Intelligenza artificiale

Intelligenza artificiale, cosa vogliamo dalle macchine smart?

Il mondo industriale e il mercato dei servizi richiedono sistemi intelligenti per renderci più produttivi nelle aree tecniche e dei servizi, ma dobbiamo reinventare l’uomo del futuro con le nuove professionalità e i nuovi ambienti. Perché e come fare intelligenza artificiale

Pubblicato il 17 Set 2021

Sandro Incerti

Università Campus Bio-Medico di Roma

intelligenza artificiale

Vogliamo macchine intelligenti? Vogliamo davvero l’intelligenza artificiale? Allora i computer dovranno commettere gli stessi stupidi errori che commettono gli uomini. Al di là delle riflessioni di H. K, Dicken, acuto osservatore dell’intelligenza artificiale (IA), ciò che il mondo industriale e il mercato dei servizi richiedono sono prestazioni di riconoscitori vocali e di oggetti, di sistemi esperti, di robot intelligenti per renderci più produttivi nelle aree tecniche e dei servizi.

Una via italiana all’intelligenza artificiale: strategie e linee di intervento

Le tendenze delle ricerche di intelligenza artificiale (IA)

L’albero evolutivo delle ricerche di IA in tanti anni mostra le potenziali linee di tendenza, in cui i principi darwiniani della selezione naturale (basata in questo caso sulle prestazioni dei sistemi) ispirano i ricercatori di nuove soluzioni.

I sistemi prodotti si evolvono o si estinguono, in maniera analoga alle specie naturali, in dipendenza della loro capacità di “adattamento” alle esigenze e della loro funzionalità.

Fare IA oggi significa costruire macchine e sistemi «intelligenti»,
superando contraddizioni di fondo come l’impiego di strumenti logici
precisi, per emulare o modellare qualcosa che non è sempre logico; per
esemplificare con D. Lenat: modelli causali , strategie e piani, aspettative e sottintesi, continuità spaziale e temporale, astrazioni e approssimazioni, analogie, modalità e convinzioni, conflitti e contraddizioni, sorgenti multiple di conoscenze, apprendimento dall’esperienza.

Bisogna ammettere che di questi problemi conosciamo oggi solo definizioni approssimate e quindi soluzioni grossolane.

La differenza fra informatica e intelligenza artificiale

La differenza fra IA e telematica è ovvia, sia nei fini che negli strumenti, invece fra informatica e IA è la strategia opposta, mentre, per ora alcuni, condividono strumenti e parte dei fini. La prima obbliga l’uomo a modi di pensare e di comunicare caratteristici del computer, e proietta, in ultima analisi, i vincoli formali della macchina nelle nostre teste. L’IA, invece, punta a realizzare sistemi nei quali sono inseriti i paradigmi comunicativi, logici, linguistici umani.

La cibernetica opera con un’ipotesi di lavoro completamente diversa,
presupponendo un legame diretto «percepire ~ reagire», con una
risposta allo stimolo del tipo «causa ~ effetto». In questa sequenza l’IA aggiunge un altro momento basato sulla considerazione che per reagire occorre decidere tra diverse alternative e per poter decidere occorre capire; la nuova ipotesi di lavoro diventa: «percepire ~ capire ~ decidere ~ reagire».

Nel prossimo futuro serviranno sistemi che incorporino le conoscenze di
esperti professionali, rendendole disponibili su larga scala per i compiti più svariati, ad esempio nell’assemblaggio di cavi, nella previsione dei costi dei semiconduttori, e nella conseguente valutazione di ritorno sugli investimenti o per immagazzinare nei robot le conoscenze di controllo di qualità del più famoso esperto del mondo.

Applicazioni industriali e robot del futuro

Non esistono peraltro solo le applicazioni industriali che ci sgravano dalla fatica fisica e da compiti non banali e fortemente ripetitivi, ma anche quelle civili.

I robot sarebbero utili dove esistano reali disagi e pericoli, in ambienti ostili: nelle miniere, sulle piattaforme oceaniche, nello spazio, nelle centrali nucleari; dove la manodopera è scarsa: nell’agricoltura, in casa.

