intelligenza artificiale

“Mixed by AI”: è in arrivo la realtà artificiale, ma l’arte non è morta

Prendete “Everything, Everywhere, all at once”, i tagli di Fontana, le canzoni di Zappa, l’urlo di Munch, Mixed by Erri, Dostoevskij e qualche parola di troppo. Shakerate e servite su schermo: ci ho messo un po’ a scrivere quest’articolo, ma con i nuovi strumenti di IA avrei potuto far prima. La creatività diventa servizio?

Pubblicato il 17 Apr 2023

Marco Bani

Coordinatore contenuti e progetti Fondazione Italia Digitale

Théâtre D'opéra Spatial

«L’arte è morta, ragazzi. È finita, l’intelligenza artificiale ha vinto». Queste le parole di Jason Allen, vincitore del concorso della Colorado State Art Fair nella categoria “artisti digitali emergenti”. Il suo lavoro vincente, “Théâtre D’opéra Spatial” , è un’opera onirica, con tinte fiabesche, che ci rimanda alle atmosfere fantastiche della Repubblica del primo Guerre Stellari. Capisco perché ha vinto il concorso: i colori fiammeggianti che si perdono nell’oscurità degli interni, le misteriose figure di spalle che sembrano vestali futuristiche, il cerchio luminoso come una finestra per un altro mondo, sono tutti elementi che ci fanno provare curiosità, che ci fanno sognare.

Artisti minacciati dall’intelligenza artificiale: la nuova sfida per il diritto d’autore

Un’opera che sicuramente regala delle emozioni. Per queste sensazioni che proviamo non dovremmo ringraziare Jason Allen, ma Midjourney, uno dei nuovi strumenti di intelligenza artificiale che consente di creare immagini semplicemente inserendo alcune parole testuali.

Ma avrebbe potuto usare anche Stable Diffusion, o Dall-E 2, rilasciato da OpenAI, gli stessi di ChatGPT. Vengono chiamati strumenti di IA generativa, ma alla fine sono strumenti di collage, di fusione, di mescolamento. Infatti non si limitano a fare un copia e incolla, ma fanno un remix di dati, bit e informazioni restituendo una sintesi originale. Avete presente i pastiche? Sono opere dove l’autore imita volutamente lo stile di un altro autore: tra gli artisti che hanno fatto uso di pastiche ricordiamo Leopardi, Marcel Proust, Frank Zappa. Ecco, gli strumenti di IA generativa fanno automaticamente un pastiche, o in gergo tecnologico, un mash-up di opere, creazioni, produzioni già esistenti, grazie a rappresentazioni matematiche di modelli relativi agli archivi a disposizione. Una realtà “mescolata” o “fusa”, da contrapporre a realtà virtuale e realtà aumentata.

L’IA fa tremare l’industria musicale

Le arti visive non sono le uniche discipline in cui gli strumenti di IA generativa minacciano il caos. Anche se i mash-up non sono una novità ( non avete mai sentito cantare Morandi con i System of a down?), l’industria musicale sta tremando alla prospettiva che milioni di canzoni (e miliardi di proprietà intellettuale) vengano analizzate dall’intelligenza artificiale per produrre nuove tracce e nuova musica. Tencent Music, il gruppo di intrattenimento cinese, ha pubblicato più di 1.000 brani con voci sintetiche. Google sta testando MusicLM, un sistema che riproduce suoni e voci anche qua inserendo semplicemente del testo, con risultati apparentemente straordinari e realistici: avete mai voluto sentire come “suonerebbe” l’urlo di Munch? Ecco, MusicLM può generare musica anche dalla descrizione di dipinti famosi, creando un mash-up tra varie arti dai risultati lisergici e perturbanti.

Estratto dal paper di Google dove si può “ascoltare” l’urlo di Munch

L’irruzione dell’IA generativa nella produzione letteraria

Ma le opere d’arte più colpite dalla capacità di iperproduzione dei testi sono sicuramente le opere letterarie. Nelle ultime settimane vediamo già alcuni tragici effetti: sempre più persone hanno iniziato a utilizzare ChatGPT per inviare lavori prodotti dall’intelligenza artificiale alle riviste letterarie che pagano gli scrittori quando viene pubblicata una loro opera. Prendiamo l’esempio di Clarkesworld – una rivista mensile di fantascienza e fantasy – che ogni mese riceveva circa un migliaio di contributi. Per preparare ogni numero, l’editore Neil Clarke e il suo staff leggevano i pezzi, restringendo la selezione per la pubblicazione. Ma questo processo è saltato: solo a febbraio, la rivista ha ricevuto 700 contributi scritti da umani e 500 scritti da IA.

