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Smart working, come gestire i nuovi equilibri al termine della pandemia: le sfide

Nuove logiche di controllo e supervisione del lavoro, superamento della burocrazia “meccanica” del passato, implicazioni di tipo cognitivo su diversi livelli, nuovi divari. Sono molte le criticità strutturali da affrontare una volta finita l’emergenza sanitaria e lo smart working sarà parte integrante della nuova normalità

Pubblicato il 22 Mar 2021

Paolo Neirotti

Politecnico di Torino

Emilio Paolucci

Politecnico di Torino

Daniele Secci

Politecnico di Torino

smartworking4

Nel corso della pandemia da Covid-19 il “lavoro da remoto”, indicato anche come “smart working”, è rapidamente evoluto da forma di welfare “per pochi” (finalizzata a conciliare vita privata e lavorativa) a nuovo standard di lavoro per i colletti bianchi. Una transizione così rapida e non pianificata ha progressivamente evidenziato criticità strutturali che sono state solo parzialmente affrontate da aziende, istituzioni e sindacati; ciò nonostante, molte delle iniziative intraprese in termini di riorganizzazione dei processi risultano irreversibili anche una volta che il Paese avrà raggiunto la soglia di vaccinati necessaria per un ritorno alla “normalità”.

A partire dal maggio 2020 molte aziende hanno introdotto soluzioni ibride di lavoro in presenza e da remoto, con almeno 2 giorni alla settimana svolti lontani dal luogo di lavoro per tenere conto delle norme anti-contagio sul distanziamento sociale e, contemporaneamente, esplorare i potenziali benefici dello smart working. Se, infatti, il lavoro da remoto presenta problematiche nuove (dovute ad esempio alla sfera emotiva e cognitiva dell’individuo o alla natura delle attività da svolgere), esso ha anche mostrato aspetti positivi per imprese e dipendenti. È chiaro quindi come le aziende, dopo aver sperimentato lo smart working generalizzato “non programmato”, abbiano già iniziato a pensare a come potrà essere introdotto in modo strutturato nell’organizzazione del lavoro.

La domanda relativa a quale sarà il “new normal” si traduce quindi nella ricerca delle modalità con cui sfruttare al meglio l’esperienza maturata nell’ultimo anno per farlo in modo soddisfacente per tutti. Se infatti sarà, con ogni probabilità, difficile un ritorno alle riunioni fisiche (ben sostituite da quelle virtuali tramite le diverse piattaforme disponibili), altri processi hanno trovato maggiori criticità legate alla distanza che si viene a creare fra persone e tra individuo e azienda. La risposta alla domanda è quindi particolarmente complessa, soprattutto nei settori in cui la componente “fisica” del prodotto / servizio è prevalente.

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Tra questi settori è stato preso in esame quello delle utilities elettriche. In questo settore la necessità di garantire il servizio essenziale anche durante i periodi di totale lockdown unita al poco tempo avuto per adattarsi alle nuove condizioni organizzative ed alla natura stessa delle attività svolte dalle imprese, ha messo in luce maggiormente la necessità di intervenire a livello di trasformazione del lavoro, e rappresenta proprio per questo motivo, un esempio importante per tutti gli altri settori produttivi.

Smart working, gli effetti irreversibili: la ricerca

La ricerca condotta fra il 2020 ed il 2021 dal Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione del Politecnico di Torino, Utilitalia ed Elettricità Futura ha avuto lo scopo di individuare casi di studio capaci di evidenziare in che modo la pandemia avesse inciso sulle logiche di smart working. Nello specifico, ci si è voluti interrogare e discutere, sulla base di evidenze empiriche, quali potessero essere gli effetti “irreversibili” nella gestione nelle risorse umane e delle relazioni industriali/sindacali nel momento in cui i vincoli sul distanziamento sociale prodotti dallo stato di emergenza pandemica diverranno sempre più tenui.

La ricerca ha visto la partecipazione di nove tra le maggiori utilities elettriche italiane (per un totale di circa 35.000 dipendenti che hanno svolto le loro attività in smart working durante il lockdown di marzo-aprile 2020), attraverso l’accesso all’esperienza sviluppata e interviste strutturate svolte con i responsabili di Risorse Umane, Relazioni Industriali e principali business unit. Sono state coinvolte anche due aziende del settore telecomunicazioni e di distribuzione gas, per avere a disposizione dati di confronto con realtà che recano un’organizzazione dei processi e attività simili a quelle del settore elettrico. Al termine delle interviste con le aziende, sono stati svolti colloqui con le principali sigle sindacali del settore per analizzare dal loro punto di vista l’esperienza maturata in questi mesi.