Bisogna però intendersi: tutti quelli che oggi chiamiamo robot sono solo pallide ombre di quelli che vorremmo che fossero e che saranno. Ciò di cui abbiamo bisogno sono robot con capacità di percezione ed interazione dinamica con l’ambiente, auto-programmabili e dotati di apprendimento, per compiti non strutturati di interesse generale, che possono stabilire da soli i propri obiettivi in un contesto di macchine cooperanti. Poche persone per ora saprebbero costruire questo tipo di macchine. Ma questi sono i tipi di robot che servono e che dovremo cominciare a concepire da oggi in poi.

Perché e come fare Intelligenza Artificiale

L’IA può permettere all’industria di salvare milioni di dollari di
investimenti in conoscenze già acquisite e di incrementare la
produttività attraverso l’estensione dell’azione di una limitata forza
lavoro altamente specializzata. Negli Stati Uniti il costo medio annuo di un ingegnere esperto è stato calcolato sui 120.000 dollari/anno.

Risulta allora chiaro perché una nota industria abbia creato un Expert system per conservare il patrimonio costituito dai 44 anni di esperienza di un suo ingegnere della produzione. Naturalmente il beneficio va confrontato con i costi di un sistema esperto che in verità, non presenta oggi prezzi popolari! Il valore del sistema è pari al costo annuo di un esperto umano moltiplicato per il periodo durante il quale esso sostituisce in tutto o in parte l’esperto, eventualmente moltiplicato per i siti di applicazione.

Per esempio se l’Expert system permette un risparmio di 120 mila dollari all’anno per tre anni, il suo valore sarà di 360 mila dollari. Se, per mancanza di esperti, un’intera linea di prodotto o un processo dovessero essere bloccati, i profitti derivanti da quel processo o da quel prodotto dovrebbero essere comparati con il costo di sviluppo e manutenzione del sistema esperto.

Data l’enorme differenza di complessità del diversi sistemi intelligenti è quasi impossibile stabilire una media o una tipizzazione dei costi di sviluppo e manutenzione. Ad esempio, per i sistemi “intelligenti”, il prezzo oscilla da poche migliaia a molti milioni di dollari per una realizzazione su un personal o su un cloud. Per tentarne una tipizzazione, le voci di costo si possono suddividere in base agli scopi: familiarizzazione iniziale con la tecnologia, addestramento, hardware e sviluppi, software, integrazione con i sistemi esistenti, manutenzione, gestione del progetto eccetera.

Il fenomeno IA dal punto di vista macroeconomico. La necessità di finanziamenti pubblici all’innovazione

Oltre ad essere un fenomeno quantitativamente interessante come mercato, è un fenomeno dalla sconvolgente valenza strategica. Il costo degli investimenti da effettuare potrebbe essere paragonato al costo di un biglietto della metropolitana (tanto più vero se comparato a grandezze quali il prodotto interno lordo o le spese effettuate per la Ricerca e sviluppo) al cui capolinea troviamo gli investimenti internazionali.

Più importante di tutto, però dicevamo, c’è il mercato che si
preannuncia molto vasto nel prossimo decennio. Perciò bisogna presentarsi puntuali all’appuntamento: prima che le barriere di ingresso, già alte, non diventino irraggiungibili.

Giungere in ritardo significa lavorare di più, perché in meno tempo
bisogna fare ciò che gli altri fanno da più tempo.

All’ingresso dell’IA.nel mondo quotidiano e del lavoro si frappongono
però oggi ostacoli di varia natura. Agli utenti occorrono sistemi a propria misura che consentano la più facile interazione uomo/sistema.

Fino ad ora l’informatica, essendo stata prevalentemente modellata da
produttori, ha immesso sul mercato sistemi fatti da informatici per
utenti informatici. I produttori, tiepidi a rapidi decolli innovativi che rendono obsoleti i prodotti a magazzino o già immessi sul mercato, hanno visto finora l’innovazione indotta dall’IA come una minaccia alle loro posizioni consolidate.

Imparare a fare industria con l’IA

L’Italia ha una buona tradizione in fatto di industria di trasformazione e di sviluppo dell’IA e, secondo le esigenze dell’utenza, può rappresentarne una evoluzione e costituire una fonte di valore aggiunto.

