l'analisi

Usa vs Cina, con la tecnologia al centro: le macro-tendenze geopolitiche

Usa e Cina sono i due driver globali destinati ad incidere sul futuro del mondo, mentre la Ue non competerà per la primacy perché non è, né sarà, un attore politico. Vediamo In che direzione si sta muovendo il sistema internazionale nell’epoca dell’iper-connettività

Pubblicato il 08 Gen 2019

Marco Mayer

Professore straordinario di storia dell'intelligence, corso di laurea magistrale in studi internazionali, Link Campus University

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Il sistema internazionale sta evolvendo verso un nuovo bipolarismo tra Stati Uniti e Cina. Si tratterà, però, di una forma diversa di bipolarismo da quella che abbiamo conosciuto dopo la seconda guerra mondiale come esclusiva contrapposizione tra Stati. Da monitorare attentamente ci sono, infatti, anche i colossi dell’economia digitale, e non solo quelli statunitensi.

Partiamo da una panoramica a maglie larghe sulla politica internazionale e su come le dinamiche di quest’ultima saranno profondamente influenzate dalla quarta rivoluzione tecnologico-industriale[1].

Le sfide digitali nell’agenda delle grandi potenze

Negli ultimi anni il panorama mondiale sta rapidamente cambiando per effetto di processi di digitalizzazione sempre più estesi e pervasivi. Numerose sfide digitali sono già entrate nell’agenda di High Politics delle grandi potenze: Telecom e 5G, Intelligenza Artificiale e Big Data, futuro del Web e governance di Internet, droni, satelliti e dispositivi dual use per armamenti automatizzati e robotica civile, crypto valute, blockchain e Fintech e nuove dinamiche dell’economia digitale[2]. Si è, infine, aperta la grande competizione scientifica e tecnologica nelle aree sensibili del quantum computing e delle quantum communications.[3]

Mentre scriviamo questo articolo i riflettori sono puntati sulle vicende giudiziarie della Huawei – la grande impresa hitech cinese – accusata di frode commerciale e di violazione delle sanzioni con l’Iran. Il dossier sull’azienda é stato aperto da molti anni, ma in queste settimane in seguito all’arresto di Meng Wanzhou, figlia del fondatore dell’impresa nonché vicepresidente di Huwaei si è aperta una grave frattura diplomatica tra Cina e Stati Uniti. Il rilascio su cauzione di Meng Wanzhou e la fragile tregua di novanta giorni tra i due contendenti non sembra aver placato le acque[4].

In tutto il mondo vecchi e nuovi media si interrogano sulle reali ragioni dello scontro: una consistente minaccia alla sicurezza nazionale americana? Oppure una battaglia della guerra commerciale in corso? A mio avviso si tratta di domande retoriche: potere di mercato, superiorità tecnologica, potenza militare, capacità di influenza e di intelligence sono tessere di un unico mosaico nel momento in cui la dimensione digitale è diventata pervasiva.

“Superati” da tempo i confini del cosiddetto “V° dominio”, le tecnologie digitali sono onnipresenti e proprio per questo assumono rilevanza strategica in un sistema internazionale sempre più caratterizzato da minacce e conflitti ibridi. Non si tratta (come troppi esperti ancora sostengono) di aggiungere un capitolo ai manuali di dottrina militare come se fosse un nuovo segmento da presidiare (quali ad esempio lo spazio e le relative costellazioni satellitari). Il punto cruciale è identificare e gestire a proprio vantaggio la miriade di opportunità/vulnerabilità digitali che caratterizzano sia la nostra vita quotidiana (la domotica in primis) sia gli ambienti tecnologicamente più avanzati.

Interpretare la politica internazionale contemporanea

In che misura le principali teorie su cui si sviluppa la scienza politica e la disciplina delle Relazioni Internazionali sono in grado di descrivere ed interpretare la realtà creata dalla rivoluzione tecnologica in corso?

Le teorie della scuola realista (K. Waltz, ecc.)[5] risultano indubbiamente spiazzate e/o contraddette da almeno due dati di realtà: la minore rilevanza dei confini di Stato ed i flussi di interazione “onlife” tra politica interna ed estera.

