LA SVOLTA DEL TECNOCENE

La nostra esistenza “datificata”: ecco la nuova era del digitale



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Fin dalla nascita il nostro corpo, la nostra mente, le nostre azioni, i nostri desideri, i nostri gusti, la nostre relazioni, vengono datizzati e diventano elaborabili in chiave algoritmica. Il libro “La svolta del Tecnocene. Una nuova sociazione bio-tecno-sociale contro l’iperevoluzione digitale” di Giorgio Grossi esamina questa nuova era

Pubblicato il 4 lug 2023

Giorgio Grossi

Università degli Studi di Milano Bicocca



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Per la prima volta dall’apparizione dei Sapiens, una nuova configurazione evolutiva irrompe a connotare (e condizionare) la vita degli umani sulla Terra: la datificazione dell’intera esistenza (data driven society).1

La datificazione della vita antropologica

È un fenomeno collettivo del tutto nuovo, seducente forse ma anche inquietante: fin dalla nascita il nostro corpo, la nostra mente, le nostre azioni, i nostri desideri, i nostri gusti, la nostre relazioni, ecc. vengono datizzati (cioè tradotti in strisce di bit e byte) e quindi diventano elaborabili in chiave algoritmica e cumulabili non nella memoria collettiva ma in quella di computer superintelligenti allenati col deep learning. In proposito, è stato ad esempio sottolineato da Mascheroni che:

Siamo di fronte alla prima generazione datizzata dalla nascita: quando i genitori condividono sui social media la prima ecografia [del nascituro] per annunciare la gravidanza […]. [Dopo la nascita] i genitori tengono traccia delle poppate, dei pannolini cambiati, delle ore di sonno, del respiro e battito cardiaco durante il sonno, ecc., con il supporto di app e dispositivi indossabili. Ciò che queste pratiche suggeriscono è appunto la normalizzazione della sorveglianza nella relazione di cura” (“Datizzati dalla nascita”, “AgendaDigitale.eu”, 2020, pp. 1-2).

Infatti, la datificazione della vita antropologica, che ormai è sempre più diffusa nelle nostre esistenze anche ora in occasione della pandemia del Covid, è la conseguenza di una svolta informatica e tecno-scientifica su base economico-finanziaria che sta modificando il nostro modo di vivere fino a “sedurre” il nostro stesso orizzonte esistenziale.

Il futuro, perciò, non è più solo una mitica Terra Promessa dei Sapiens ma anche una concreta Fine della Storia (2), perché l’esistenza diventa un ciclo vitale “perfetto” e “automatizzato” proprio in quanto virtuale (sintetico, artificiale, automatico ecc.) che cerca di portare a termine l’evoluzione bio-tecno-sociale uscendo di fatto dalla sua configurazione antropomorfa, animale, vegetale e materica per reinterpretare e generalizzare il dispositivo del Deus ex machina (3). Tutte le varie attività, le forme di società, le istituzioni e i movimenti, la democrazia e la politica, la cultura e l’arte, gli stessi risultati della ricerca scientifica e tecnologica (anche quelli a ricaduta positiva) non possono essere interpretate correttamente (e quindi eventualmente criticate, condizionate o modificate) se non si parte dalla analisi della trasformazione digitale del nostro ciclo vitale in termini, appunto, di datificazione (e quindi “valorizzazione”) dell’intera esistenza per fini economici e politici.

Cosa intendiamo con questa concettualizzazione e come è stato possibile che ciò sia avvenuto con tale rapidità? Cosa significa esattamente l’espressione data driven society e quali sono le sue caratteristiche? Le risposte ormai sono sempre più numerose ed euristicamente convincenti anche se arrivano da parte di settori ancora minoritari, seppure in crescita costante, all’interno delle scienze della natura, umane e sociali, e ci permettono di fare luce sull’accelerazione bio- cibernetica che caratterizza i primi venti anni del XXI secolo.