I risultati vanno oltre il “perché sì/no” allo smart working e lasciano intravedere importanti sfide che dovranno essere raccolte da molte altre imprese “non digitali”, che possono essere riassunte come segue:

  • Gli strumenti digitali sono vincolanti per la nuova organizzazione, ma allo stesso modo emergono nuove necessità e i bisogni dell’individuo per far fronte a “isolamento” e affermarsi di nuove routine.
  • In breve tempo – ed in maniera probabilmente irreversibile sono state superate alcune “convinzioni” manageriali su quali fossero i processi organizzativi difficili da rendere “remoti”. Il cambiamento di questo punto di vista ha riguardato sia le attività di tipo progettuale sia quelle di contatto con il cliente; le attività di gestione delle attività sul campo sono anch’esse state organizzate in remoto, indipendentemente dall’intensità di conoscenza richiesta e dalla natura transazionale e routinaria in esse insita.
  • Nei periodi non inclusi nel lockdown totale, il regime di utilizzo dello smart working si è attestato con regolarità su almeno due giorni a settimana, senza creare difficoltà nella continuità del business.
  • Il ricorso a forme di smart working ha permesso di accelerare la trasformazione digitale dei processi organizzativi nelle imprese in cui erano già stati avviati significativi investimenti su nuove architetture informatiche e nuovi sistemi informativi (a supporto di attività di vendita, esercizio e manutenzione, virtualizzazione di macchinari e apparati di rete, e strumenti di lavoro collaborativo a distanza).

Le sfide per il management

Quali sono le sfide per il management? Nella maggior parte delle imprese ci si è resi conto della necessità di sviluppare nuove logiche di controllo e supervisione del lavoro, da affiancare ad un nuovo approccio di “leadership digitale” basato sul cambiamento del sistema di pratiche di lavoro, competenze, valori (fondati su auto-controllo e responsabilizzazione dell’individuo) e norme sociali.

Il superamento della burocrazia “meccanica” del passato si fonda su nuovi strumenti di gestione degli obiettivi individuali e di gruppo (con un riflesso sui sistemi di retribuzione), con lo spostamento verso forme di controllo organizzativo che mettono al loro centro i risultati conseguiti e non il tempo di presenza sul posto di lavoro, e che devono saper gestire tutte le implicazioni derivanti dall’isolamento spaziale degli individui.

A rendere più difficile la gestione del processo di cambiamento vi sono implicazioni di carattere cognitivo – legate tanto alla corretta gestione dei flussi di informazione quanto alla interiorizzazione di conoscenze operative, normative e valoriali dell’organizzazione – sia di natura emozionale, legate alla gestione di motivazione, ansia, stress che possono nascere dagli aspetti abilitanti e da quelli potenzialmente coercitivi dello smart working.

Rispetto a questi due punti, i risultati della ricerca evidenziano come la tecnologia digitale possa contribuire alla gestione dei flussi informativi in tutte le attività in cui sono previsti intensi flussi di collaborazione e di scambi di idee. L’interiorizzazione delle conoscenze valoriali, normative e procedurali legate al comportamento organizzativo dell’individuo e allo stare in azienda, così come la gestione degli aspetti emozionali non può, invece, che affidarsi alla qualità del management e dell’area Risorse Umane nel dare risposte che si concretizzano nel disegno di nuove pratiche organizzative e nell’avvio di programmi sistematici di gestione dei cambiamenti.

Come gestire il nuovo equilibrio

Tutto questo richiede però a livello legislativo che imprese e organizzazioni sindacali affrontino il tema della gestione di un nuovo equilibrio tra il livello di regolazione normativa dello smart working e il livello di fiducia e responsabilizzazione associato al singolo individuo (in relazione a esecuzione dei compiti, rispetto di alcune norme sociali, oltre che delle prescrizioni su salute e sicurezza del luogo di lavoro).