Una analoga distanza dalla realtà empirica si riscontra anche nel pensiero di impronta liberale ed in particolare nelle teorie fondate sul concetto di interdipendenza complessa “a geometria variabile” (J. Nye, ecc.)[6].

Almeno due fenomeni – peraltro connessi alla rivoluzione digitale – si muovono in direzione opposta:

  • la profonda crisi della cooperazione multilaterale;
  • i processi – davvero imponenti – di concentrazione del potere economico, tecnologico e mediatico.

Per ragioni di spazio – in una sede non accademica come questa – non possiamo che limitarci a questi scarsi cenni critici. Ciò che più ci preme sottolineare è che nessuna delle due principali scuole di pensiero (realista e liberale) è in grado di cogliere pienamente le nuove dinamiche della politica internazionale contemporanea. Incongruenze rilevanti si riscontrano peraltro anche in altre correnti culturali, sia in quelle costruttiviste (H. Wendt, ecc.) sia nelle posizioni della cosiddetta scuola inglese (H. Bull, ecc.) su cui non possiamo soffermarci.

Come affrontare i limiti di capacità esplicativa delle più affermate teorie di politica internazionale

La prima raccomandazione è di non azzerare tutto, come spesso accade nelle scienze politiche, economiche e sociali quando esse sono sfidate da grandi cambiamenti. A questo proposito viene in mente l’appello di Olivier Blanchard, capo-economista dell’Fmi sino al 2015 e autore del manuale di macroeconomia più diffuso al mondo. In seguito alla grande crisi del 2007-2008 Blanchard dichiarò: “occorre riscrivere l’intero spartito della macroeconomia”. Non siamo in grado di stabilire se l’auspicio di Blanchard fosse giusto o sbagliato; ciò che possiamo osservare – per riprendere la sua metafora musicale – che a dieci anni di distanza – non si intravede un “nuovo spartito” in grado di sostituire la macroeconomia mainstream. Neppure i massici e variegati stimoli monetari non convenzionali (QE) effettuati dalle Banche Centrali hanno spinto verso un ripensamento generale della teoria economica.

Per quanto attiene la scienza politica ed in particolare la disciplina delle Relazioni Internazionali non dobbiamo ripetere la promessa mancata di Blanchard. Sarebbe un errore ripetere azzerare tutto e ripartire da zero con il rischio di buttare via il bambino con l’acqua sporca. La rivoluzione digitale si presenta, invece, come una ottima occasione per rivisitare il patrimonio complessivo elaborato dalle diverse scuole di pensiero e falsificare le proposizioni teoriche che non trovano più riscontro nell’evidenza empirica, come già sommariamente accennato nei paragrafi precedenti[7]. Una volta operata questa selezione il secondo passo è esaminare il materiale non scartato senza preconcetti, a prescindere dalla sua provenienza accademica (scuola realista o liberale o costruttivista, ecc.). Nei paragrafi successivi proporrò alcune prime esemplificazioni per meglio illustrare l’ipotesi che ho appena prospettato e che richiede programma di ricerca lungo e assai impegnativo.

L’impatto della rivoluzione digitale sull’arena internazionale

Il primo tema da affrontare è l’impatto della rivoluzione digitale sull’arena internazionale. A questo proposito proponiamo come punto di partenza la formula “no system of law enforceable” coniata da Kenneth Waltz nel lontano 1959. Con questa espressione Waltz definisce l’anarchia (a/privativa)[8] come principio ordinatore del sistema internazionale in opposizione al criterio della gerarchia che caratterizza i sistemi politici interni. L’assenza di ordine gerarchico non significa naturalmente che non si determinino gerarchie di fatto tra gli attori del sistema internazionale.

