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Nuovo Governo, Fuggetta: “Ecco i quattro punti urgenti per fare l’Italia digitale”

Governance, procurement, competenze, allocazione delle risorse: questi i quattro pilastri su cui la legislatura che sta per aprirsi dovrebbe intervenire con tempestività e attorno ai quali innestare e affrontare anche altre problematiche e tematiche

Pubblicato il 19 Apr 2018

Alfonso Fuggetta

professore di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, Politecnico di Milano

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Siamo all’inizio di una legislatura che non sappiamo ancora quanto durerà. Secondo molti avrà vita breve. Peraltro, anche la precedente sembrava dovesse concludersi nel giro di pochi mesi e invece arrivò al suo termine naturale, seppur con tre cambi di governo. Indipendentemente da quello che succederà nelle prossime settimane e mesi, ha quindi comunque senso chiedersi cosa sarebbe opportuno fare in tema di digitale.

Digitale, come siamo arrivati fin qui

Per poter guardare avanti, è tuttavia necessario partire da una analisi, anche sintetica, di quel che è successo nei cinque anni che hanno preceduto il voto del 4 marzo scorso.

  • La legislatura cominciò con il governo Letta che nell’estate del 2013 nominò un commissario straordinario nella persona di Francesco Caio. Caio lavorò dall’ottobre 2013 al gennaio 2014 (caduta del governo Letta), impostando un modello di gestione e alcuni progetti strategici che sono stati un contributo positivo al lavoro degli anni successivi.
  • Il triennio 2014-2016 è stato nella sostanza perso senza aver affrontato nessuno dei nodi strutturali del paese e anzi con divagazioni a metà tra l’ideologico (vedi la dichiarazione dei principi di Internet) e l’inadeguato (vedi il piano Crescita Digitale). Si sono fatti molti errori e anche molte valutazioni sfuocate o nettamente sbagliate. Per esempio si è messa una grande enfasi sui sistemi di front-end (Italia Login), quando il tema principale era e rimane l’apertura e l’integrazione dei back-end. Si è insensatamente esagerato l’impatto di SPID che, seppur utile, rimane solo e soltanto un meccanismo di identificazione e come tale non sopperisce alla mancanza o all’inadeguatezza dei servizi delle PA. Per di più lo si è fatto partire con un modello di business insostenibile (sarebbe dovuto essere un servizio pubblico universale e non affidato ai privati) e procedure macchinose di rilascio. Complessivamente non è decollato secondo i piani e, come spesso accade, ha generato una serie di recriminazioni da aspettative deluse: si pensava (sbagliando) che dovesse cambiare la vita dei cittadini e quando ciò non è accaduto ovviamente si è avuto l’effetto “backfire”, con il rischio insorgente di “buttare via il bambino con l’acqua sporca”.
  • Nel 2016 fu annunciato l’arrivo di Diego Piacentini che peraltro ha potuto prendere effettivamente servizio solo nell’autunno di quello stesso anno. Il commissario ha costituito un Team Digitale che ha prodotto nel corso del 2017, con AgID, il Piano Triennale. È certamente un risultato molto importante e utile, ma purtroppo è arrivato solo nella fase finale della legislatura. Il Team ha poi avviato e messo in campo una serie di strumenti e di pratiche di project management che hanno certamente avuto un impatto positivo su progetti chiave che da anni procedevano al rallentatore (vedi ANPR).

In generale, se in avvio e poi soprattutto in chiusura di legislatura ci sono stati dei momenti positivi, complessivamente si è trattato di un altro quinquennio che non ha offerto quelle discontinuità di cui avevamo bisogno.

I 4 punti urgenti da cui ripartire

Se questo è il punto in cui ci troviamo oggi, cosa fare per impostare in modo diverso la legislatura che si è appena aperta? Ne parliamo da tante settimane e molti sono i temi che in questi mesi sono stati sollevati e discussi. Volendo provare a fare una sintesi, ne proporrei quattro che costituiscono i “pillars” attorno ai quali innestare e affrontare anche altre problematiche e tematiche.

  1. Governance. La situazione attuale è ancora per molti versi provvisoria (abbiamo un Commissario che è per l’appunto “straordinario”) e per altri confusa e senza una chiara leadership politica. Il dibattito su quale sia la migliore forma di governance si sviluppa da anni. Per esempio nel 2013 proposi di avere un modello basato su un Ministero dell’Innovazione (o anche un vicepresidente del consiglio con delega all’innovazione) che garantisca il raccordo tra le iniziative dei vari ministeri e che abbia un peso adeguato in Consiglio dei Ministri). Di certo, non possiamo immaginare di portare avanti lo sviluppo del digitale con l’assetto attuale.
  2. Procurement. Il codice degli appalti non funziona, quanto meno per il digitale. Molte procedure innovative vengono snobbate dai funzionari che preferiscono ricorrere, anche per tutelarsi e non rischiare, a procedure più tradizionali. I meccanismi previsti da CONSIP (vedi accordi SPC) non funzionano per il mondo del digitale che abbiamo oggi (vedi servizi cloud e API Economy). Purtroppo, continuiamo a comprare al massimo ribasso o comunque con tariffe che non hanno alcuna relazione con un mercato serio e maturo. O si mette mano in tempi brevissimi e con decisione a questi temi, oppure qualunque ambizione di cambiamento rimarrà solo un impegno velleitario che fallisce per mancanza di strumenti operativi e finanziari allineati con i tempi e lo sviluppo del mercato.
  3. Competenze. In chiusura della precedente legislatura, Paolo Coppola aveva proposto un piano straordinario di assunzioni con obiettivo di inserire nelle amministrazioni pubbliche nuove professionalità nel campo del digitale. Incomprensibilmente e irresponsabilmente quel progetto non fu approvato, senza peraltro proporre nullo di alternativo. Senza competenze adeguate non c’è possibilità alcuna di avere un reale cambiamento nel funzionamento della macchina pubblica.
  4. Allocazione delle risorse. Le risorse per l’innovazione digitale non sono molte, ma nemmeno nulle. Come vengono allocate? Su quali progetti? Con quali priorità? Con quale distribuzione tra stato e enti locali? Non basta avere un piano triennale in mancanza di coerenti e consequenziali politiche di gestione delle risorse economiche.

O interveniamo su questi temi subito, all’inizio della legislatura, con grande decisione e tempestività, oppure non saremo in grado di garantire alcuna discontinuità con il passato e ci ritroveremo fra cinque anni a commentare questo nuovo ciclo di governo rievocando gli stessi ritardi e le stesse aspettative deluse che ci accompagnano da ormai troppo tempo.

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