I produttori di IA sono pronti; si tratta ora di aggregare una domanda
tecnologica, anche attraverso l’intervento governativo, in modo da creare un mercato per l’offerta di A. Infatti quello che manca non è solo il sostegno alla ricerca (fatto dal pubblico, in maniera casuale e con scarsi investimenti dei privati) né tanto il capitale finanziario (il nostro è sempre stato un capitalismo senza capitali), quanto soprattutto il mercato per le applicazioni che potrebbe essere stimolato dai finanziamenti pubblici all’innovazione.

Le risorse umane nel campo dell’IA sono poche e distribuite geograficamente in maniera non uniforme; basterebbero due-tre progetti di vero impegno per assorbire tutti i veri esperti italiani.

Per aumentare le risorse umane occorrono scuole distribuite sul territorio, organizzate congiuntamente da accademia e industria, in grado di cooperare garantendo la necessaria comunicazione tra le diverse tessere del mosaico.

Gli investimenti richiesti per lo sviluppo dell’IA sono proporzionalmente agli sbocchi di mercato limitati e comunque dovrebbero essere distribuiti ordinatamente tra ricerca base, applicata ed applicazioni finali collegate in maniera originale attraverso piattaforme.

Oggi è possibile legare il profitto al valore aggiunto. Ciò che occorre
aggiungere ai sistemi è: consulenza, formazione, manutenzione, assistenza eccetera. Per intenderci, ad esempio, fatto 100 il valore di un contratto robotico, negli USA un produttore di robot riesce a fornire un 45% come valore di vendita del robot propriamente detto e 55% di servizi annessi.
Quello che occorre realmente inventare è come fare industria con l’IA.

Non è importante chiedersi se la tecnologia funziona o no, ma realizzare buoni sistemi. Basta prendere atto dei risultati statunitensi, cinesi e giapponesi: tantissime installazioni presso tutti i concessionari delle industrie automobilistiche dimostrano che la tecnologia funziona ed è matura industrialmente.

Il punto non è dunque di stabilire se la tecnologia funziona, ma è di
saperla valutare, capire quando è conveniente impiegarla perché risulta
più economica, dove la si deve localizzare, a chi la si deve rivolgere, a preferenza delle altre tecnologie. Abbiamo visto che l’IA è ineluttabile perché utile: bisogna pertanto decidere se governarla perché si sviluppi anche nel nostro Paese o viceversa se subirla, importandola.

Cosa ci riserva il futuro delle macchine intelligenti

Si sta alacremente lavorando per applicare computer e robot in casa, in
fabbrica, nelle fattorie, negli ospedali, nelle banche. In casa ad esempio per controllare l’ambiente domestico, l’uso ottimale dell’energia, il comfort, la sicurezza, il tempo libero, l’istruzione, i sistemi di informazione e di comunicazione.

Nell’industria si organizza una fabbrica con meno addetti ma migliore qualità del lavoro. Si rivoluzionano sia i processi che i prodotti per mezzo di robot che per passare dalla fase infantile ad una prima giovinezza attingono massicciamente all’IA. Dalla delega all’uomo si passa alla delega al robot.

Si studiano fattorie modello nelle quali la produttività dell’animale e la sua salute sono sotto stretto controllo del computer.
Si progettano ospedali dove finalmente ci sia più tempo da dedicare alla cura umana del paziente. Per non parlare delle applicazioni nella genomica, proteomica eccetera.

Questo vuol dire che l’innovazione indotta dalla IA rivoluzionerà tutti i settori fino a quello domestico; perciò è vitale capirla perché tutta l’operazione sia fatta per risolvere problemi veri e sia pilotata equilibratamente dall’offerta tecnologica e dalla domanda.

Il progresso, per essere abbracciato deve essere capito; si ha paura di ciò che non si capisce. Ma non si esorcizza il futuro avendone paura, lo si subisce soltanto.

Quello che bisogna reinventare è l’uomo del futuro, con le sue nuove
professionalità ed i suoi nuovi ambienti.

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