L’ipotesi che intendiamo suggerire è che la rivoluzione digitale confermi – e anzi consolidi – la proposizione di Kenneth Waltz: nel corso degli ultimi tre decenni le tecnologie digitali si sono sviluppate in assenza di un sistema di leggi effettivamente applicabili (“no system of law enforceable among [the States]”). Anche i pochi accordi politici bilaterali sono rimasti sulla carta come dimostra in modo emblematico l’intesa in materia cyber siglata dai Presidenti Obama e XI il 25 settembre 2015[9]. Se il principio ordinatore dell’anarchia conserva la sua validità non possiamo, però, non mettere in luce alcune differenze rispetto all’approccio realista.

L’effetto combinato dei processi di globalizzazione economica e di digitalizzazione rende molto difficile applicare in ambito domestico le regole del diritto interno, soprattutto nei paesi dove è in vigore lo Stato di diritto. Si determina così un inedito intreccio tra dimensione interna ed esterna degli Stati.[10] Su questo aspetto un prezioso contributo ci viene offerto da due proposizioni della scuola liberale:

  • la diversa natura dei regimi politici può influenzare in modo rilevante i comportamenti degli attori nell’arena internazionale (teoria della pace democratica, ecc.)[11];
  • la politica interna può incidere in modo significativo la politica estera.

Un terzo fattore utile si può evincere dalle correnti costruttiviste. La rivoluzione digitale non ha un impatto omogeneo in tutti i paesi; pertanto culture, tradizioni storiche e linguistiche, sensibilità religiose influenzano le modalità con cui le società nazionali si adattano al mutamento tecnologico. Per illustrare questo ultimo aspetto mi limiterò ad un esempio; in alcune società asiatiche per l’individuo la reputazione sociale è un must assoluto, mentre nelle realtà occidentali l’ago della bilancia pende di più verso i bisogni e i diritti dell’individuo.

Le conseguenze dell’anarchia

Il pensiero realista non si limita ad indicare l’anarchia come principio ordinatore del sistema internazionale, ma ne sottolinea anche le conseguenze.

Gli attori politici pensano innanzitutto a garantire la propria sicurezza, potenziando il proprio potere e perseguendo alleanze di carattere strategico con altri attori. Quando parliamo di potere facciamo riferimento all’insieme delle sue possibili declinazioni: al potere della forza, al potere di mercato, al potere della tecnologia, al potere delle idee. Per una analisi accurata del differenziale di potere sarebbe necessario tener conto di molteplici fattori: dimensione territoriale e demografica, risorse naturali, clima e localizzazione geografica, PIL e reddito pro/capite, aspettative di vita e livelli di istruzione, armamenti nucleari e spese per la difesa, capacità tecnologiche, ecc. Ai fini del nostro discorso non serve, tuttavia, una classifica dettagliata della distribuzione del potere tra le innumerevoli unità statali che compongono l’odierno sistema internazionale.

Per un panorama a maglie larghe della politica internazionale è sufficiente prendere in esame le relazioni tra gli attori più influenti e potenti[12]. Sono queste relazioni che definiscono gli assetti del sistema internazionale e che – per riprendere un espressione di matrice realista – spingono nella direzione dell’equilibrio di potenza (o all’opposto ad una sua rottura in chiave bellica). Il bipolarismo USA–URSS non spiega tutto ciò che è accaduto nelle relazioni internazionali tra il 1946 ed il 1991, ma non tenere in debito conto il bipolarismo nelle sue diverse declinazioni (guerra fredda, equilibrio del terrore, distensione, trattati di non proliferazione, ecc.) aumenta in modo esponenziale i margini di errore degli studiosi[13].

In che direzione si sta muovendo il sistema internazionale in un’epoca caratterizzata da un’inedita velocità e potenza delle comunicazioni e da una iper-connnettività senza precedenti? Nel 2008 in un noto articolo su Foreign Affairs Richard Hass ha teorizzato il graduale passaggio dall’assetto unipolare seguito al crollo dell’Unione Sovietica alla nuova dimensione di un mondo apolare[14] – ovvero privo di poli e caratterizzato dalla frammentazione del potere tra numerosi soggetti. Altri studiosi, viceversa, hanno ipotizzato una tendenza multipolare come effetto della entrata in scena dei paesi emergenti (Cina, Brasile e India in primis) e riemergenti (la Russia).

