazione in accordo con il metodo scientifico. Alcune forme di AI, come le adversarial networks, possono mettere a confronto obiettivi diversi facendoli competere uno contro l’altro, per ottenere un risultato ottimale.

L’IA risulta quindi un valido alleato, soprattutto per la capacità di analizzare enormi moli di dati, come quelle generate dai moderni laboratori nel campo dell’astronomia, della fisica delle particelle elementari, delle scienze sociali, dello studio dell’ambiente e molto altro. Le nostre macchine sono in grado di “osservare” e di simulare fenomeni, ma anche di andare oltre, portando all’attenzione dei ricercatori pattern che non sarebbero in grado di individuare da soli.

I limiti dell’Intelligenza artificiale

Astrazioni e analogie sono facoltà indispensabili per la scienza e, ad oggi, rimangono appannaggio degli esseri umani. Recenti articoli che prevedono la sostituzione dei ricercatori da parte dell’IA non tengono conto delle attuali limitazioni, ancora oggetto di sfida per la ricerca in questo campo.

Ad oggi una rete neurale è in grado di predire, ma non di formalizzare la legge che ha individuato. Per far questo dovremmo riuscire ad integrare le reti con i sistemi logici e di rappresentazione della conoscenza in modi che ancora non riusciamo ad affrontare.

Nel suo recente The Book of Why (2018), lo scienziato Judea Pearl insieme allo scrittore scientifico Dana Mackenzie afferma che i dati sono “profondamente stupidi”. I principi causali non possono semplicemente essere evinti soltanto dai dati. Per interpretare i dati serve un modello concettuale, un’astrazione che vada oltre la semplice descrizione delle regolarità che possiamo osservare.

Non tutti ritengono che la mancanza di trasparenza e di esplicitazione delle reti neurali sia un vero problema. Lenka Zdeborová, un ricercatore all’Institute of Theoretical Physics al CEA Saclay in Francia, suggerisce che l’intuizione umana è spesso altrettanto impenetrabile. Anche la nostra mente, in alcune situazioni, è una scatola nera. Albert Einstein diceva che “La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un servo fedele.

I ricercatori procedono attraverso l’intuizione e il ragionamento: l’intuizione suggerisce strade da percorrere perché una certa idea risulta attraente, è simile al processo con cui procede un artista a caccia della bellezza. La mente razionale segue la strada suggerita dall’intuizione e prova a dimostrare o a confutare che il percorso sia corretto.

Recentemente Google ha creato un algoritmo particolarmente abile a dimostrare teoremi che utilizzano la logica per fare le dimostrazioni e la deep neural network per scegliere il percorso più promettente nell’albero delle decisioni da prendere. Usa quindi sia la mente intuitiva che quella razionale. Proprio come fa un ricercatore. Oggi ha dimostrato solo teoremi già dimostrati dagli umani precedentemente, ma in prospettiva potrebbe lavorare su campi nuovi.

Scienziati ancora al top

I computer e l’IA in particolare hanno e stanno facendo evolvere il metodo scientifico verso nuovi traguardi. Nonostante entusiasmi e paure siamo ancora lontani da macchine in grado di esprimere capacità analoghe a quelle dei ricercatori a 360 gradi. Abbiamo però strumenti di IA che possono potenziare la nostra abilità di ricerca e, in molti campi, possiamo realizzare assistenti utili per lo scienziato.

In alcuni casi le macchine superano le capacità dell’uomo, in fondo le costruiamo per questo: alleviare e potenziare il nostro lavoro. Grazie alle macchine possiamo lavorare meno e meglio, possiamo avere più tempo libero per pensare e fare lavori creativi.

Ma se il nostro obiettivo è licenziare gli scienziati per risparmiare creeremo una società distopica.

Fonti

https://www.enago.com/academy/artificial-intelligence-research-publishing/

https://www.weforum.org/agenda/2016/06/5-ways-artificial-intelligence-will-disrupt-science/

https://www.quantamagazine.org/how-artificial-intelligence-is-changing-science-20190311/

https://medium.com/@fusemachines/how-artificial-intelligence-will-impact-scientific-research-4e6f4face1ae

  1. http://www.science.unitn.it/probab/Mathmodels/article-quattro_colori.pdf
  2. https://mitpress.mit.edu/books/turtle-geometry
  3. Robot Makes Scientific Discovery All by Itself.”
  4. “state-of-the-art information retrieving
  5. https://iris.ai/
  6. https://dl.acm.org/purchase.cfm?id=2623667

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