I casi di plagiarismo individuati negli scritti inviati a Clarkesworld

Nonostante il fatto che le storie prodotte con l’intelligenza artificiale siano abbastanza facili da individuare – sono scritte male e spesso hanno anche gli stessi titoli – c’è stato un intasamento nei processi che ha costretto Clarkesworld a chiudere la ricezione degli scritti, penalizzando chi stava elaborando una storia senza l’aiuto di nessuna IA. Un po’ come quando troppo SPAM rende inutilizzabile una casella di posta elettronica. Dovremmo inventare filtri anti-IA? Questi strumenti di intelligenza artificiale minacciano di sconvolgere il mondo letterario così come lo conosciamo, impattando negativamente sulla professione dello scrittore. Se dobbiamo proteggere la cultura del libro, come possiamo farlo in un mondo inondato di libri fatti con l’intelligenza artificiale? Eppure non tutto è da considerare dannoso: ci sono anche delle possibilità interessanti che guardano con interesse l’evoluzione del mondo dell’editoria, consapevoli che il libro del futuro non sarà più qualcosa di statico, ma sarà un libro che si scrive da solo mentre lo si legge, in base anche agli interessi personali e i sentimenti del momento. Oppure possiamo vedere la rinascita di settori artistici “di nicchia” come, ad esempio, il fumetto. Chi ha una bella storia potrà facilmente illustrarla senza avere capacità di disegno.

Senza contare la possibilità di “assistenza” al processo creativo degli artisti da parte dei nuovi strumenti: OpenAI afferma che il proprio sistema DALL-E è utilizzato da oltre 3.000 artisti provenienti da più di 118 paesi.

Creatività liquida

Tra gli aspetti da sottolineare è il cambiamento del processo creativo: l’artista può diventare non più chi sa fare un bel disegno, scrivere una poesia intrigante, ma chi sa controllare meglio l’intelligenza artificiale, chi è più bravo a trovare il modo di interagire con le macchine.

Gli apocalittici parlano di “ipersemplificazione” della creazione, che trascende l’arte e arriva nel quotidiano, attraverso la possibilità di generare qualsiasi opera, pur non avendo le competenze giuste o senza aver approfondito nessuna tecnica. Perché dovrei imparare delle cose se c’è l’intelligenza artificiale che può farle al posto mio? Perché dovrei passare ore a solfeggiare, a inventare rime, a disegnare proporzioni se c’è uno strumento più semplice per ottenere la mia finalità creativa?

Presto non sapremo più se qualcosa che leggiamo, qualsiasi immagine o video che vediamo, sia fatta da una persona reale, con uno strumento analogico. Diventerà più economico creare i falsi che mostrare la realtà. Ad esempio, produrre una foto “artificiale” richiede solo la scrittura di una frase, mentre per fare una foto “vera, reale” bisogna uscire, andare nel posto, scattare con la macchina fotografica, con un conseguente impiego di tempo e risorse. Il fotografo Jos Avery utilizzava l’intelligenza artificiale per i suoi splendidi ritratti, spacciandoli per veri, con annesse storie totalmente inventate.

Questi nuovi strumenti potrebbero portare a un “collasso della realtà“, una “realtà artificiale” dove il dubbio prevale sulle emozioni.

Come se ne esce? Prima di tutto, niente panico. “Senza libertà di scelta, non c’è creatività, e senza creatività non c’è vita” diceva il capitano Kirk in uno degli innumerevoli film di Star Trek. Siamo umani, siamo liberi, dobbiamo essere creativi.

L’arte fatta dall’IA non ucciderà la creatività umana

Il diritto d’autore alla prova dell’IA generativa

L’enorme, gigantesco elefante nella stanza nell’era della “realtà artificiale” è il diritto d’autore: quando c’è un’opera generata da uno strumento di intelligenza artificiale chi è l’autore? Di chi sono i diritti? Se guardiamo al passato, questo “mash-up” originale di opere d’arte prodotto dall’IA mi ricorda molto la storia di un gruppo di ragazzi che si sentivano dee-jay, ma che per la legge erano criminali. Una storia raccontata nel film di Sydney Sibilia da poco uscito al cinema “Mixed by Erry”. Quattro ragazzi che creavano musica originale mescolando brani protetti da diritti d’autore. Suona familiare? Leggendo una recente intervista a uno dei ragazzi, Peppe Frattasio, si percepisce un sentimento attuale: “noi non avevamo la percezione di essere impegnati in un’attività criminale, perché in una città dove il lavoro è un’emergenza, la contraffazione passa per un’illegalità minore”. Sono stati arrestati solo per il torto di essere nati nell’era analogica.

Gli utenti che utilizzano gli strumenti di IA generativa sanno che potrebbero commettere un reato? Che potrebbero creare opere facilmente riconducibili al lavoro di altri artisti che non conoscono nemmeno?