Ambedue queste ipotesi – a nostro avviso – sottovalutano la rilevanza di due fattori:

  • nella realtà contemporanea è soprattutto la superiorità tecnologica (molto costosa e non solo in termini finanziari) a fare la differenza;
  • lo scenario è completamente diverso dall’originario modello “artigianale” della Silicon Valley.

Il primato tecnologico si può mantenere (o contendere) soltanto sulla base di una pianificazione pluriennale di ingenti investimenti pubblici e privati. All’interno di questo scenario – come vedremo meglio in seguito – un fattore determinante per conquistare la primacy è rappresentato dal ruolo dello Stato, o meglio dal tipo di relazione che intercorre tra gli Stati e grandi aziende strategiche.

Un assetto mondiale tripolare (ma senza l’Europa)

Sulla base dei dati disponibili – per ragioni diverse – né l’India né il Brasile hanno la possibilità di competere per la primacy. In linea puramente teorica l’Unione Europea avrebbe le potenzialità per aspirare ai vertici della classifica. In realtà la UE non può perché non è – né lo diventerà a breve – un attore politico. Più che un attore essa sembra avere piuttosto le caratteristiche di un’arena in cui grandi potenze extracomunitarie tentano di accrescere la loro influenza in alcuni settori strategici di primaria importanza (Stati Uniti/difesa; Russia/energia; Cina/reti e device digitali).[15]

Per queste ragioni alcuni studiosi (soprattutto quelli che prediligono una visone euro- asiatica) ritengono che – conclusa la fase post-guerra fredda – si profili un assetto mondiale tripolare con gli Stati Uniti, la Cina e la Russia in posizione preminente. In questa prospettiva gli osservatori si chiedono anche se la formula “America First” lanciata dal presidente Trump preluda ad un ridimensionamento (relativo) del ruolo degli Stati Uniti negli affari mondiali[16] ed in caso affermativo quale sia l’effetto sugli alleati tradizionali (Canada, Australia, Regno Unito, Giappone, Germania, Italia, ecc.). Da un lato questi paesi in nome dei valori democratici potrebbero accrescere il loro ruolo nella difesa dell’ordine internazionale liberale, dall’altro potrebbero agire come free riders allentando i loro tradizionali legami con gli Stati Uniti e sentendosi più liberi di cooperare con Mosca e Pechino sulla base dei rispetti e spesso divergenti interessi economici nazionali.

Le relazioni sino-americane

Prima di rispondere a questo dilemma occorre tuttavia valutare se l’ipotesi tripolare abbia una effettiva consistenza e per farlo è necessario innanzitutto accennare brevemente alle relazioni sino-americane. L’apertura di Washington nei confronti di Pechino matura lentamente durante la lunga fase di contrapposizione ideologica, politica e militare tra USA e URSS tra il 1946 e il 1991.

Nella seconda metà degli anni Sessanta l’attenzione di Kissinger e Nixon nei confronti della Cina nasce come reazione alle crescenti ambizioni “globali” della politica estera sovietica, ed in particolare si pone gli obiettivi di contrastare l’influenza sovietica in Asia e di affrontare le crescenti difficoltà militari nel continente, innanzitutto in Vietnam. Già nel 1967 Richard Nixon aveva pubblicato su Foreign Affairs un primo messaggio in questa direzione.[17]

Alla fine degli anni Sessanta apparve necessario un salto di qualità sia rispetto alla politica di contenimento suggerita da George Kennan sia alla successiva fase di escalation nucleare e di contrapposizione politico-culturale in termini di soft power. Da allora i contatti sino-americani si sono progressivamente intensificati. Non sappiamo nei dettagli quanto l’apertura americana abbia favorito le coraggiose scelte di Deng Xiao Ping, ma nei report della CIA dell’epoca si segnala spesso l’esigenza di non indebolire la posizione di leadership di Deng all’interno del Politburo[18]; evitando – per esempio – una sovraesposizione statunitense su Taiwan.