I passaggi principali di questa nuova analisi interpretativa dell’iperevoluzione

Vediamo i passaggi principali di questa nuova analisi interpretativa dell’iperevoluzione.

Per essere “datificati” occorre essere “sempre connessi”

Nelle società degli ultimi secoli siamo già diventati sempre più interrelati, più o meno interagenti e più o meno comunicanti, più o meno industrializzati e glocalizzati, ma il livello e la modalità di “relazione” restavano sempre di tipo socio-culturale (cioè bio-semantico e morfogenetico) e non meramente cibernetico (cioè digitale, algoritmico e informatizzato). Invece, in seguito a questo nuovo tipo di connettività, il nostro ambiente esistenziale è diventato sempre più onlife, che significa che tutto ciò che facciamo, diciamo, pensiamo può essere sempre datificato, cioè convertito in dati operazionabili e quindi profilabili per ogni tipo di finalità.

Così da neonati (nelle relazioni di cura da parte di genitori e medici), da bambini (nella scuola in presenza o a “distanza” attraverso insegnanti e dirigenti scolastici), da ragazzi tramite lo smartphone (nei social network per i gruppi dei pari e il tempo libero), da adulti nel lavoro, nelle professioni, tramite gli acquisti e i consumi, come pure nelle aspirazioni, nei saperi e nei desideri (mediante la “realtà aumentata”, la “realtà virtuale”, il WWW e relativi memo, like e hate), e per ultimo, anche da vecchi (attraverso ricordi riconfigurati, reperti visualizzati e animati, gusti recuperati, sogni dimenticati e rivissuti) siamo tutti continuamente immersi in molteplici situazioni esperienziali che comportano la datizzazione. Cosicché veniamo sempre più esteriorizzati in un “nuovo mondo parallelo” inorganico, computato, digitalizzato e quindi devitalizzato, che può anche piacere ma certo non è auspicabile per il futuro della specie4.

La connessione, infatti, va oltre la relazione interpersonale o macrosociale perché il precipitato bio-sociale dei rapporti non rimane solo dentro gli attori interrelati ma viene nel contempo tradotto in byte, cumulato in apposite banche dati soprattutto private ma anche pubbliche, dando origine alla miniera dei Big data e rendendo possibile quello che è già stato chiamato l’“autoritarismo digitale” (cfr. Alù, L’incubo della cybersorveglianza nel futuro di Internet, “AgendaDigitale.eu”, 2020).

Siccome non possiamo disconnetterci, perché saremmo marginalizzati e desocializzati, abbiamo interiorizzato come necessario lasciare tracce “digitali” di noi stessi nei dispositivi creati dall’IA e nei suoi sistemi di elaborazione dati, per esempio con il selfi in quanto espressione della propria identità artificiale che trasforma l’intera esistenza bio-sociale in una “costruzione digitale della realtà”. Di conseguenza, è sempre più difficile uscire da questa “gabbia di acciaio virtuale” senza diventare homeless o asociali o marginali perché la connessione è la precondizione non solo del presente ma anche del futuro (5).

La nostra esistenza “renderizzata”

Ma per arrivare alla datificazione della società occorre evidenziare altri passaggi intermedi. Il primo viene chiamato renderizzazione secondo l’analisi di Zuboff:

Ogni discussione sulla protezione o la proprietà dei dati [personali] non si pone la domanda più importante: perché in primo luogo la nostra esperienza viene renderizzata in dati comportamentali? […] Ogni volta che incontriamo un’interfaccia digitale rendiamo la nostra esperienza disponibile alla “datificazione” per “renderizzare a beneficio del capitalismo della sorveglianza” il suo perenne tributo di materie prime (Il capitalismo della sorveglianza, 2019, pp. 247-248).