Potete immaginare la reazione del mondo culturale a questa ondata di strumenti: tre artiste americane hanno fatto causa a Stability AI, unendosi a quella portata avanti da Getty Images, lamentandosi del fatto che l’intelligenza artificiale si sia “nutrita” del loro archivio di 80 milioni di immagini protette da copyright. In Italia l’associazione Mestieri del Fumetto (Mefu) che schiera illustratori come “Sio” e Francesco Artibani, ha proposto la sottoscrizione di un Manifesto in difesa dei diritti e della creatività dell’essere umano.

In effetti non si dovrebbe sfuggire al diritto d’autore e alle altre leggi sulla proprietà intellettuale degli esseri umani: se uno strumento di intelligenza artificiale produce una canzone o un’immagine che non trasforma le opere alle quali attinge in maniera tale da essere originali, gli artisti che sono stati sfruttati dovrebbero ottenere un risarcimento. Dichiarare di utilizzare una black-box, la scatola nera dove l’algoritmo elabora i suoi calcoli spesso incomprensibili, non è sufficiente. Non c’è motivo di nascondere quali artisti siano le fonti primarie utilizzate da un algoritmo. Perché non coinvolgere gli artisti e i detentori di proprietà intellettuale nel processo di addestramento di questi strumenti? Non mancano certo le risorse, dato che, ad esempio, le due aziende dietro i due strumenti di IA generativa più utilizzati, Open AI e Stable Diffusion, sono ormai valutate più di un miliardo di dollari.

Chi sta affrontando la questione del diritto d’autore al tempo dell’intelligenza artificiale? In America, secondo un approfondimento dell’US Copyright Office (USCO), tutte le immagini prodotte fornendo un suggerimento (prompt) di testo agli strumenti di intelligenza artificiale generativa, come Midjourney o Stable Diffusion, non possono essere protette da copyright negli Stati Uniti. Infatti i prompt dell’utente vengono equiparati a un acquirente che dà indicazioni a un artista, ma è l’intelligenza artificiale che determina come tali istruzioni vengono implementate nel suo output. Gli elementi tradizionali di “paternità dell’opera” sono determinati ed eseguiti dalla tecnologia, non dall’utente umano. Quale diritto d’autore può avere quindi un’opera al quale non viene riconosciuta l’umanità? Lo stesso ufficio ha coerentemente negato al fumetto realizzato con l’aiuto di Midjourney ”Zarya of the Dawn” di Kris Kashtanova la protezione del copyright. L’ufficio ha infatti affermato che c’era troppa “distanza” tra gli input testuali di Kashtanova e l’output grafico di Midjourney perché le immagini venissero protette da copyright.

Il fumetto “Zarya of the Dawn”, realizzato con Midjourney

Eppure, come comportarsi quando l’IA supporta e assiste nella creazione di opere come canzoni, documentari, film? “Everything, Everywhere, all at once” l’ultimo film trionfatore alla Notte degli Oscar con 7 statuette, ha usato strumenti di IA generativa per alcune scene. Non è forse stato premiato per la sua estrema creatività?

Se tutto questo sembra nebuloso e confuso, è perché lo è. Questo è un territorio inesplorato.

Con l’iperproduzione di opere bisogna ripensare totalmente il diritto d’autore, già fortemente sotto pressione dalla rivoluzione digitale. Il copyright lo abbiamo inventato noi italiani, nella Venezia del Quattrocento, con il privilegio di stampa. E’ stato esso stesso un frutto della creatività umana. Possiamo tornare a essere nuovamente creativi e trovare un quadro giuridico che eviti la mortificazione della creatività umana e che resistribuisca ai legittimi autori il giusto riconoscimento e il valore generato dal loro lavoro? Io sono dalla parte degli artisti. Non si può invocare il “fair use” quando alla fine c’è un profitto, soprattutto da parte delle aziende che usano, anzi sfruttano le immagini di altri per vendere i loro prodotti.

Realtà artificiale e creatività umana

Abbiamo detto all’inizio che gli strumenti di IA generativa non inventano niente. Mescolano dati e informazioni che hanno elaborato e restituiscono un cocktail più o meno originale.

Non è troppo diverso da quello che hanno sempre fatto gli artisti: studiano, interpretano, copiano, imparano le tecniche di altri artisti e ne sono influenzati. Cosa cambia allora?

Non c’è cosa più certa che l’incertezza dell’arte, che si è saputa reinventare più volte, dall’arte preistorica all’arte generativa, che da quasi cinquant’anni anticipa gli strumenti di IA utilizzando programmi informatici per produrre arte in modo autonomo. Qualcosa di molto simile a quello che viene fatto adesso con Dall-E e simili, eppure mi sembra che l’arte e gli artisti siano sopravvissuti anche alla supremazia del digitale.