Nei quaranta anni che ci separano dalle scelte di modernizzazione della Cina possiamo distinguere due fasi ben distinte. Sino alla caduta del muro di Berlino il bilanciamento diplomatico e militare nei confronti dell’URSS appare decisamente il profilo dominante. Basti pensare che nel 1980 prende corpo una clamorosa iniziativa sino-americana per il monitoraggio dei test missilistici sovietici con la realizzazione nella regione cinese del Xin Xiang di una stazione di rilevazione elettronica.[19] Nella fase successiva le relazioni tra Cina e Stati Uniti si concentrano maggiormente sugli aspetti finanziari e commerciali. Nell’ottobre del 2000 il Presidente Clinton vara il  U.S.-China Relations Act garantendo a Pechino la normalizzazione dei rapporti commerciali con gli USA e aprendo di fatto la strada all’ingresso della Cina nel WTO. Le conseguenze non si fanno attendere. Nel 2006 la Cina diventa il secondo partner commerciale degli Stati Uniti e nel 2008 la Cina diventa il primo creditore per volume di acquisti di T-bond americani.

Con qualche approssimazione potremmo affermare che negli ultimi due decenni tra i due paesi nasce un rapporto di interdipendenza fondata su due pilastri: gli Stati Uniti favoriscono la politica mercantilistica della Cina, la Cina finanzia il debito americano.

A questi aspetti è doveroso aggiungere un altro fenomeno di grande rilevanza: la cooperazione interaccademica sempre più intensa tra i due paesi. Oltre 300.000 giovani cinesi studiano negli atenei americani (quasi il 50 per cento in discipline ad alto contenuto tecnologico); contemporaneamente si sviluppa un crescente e consistente interscambio tra docenti e ricercatori (soprattutto in ambito computer science e telecomunicazioni) nonché progetti comuni di ricerca, spesso finanziati da aziende cinesi.

Dall’inizio del millennio l’intensità delle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Cina cresce sino ad assumere una rilevanza sistemica; essa tuttavia non intacca la primacy della superpotenza americana nel sistema internazionale. Negli ultimi anni, invece, la Cina ha deciso di compiere un catch up accelerato sia sul piano della ricerca tecnologica più avanzata (per esempio nei settori dell’Intelligenza Artificiale, Big Data e Quantum Computing e Communication) sia in termini di espansione economica internazionale con il lancio del progetto Via della Seta (o BRI)[20] . Solo nel 2018 l’investimento cinese per le infrastrutture per il BRI è stato pari a 80 miliardi, quasi il doppio dell’anno precedente; l’interscambio complessivo con i paesi partner del progetto si avvicinerà presto ai mille miliardi di dollari.

Forse per questo il clima tra Stati Uniti e Cina è decisamente cambiato come testimoniano le accuse americane per le operazioni di spionaggio industriale (e per i cyber attacchi che mettono a rischio la sicurezza nazionale americana), nonché le pesanti misure protezionistiche assunte dalla amministrazione Trump. Le preoccupazioni del Dipartimento di Stato per i rischi di spionaggio sono state ufficializzate in un comunicato ufficiale del 20 dicembre 2018[21]. In questo clima di tensione l’interscambio scientifico e culturale tra i due paesi sta subendo un rallentamento e da ambo le parti è visto con crescente sospetto. In una recente intervista a Technology Review, una delle più note riviste del MIT, il Professore Yasheng Huang – originario di Pechino – che insegna da anni alla Sloan School of Management del MIT ha dichiarato:

“Those moves I see as more damaging to the US than China. If you look at MIT, a lot of great research is done together with Chinese graduate students and Chinese professors. Once you stop that, that’s going to have a big impact on cutting-edge research. Their rationale is that there are Chinese spies. I’m not going to say there are none. But that’s like saying “There are criminals, therefore we should ban human beings.” It’s a law-and-order issue. You should step up vigilance and controls, rather than stopping Chinese from coming here.[22]

Nonostante le critiche del Professor Huang all’amministrazione americana il quadro sembra subire un ulteriore deterioramento, le relazioni bilaterali diventano più difficili, e talora – come nel caso Huwaei citato all’inizio di questo articolo – apertamente conflittuali. Una visione sin troppo pessimistica dello scontro in atto tra Washington e Pechino è quella sostenuta dall’ex Ministro del Tesoro Jack Paulson che nel novembre 2018 in un discorso pronunciato a Singapore nel corso del Bloomberg New Economy Forum ha sostenuto che il gelo di queste settimane prelude alla nascita di una cortina di ferro tra Stati Uniti e Cina [23]:

“I now see the prospect of an economic iron curtain – one that throws up new walls on each side and unmakes the global economy, as we have known it”.