Ma la trasformazione non si limita a tradurre in altre forme non più bio-semantiche la composizione delle specificità biologiche ma realizza un vero e proprio “salto di specie” dall’organico all’artificiale, creando le condizioni dell’uscita definitiva dall’Antropocene per entrare nel Tecnocene (6). I dati ottenuti infatti operano, in aggiunta alle finalità economiche o politiche che ne possono derivare, una automazione e informatizzazione del ciclo esistenziale stesso, che non solo ne minimizza o azzera la componente organica e sensitiva ma anche ne annulla la sua peculiare imprecisione, approssimazione, variabilità e imperfezione che ne caratterizzano invece la stessa morfogenesi (cfr. Pievani, Imperfezione, 2019).

Infatti, la renderizzazione de-biologizza ogni forma di comportamento, atteggiamento e interazione, perché rende possibile la computazione dei byte e delle eventuali reti neurali digitali che sono appunto il prodotto della datizzazione dell’esperienza stessa. Non più omeostasi dei vari processi fisiologici ed evolutivi e quindi socio-esistenziali né contraddizione tra di essi in seguito a dinamiche interiori o esteriori, ma numerizzazione di ogni traccia proattiva, espressiva e sensitiva riducibile a una sola cifra binaria (0/1), eliminando ogni traccia di casualità, problematicità, sensibilità e ambivalenza dell’agency sociale medesima .

Ciò rende di conseguenza possibile il tracciamento sistematico e algoritmico di ogni forma di azione antropomorfa sia in funzione del marketing, sia per ragioni di sicurezza sociale e di salute collettiva, ma soprattutto per finalità di crescita finanziaria e di controllo politico. Come per il contenimento della pandemia del Covid-19 è strategico il tracciamento dei contatti di chi risulta contagiato (per ridurre la circolazione del virus), così nella società datificata il tracciamento diventa – più o meno esplicitamente – la modalità di governo del mercato, della cultura, dei valori e delle idee, riassunta anche nel termine ossimorico di “datacrazia”, al fine di ridurre piuttosto la contagiosità dell’ethos antropomorfo.

La “silicolonizzazione del mondo”

Naturalmente questa “silicolonizzazione del mondo” (cfr. Sadin 2018) tramite i dati e il processo di renderizzazione-computazione produce anche altre conseguenze che caratterizzano l’attuale svolta trans-post-umana nella gestione del ciclo esistenziale dei Sapiens. Conseguenze che non riguardano solo il trinomio connessione-renderizzazione-computazione, cioè la numerizzazione di elementi che hanno una composizione bio-semantica e non informatica, ma anche gli effetti prodotti sugli attori bio-sociali e sulla loro peculiarità interiore e riflessiva.

In questa prospettiva infatti gli attori tendono così a diventare sempre più degli attanti, dei prosumer, trascurando o marginalizzando progressivamente le proprie capacità di sensibilizzazione, cognizione e coscientizzazione. Con il risultato, come ha sottolineato ironicamente Harari, che “molti di noi sarebbero felici di mettere gran parte dei nostri processi decisionali nelle mani di un sistema del genere [Google] o almeno di poterlo consultare qualora dovessimo fare delle scelte particolarmente importanti… Google ci consiglierà quali film vedere, dove andare in vacanza, quale università frequentare, quale offerta di lavoro accettare e perfino con chi uscire e sposarci” (op. cit., p. 512).

La deresponsabilizzazione dell’azione sociale

Una di queste conseguenze più rilevanti della computazione è la cosiddetta deresponsabilizzazione dell’azione sociale, cioè l’indebolimento o l’eliminazione di un tratto evolutivo fondamentale dei Sapiens: la responsabilità del dire e del fare, la consapevolezza delle scelte, la riflessione sugli errori e la previsione delle conseguenze, la coscienza delle proprie convinzioni e dei valori relativi, la performatività e riflessività delle pratiche sociali, il dubbio o la delusione dei possibili risultati ottenuti.