L’attuale disciplina del lavoro “smart” fonda i presupposti sulla sua natura di misura di welfare e in virtù di questo la sua concessione implica la mancata corresponsione di retribuzione straordinaria. Le evidenze della ricerca indicano invece come negli scenari post-pandemici non necessariamente la flessibilità di cui gode il lavoratore in smart working si traduca in una situazione di “sollievo” dal lavoro, ma può al contrario portare a una intensificazione del lavoro associata a maggiore responsabilizzazione e allineamento tra la sua prestazione e quella complessiva dell’azienda.

A questo si aggiunga il fatto che il controllo sui risultati richiama il bisogno di forme di retribuzione variabile con ruolo di incentivazione, richiedendo il ripensamento anche degli ordinamenti normativi e delle prassi aziendali (ad esempio quella legata ai “buoni pasto”, la cui perdita per i dipendenti con retribuzioni più contenute viene percepita come una riduzione della retribuzione stessa). Allo stesso modo, nella prospettiva in cui lo smart working diventi un fatto strutturale sarà anche necessario ripensare i trattamenti di trasferimento, trasferta e missione, in relazione alla perdita di rilevanza e di chiarezza del concetto di “luogo di lavoro”. Non di meno è auspicabile che si prosegua lungo la strada dello snellimento normativo al fine di “non tradire” le logiche di flessibilità in esso connaturate.

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Smart working e nuovi divari

Dalla ricerca è infine emerso come se da una parte le tecnologie digitali abilitano nuove modalità di organizzazione del lavoro a distanza, dall’altra imprese e istituzioni sono chiamate a gestire l’emergere di nuovi divari, sia all’interno della forza lavoro sia del settore:

  • In primo luogo, vi è il divario generato dalle competenze di tipo informatico, relazionali e legate ai soft-skill (gestione del tempo, lavoro in team, capacità di lavoro in autonomia, leadership), il quale è correlato con l’età anagrafica e i livelli di scolarità. I lavoratori più anziani rischiano quindi di essere “tagliati fuori” da processi e pratiche collaborative nel momento in cui questi elementi diventano maggiormente supportati e mediati dalle tecnologie digitali.
  • Come conseguenza dell’isolamento spaziale, i lavoratori più giovani rischiano invece di essere tagliati fuori dal processo di acquisizione e assorbimento delle norme sociali, dei valori aziendali oltre che della conoscenza operativa e di elementi relazionali necessari per sviluppare la propria carriera in azienda. Ad esempio, nel momento in cui lo smart working viene utilizzato dalle donne per conciliare lavoro e figli, la persistenza del lavoro da casa può divenire un’arma a doppio taglio con il concreto rischio di esclusione dai processi di crescita e avanzamento professionale.
  • nelle fasi di maggiore criticità della pandemia, i blue collar sono stati esposti ad un più elevato rischio di contagio rispetto a coloro impegnati in attività amministrative (oltre ad essere strutturalmente maggiormente esposti a rischi di infortuni). In generale, i benefici di flessibilità nell’organizzazione del tempo e della giornata lavorativa acquisiti dai secondi, nel momento in cui i primi non possono scegliere lo “spazio di lavoro” e hanno una giornata di lavoro scandita in modo più articolato rispetto al passato dai sistemi di workforce management, stanno creando una crescente disparità di trattamento.

Conclusioni

Si tratta di temi nuovi ma che dovranno essere affrontati e risolti rapidamente tenendo conto di tutti i punti di vista coinvolti. Sarà compito del management fare la sintesi di quanto discusso, al fine di evitare che il ricorso generalizzato allo smart working possa amplificare i divari derivanti dal diverso grado di maturità che le imprese e gli individui possiedono dal punto di vista tecnologico e di organizzazione del lavoro, al fine di organizzare la parte della settimana lavorativa svolta in remoto senza che le tecnologie digitali producano disagi e svantaggi. La formazione su tecnologie, ma ancor prima su nuovi approcci alla collaborazione e alla leadership, oltre che il ridisegno e la semplificazione in ottica digitale di molti processi costituiscono due elementi imprescindibili per arrivare al “new normal”.

Rimane aperta la domanda, nella prospettiva di un maggior ricorso futuro al lavoro da remoto, di come agire sulle capacità digitali e relazionali (garantendo a tutti i lavoratori pari accesso alle forme di smart working), coniugando interventi di riorganizzazione delle routine e dei processi aziendali, rendendoli maggiormente modulari, codificabili e standardizzabili.

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