Gli Usa e il dark side dell’universo cyber

Cosa ha determinato questo brusco cambiamento? A nostro avviso un fattore esplicativo (non valutato con sufficiente attenzione dagli analisti) è che la rivoluzione digitale ha colto la classe politica americana complessivamente impreparata. Le narrazioni ottimistiche dei colossi della Silicon Valley (si pensi al libro di Eric Schmidt del 2013)[24] hanno incantato Casa Bianca e Congresso. In verità una maggiore sensibilità in materia si è potuta osservare al Pentagono già dal 2012 all’epoca del generale Dempsey che tuttavia all’epoca non riuscì a convincere il Senato ad adottare misure adeguate di cyber security)[25].

Per riprendere l’espressione del Professore Isaac Ben Israel il “dark side” dell’universo cyber è stato sottovalutato; in particolare i crescenti rischi per la sicurezza nazionale americana. In questa sottovalutazione ha certamente pesato il cosiddetto “Snowden effect” ed i timori per l’onnipotenza della NSA (più apparente che reale per effetto della nebbia creata dal overload informativo).

In tempi più recenti negli Stati Uniti tutti hanno sottolineato l’importanza della cyber security e della cyber defense, ma nella pratica si è guardato alla dimensione cyber esclusivamente come la nascita di un nuovo dominio da gestire. Non si è compreso quanto la visione prevalente del V° dominio sia riduttiva; la rivoluzione digitale è trasversale e pervasiva, essa coinvolge e “stravolge” tutti i domini. Forse con la nomina di Patrick Shanahan (appena nominato da Trump al Pentagono) le cose potrebbero cambiare. “Most of everything we do is software driven” con questa frase il nuovo capo del Pentagono ha colto finalmente il punto cruciale! Sarà interessante vedere se il Ministro Shanan avrà più fortuna del Generale Dempsey e l’Amministrazione riuscirà ad agire di conseguenza adottando contromisure adeguate.

Digitale, le quattro aree di vulnerabilità strategica

Per restare in ambito militare è utile ricordare che la sfida digitale comporta almeno quattro aree di vulnerabilità di carattere strategico:

  • la dipendenza del comparto militare da infrastrutture critiche civili (spesso gestite da imprese private);
  • la grande difficoltà a controllare la sicurezza nel complesso supply chains che alimentano le industria della difesa;
  • la fragilità intrinseca (innanzitutto per il fattore umano) connessa all’interconnetività di reti e hub interforze estese livello globale (dai vettori spaziali ai sottomarini), peraltro in numerosi casi collegate anche alle forze militari di paesi alleati;
  • l’intreccio inestricabile tra dimensione militare e civile nei progetti di ricerca più avanzati nonché la produzione davvero massiccia di programmi, piattaforme e apparati dual use.

Esiste, infine un dilemma etico-politico che coinvolge l’applicazione della AI ai dispositivi militari con l’obiettivo di rendere automatiche – senza filtro umano – le risposte difensive e offensive del potenziale di fuoco pianificato nei software che “comandano” i più diversi armamenti.

Un dilemma che come ha sottolineato recentemente il Generale John Allen – Presidente di Brookings – presto coinvolgerà l’opinione pubblica nei paesi democratici cosi come avvenne in materia all’epoca dei dilemmi nucleari.[26] Per inciso è probabile che su questa materia vedremo entrare in azione anche sofisticate campagne di influenza e disinformazione da parte di paesi ostili che cercheranno con abituale abilità di soffiare sul fuoco nell’intento di indebolire l’Alleanza Atlantica e altri paesi alleati degli Stati Uniti.