Non è la prima volta che la diffusione di nuove “tecnologie” crea forti preoccupazioni tra gli artisti. Ad esempio Charles Baudelaire inveisce contro la fotografia, “rifugio di tutti i pittori mancati, maldotati o troppo pigri per completare i loro studi”. Il pittore Paul Delaroche nel 1840 affermò che “da oggi la pittura è morta”. In realtà la fotografia fu un valido supporto per i pittori “tradizionali” per elaborare la realtà attraverso la loro impronta personale. Picasso, ad esempio, se ne servì per studiare i valori delle superfici e, attraverso le distorsioni ottiche dell’obiettivo, riusciva ad ottenere visioni particolari della realtà che riproduceva nelle sue opere.

Celebre anche il saggio di Walter Benjamin, “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, che già nel 1936 criticava la scarsa autenticità delle opere cinematografiche e discografiche perché non avevano una loro fisicità, data la possibilità di moltiplicare le copie. Eppure proprio la facilità di trasmettere queste opere le hanno fatte diventare più popolari, portandole in un contesto quotidiano, fino ad arrivare alle serie tv e ai film guardati sul divano grazie alle piattaforme di streaming.

Oggi consideriamo tanti fotografi dei grandi artisti e, nonostante il diluvio di immagini che sgorgano come una inarrestabile cascata sui nostri social media, esistono ancora le mostre fotografiche, oltre alla certezza di affidarsi a dei professionisti per alcuni lavori.

Postando su Instagram non si diventa fotografi, scrivendo su Facebook non siamo poeti, pubblicare su TikTok non significa essere registi.

Chissà se Allen, colui che ha dichiarato la vittoria dell’AI sull’arte, che con la sua immagine generata da Midjourney ha guadagnato $ 300 dal concorso per artisti, ha davvero qualche capacità creativa. Secondo la Treccani, la creatività è la capacità di creare con l’intelletto, con la fantasia. Cosa ci può essere di creativo nel “suggerire” 3 parole, “space”, “opera”, “theatre” e vedersi restituita un’immagine già pronta? Oltre a rubarne la creatività, con l’intelligenza artificiale potrebbe venir meno l’umanità dell’artista?

Ma non è forse creatività anche l’originalità, il colpo di genio, la capacità di sintesi e di analisi?

Conclusioni

Sicuramente l’iperproduzione renderà ancora più fondamentale la qualità delle opere. Sarà fondamentale quindi la capacità far emergere dal caos produttivo quello che riesce a emozionarci, quello che ha un valore diverso, creativo, originale. Ecco, l’originalità sarà fondamentale: nell’impossibile scenario della realtà artificiale, dove tutto viene prodotto dall’IA, ci troveremo nella situazione di avere solo un grande remix di quello che c’è già e mai qualcosa di nuovo. Uno scenario distopico che ci condanna al grigiore e alla noia perenne.

Per questo confido che ci sarà sempre la “scintilla” umana che pensa fuori dagli schemi, che immagina, produce e crea qualcosa che gli strumenti di IA non sanno fare. Esisterà sempre un Burri che brucia i suoi materiali, un Fontana che taglierà una tela, una Marina Abramović che ci guarda seduta al MoMA. Probabilmente il processo di creazione di un’opera sarà più interessante e originale dell’opera stessa, cambiando ancora una volta i paradigmi artistici.

La creatività è un processo complesso che può avere diverse origini e fonti di ispirazione. In generale, si può dire che la creatività nasce dall’interazione tra le conoscenze, le esperienze, le emozioni e le intuizioni che una persona ha accumulato nel corso della vita.

E’ la cosa più reale che c’è. Gli strumenti di IA generativa possono ricreare una “realtà artificiale”, una sintesi della creatività umana, ma che rimane pur sempre una simulazione verosimile.

Come dice il linguista Noam Chomsky, la mente umana non è, come ChatGPT e simili, un goffo motore statistico che si rimpinza di centinaia di terabyte di dati ed estrapola la risposta più probabile, ma un sistema sorprendentemente efficiente e persino elegante che da piccole quantità di informazioni riesce a creare delle spiegazioni.

Le varie denominazioni di realtà, come ad esempio quella virtuale, sintetica, aumentata, artificiale, sono solo interpretazioni che hanno tutte come scopo quello di potenziare la creatività umana, al fine ultimo di dare una spiegazione a quello che succede in un mondo che cambia in fretta. L’arte non è morta, anzi, è il miglior strumento per generare la creatività umana. Parafrasando Dostoevskij, l’arte salverà il mondo dalla realtà artificiale, solo se sapremo salvare l’arte.

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