Cosa succede invece nella società datificata? La responsabilità delle scelte è conferita ai “sistemi esperti” della cibernetica, dell’informatica e delle tecnoscienze che garantiscono con precisione e perfezione il raggiungimento del bene collettivo e della felicità individuale. Non c’è più un mercato di beni di massa più o meno costosi ma invece vi è sempre più un consumo personalizzato e ottimizzato perfettamente rispondente alle nostre “differenti” esigenze7; non c’è più un governo oligarchico o autoritario o corporativo o pseudo-democratico ma un sistema istituzionale guidato dall’IA capace di raggiungere algoritmicamente i risultati migliori senza errori o contraddizioni. Quindi non ci sono nemmeno valori e diritti da rivendicare, norme giuridiche da difendere o da riformulare, pratiche eccentriche da sperimentare: basterà riprogrammare gli “algoritmi predittivi” e tutti vivranno “felici e contenti” (o quasi) secondo i criteri cibernetici adottati.

La crescente spoliticizzazione della vita individuale e collettiva

Una ulteriore conseguenza di questa “datificazione” dell’esistenza – al di là degli effetti collaterali anche positivi che può comportare in alcuni ambiti (sanità, infrastrutture, emergenze, mobilità territoriale, lotta alla criminalità, prevenzione dei rischi, razionalizzazione della pubblica amministrazione ecc.) – è la crescente spoliticizzazione della vita individuale e collettiva. Delegando implicitamente l’agency politica alla computazione informatica, ecco che la prassi, le idee e i programmi, le scelte controversiali e le policies per attuare principi e affermare leggi di interesse collettivo vengono progressivamente meno, sostituendo il naturale “conflitto politico” con la perfezione tecno-scientista governata dall’IA e dalle sue piattaforme informatiche.

Tratto da: La svolta del Tecnocene. Una nuova sociazione bio-tecno-sociale contro l’iperevoluzione digitale, Ombre corte, Verona, 2023, pp. 34-39.

Note

1 Ha chiarito Sadin nelle prime pagine del suo volume Critica della ragione artificiale (2019): “Ecco perché il tecnoliberismo ha fatto delle tecnologie dell’aletheia il suo principale cavallo di battaglia; in esse ha visto la realizzazione delle sue ambizioni egemoniche, grazie all’insorgere di una ‘mano invisibile automatizzata’, in un mondo retto dal regime della retroazione, del feedback: una ‘data-driven society’ ” (p. 20). 2 La profezia “futurista” di Fukujama, La fine della storia e l’ultimo uomo (1992).
3 Il termine fa riferimento, nel teatro greco, all’apparizione della divinità, realizzata con un meccanismo che la faceva discendere dall’alto sulla scena e che serviva a risolvere una situazione difficile o controversa nel corso della rappresentazione teatrale.

4 Denuncia Harari: “La religione dei dati dice che ogni parola e ogni azione è parte del grandioso flusso dei dati, e che gli algoritmi vi stanno guardando costantemente e che essi si preoccupano di qualsiasi cosa facciate e di qualsiasi sentimento proviate: alla maggior parte delle persone questo piace parecchio” (Homo Deus, 2017, p. 587).

5 Perfino i migranti abbandonati nelle tendopoli lungo i percorsi di sopravvivenza marini e terrestri usano gli smarthphone per cercare di sopravvivere, mentre le loro speranze sono solo la variabile dipendente di interessi che non li riguardano, e anzi li ostacolano e li sfruttano. Ma lo smarthphone è più di uno strumento, è soprattutto l’illusione di “un’altra vita migliore” nell’Occidente digitale!
6 Ha sottolineato Demichelis (“I nuovi totalitarismi”,AgendaDigitale.eu”, 2019), parlando dei nuovi totalitarismi: “Se qualcuno ancora crede di vivere nell’Antropocene dobbiamo convincerlo che da tempo siamo ormai entrati nel Tecnocene, dove è la tecnica a governare la vita dell’uomo e a determinare l’ambiente oggi appunto quasi totalmente artificiale/virtuale” (p. 5).
7 Il claim delle pubblicità diventa così anch’esso “cibernetico” perché garantisce che sappiamo bene cosa ti piace e cosa desideri e facciamo in modo di offrirtelo sempre e in ogni momento, perché tutto è “computato intorno a te”.

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