“Centralità del software”, la lungimiranza della Cina

La centralità del “software”, la rilevanza militare e implicazioni economiche della rivoluzione tecnologica sono stati compresi con maggiore anticipo dalla classe dirigente cinese, meno abituata a “twittare”, ma più educata a ragionare strategicamente.

Essa è peraltro molto facilitata dal regime politico in cui opera. Senza i costi della democrazia, in assenza di valori come la privacy, con il predominio delle aziende e dei sussidi di Stato, con barriere di sbarramento alle imprese straniere, con un massiccio intervento pubblico a sostegno della ricerca e delle startup non è poi così difficile far correre più veloce la tecnologia rispetto ai paesi democratici.

Il miracolo economico della città di Shenzen – molto avvantaggiata dalla prossimità di Honk Kong – probabilmente resterà l’emblema della crescita esponenziale della ricerca tecnologica cinese. Tuttavia, occorre anche considerare il rovescio della medaglia. I tanti fattori che hanno favorito il Dragone presentano alcuni risvolti negativi sopratutto in termini di trust.

L’eccesso di protezione governativa genera diffidenza; la non protezione della proprietà intellettuale può allontanare i migliori talenti, la chiusura ad aziende estere produce ritorsioni. Un altro aspetto mina la fiducia. L’uso spregiudicato di informazioni digitali da parte del governo consente un controllo penetrante sulla vita lavorativa e privata dei cittadini e rafforza all’esterno l’immagine di un paese illiberale in cui le élite del partito continuano a dominare la scena come recentemente ribadito dai massimi vertici politici a partire dalle dichiarazioni del Presidente XI[27].

John Gartner, Vice-President of International Corporate Affairs ha fotografato la situazione in termini piuttosto chiari:

“There is no question that as a Chinese company you have to work harder to prove your intentions are genuine. The Chinese digital playbook has been able to show the West up in various areas, in large part because of its broad strategy, deep consumer experience and access to government support the real question is whether Chinese firms will be equally successful in foreign markets. We can know one thing for sure — Baidu, Alibaba and Tencent certainly won’t die wondering” .

L’influenza di Usa e Cina sul futuro del mondo

Come si evolveranno le relazioni tra Washington e Pechino nel prossimo decennio (in termini di cooperazione/ competizione/ conflitto) non è oggetto di questo articolo. Ciò che viceversa abbiamo documentato nei precedenti paragrafi – sia pur succintamente – dimostra in modo chiaro è che Cina e Stati Uniti sono e saranno due driver globali destinati ad incidere sul futuro del mondo. Non tutto dipenderà da loro (né dall’andamento delle loro relazioni né dalla loro interdipendenza), ma saranno queste grandi potenze a plasmare le tendenze di fondo non solo sul piano economico e tecnologico, ma anche sul piano politico, il piano dove la distanza appare davvero incolmabile almeno nel breve e medio periodo.

Da un lato, con Trump o senza Trump, gli Stati Uniti hanno metabolizzato da secoli i valori dello Stato di diritto: libere elezioni, multipartitismo, separazione dei poteri, libertà dei media, diritti delle minoranze, multiculturalismo, libera iniziativa privata senza limiti dimensionali o settoriali.

Dall’altro lato la Cina è un paese che ha alle spalle una grande tradizione storica e culturale, è abituata a muoversi a livello internazionale con una forte visione strategica e a compiere a livello domestico coraggiose scelte di modernizzazione. Tuttavia, sul piano politico questo grande paese è saldamente ancorato alla centralità del partito unico (come spina dorsale del sistema di governo) nonché caratterizzato, come accennato in precedenza, da una cultura politica di tipo tradizionale in cui il valore della reputazione sociale dei cittadini prevale sui loro desideri di libertà. Per quanto all’avanguardia sul piano tecnologico la Cina è una realtà sociale e culturale lontana dai valori liberaldemocratici con cui siamo abituati a convivere in Europa e negli Stati Uniti.

Rivoluzione digitale e democrazia

Come abbiamo sostenuto in più di un’occasione alcune caratteristiche della rivoluzione digitale non vanno molto d’accordo con la democrazia[28]. Esse potrebbero avvantaggiare lo sviluppo di un modello di società come quello cinese e forse persino favorire il diffondersi nel mondo di variegate modalità di totalitarismo digitale.

Ma non è detto. Facciamo per un attimo riferimento ad un piccolo esempio. In queste settimane si discute sui ritardi di Hong Kong rispetto a Singapore nella digitalizzazione del sistema giudiziario. È solo un episodio minore, ma al tempo stesso possiamo considerarlo un ottimo indicatore di quanto le grandi burocrazie del Dragone possono costituire un ostacolo ai processi di innovazione tecnologica[29].

Tecnologia e burocrazia spingono in direzioni divergenti perché l’innovazione digitale mette in discussione la compartimentazione organizzativa e le conseguenti posizioni di potere del ceto burocratico e in occasione di una lotta di potere all’interno della leadership potrebbe almeno in teoria dinamizzare il centralismo democratico dello stesso partito comunista.

E poi c’è un altro aspetto fondamentale di cui tener conto: il fattore umano, in particolare l’esigenza di libertà e di qualità della vita. Per primeggiare sul piano scientifico e tecnologico occorre attrarre talenti da tutto il mondo; nonostante gli incentivi finanziari alcuni tratti illiberali della realtà cinese potrebbero scoraggiare questo processo di attrazione.

Nei prossimi anni vedremo quale sarà l’esito di questa avvincente sfida tra le due maggiori potenze e sarà anche possibile comprendere quali paesi si avvicineranno alla Cina (è uno dei dilemmi della Russia) e chi invece privilegerà la cooperazione con le democrazie euro atlantiche.

Ma se questo è lo scenario è davvero difficile sostenere ipotesi che il mondo abbia un assetto apolare come ha sostenuto Richard Hass. Considerando il peso così significativo degli Stati Uniti e della Cina nel sistema internazionale è davvero difficile sostenere l’assenza di poli. Si può discutere se gli Stati Uniti vogliono continuare a fare i gendarmi del mondo oppure discettare su quanto ancora durerà il primato degli Stati Uniti sul piano tecnologico e militare. Lo stesso cale sul versante cinese. Si possono nutrire dubbi sulla volontà della leadership di assumersi responsabilità globali a 360 gradi. Ma qui non facciamo riferimento alle volontà soggettive delle élite politiche di Washington o di Pechino, ma a peso oggettivo.

Nel sistema internazionale contemporaneo – anche per effetto della rivoluzione digitale – la presenza di almeno due grandi di poli di attrazione e di influenza quali gli Stati Uniti e la Cina è un dato di fatto che possiamo osservare nella vita di tutti i giorni e da cui non si può prescindere.

La domanda da porsi è un’altra. Esiste un terzo paese che presenti caratteristiche simili, tali da costituire almeno potenzialmente un terzo polo? Senza una entità statuale con queste caratteristiche è impossibile immaginare l’assetto tripolare a cui abbiamo accennato nei paragrafi precedenti. Della fragilità politico-istituzionale dell’Unione Europea abbiamo già detto, solo l’avvincente progetto degli Stati Uniti d’Europa potrebbe renderlo possibile. Per quanto attiene ai BRICS oltre alla Cina la Russia è l’unico potenziale candidato. Come abbiamo già scritto le nuove sfide tecnologiche e produttive (si pensi al quantum computing) hanno la necessità di essere sostenute da consistenti investimenti pluriennali e grandi laboratori di ricerca che soltanto un numero limitato di Stati e soltanto le grandi aziende possono permettersi.

La Russia di Putin

Se Vladimir Putin ha conquistato da tempo in Europa e nel mondo l’immagine di un leader abile, popolare e vincente, la Russia di Putin si presenta viceversa come una realtà più fluida, più fragile e più difficile da decifrare. Alcuni tradizionali punti forza restano consistenti. Ci riferiamo alla produzione di energia, alle forze armate, alle migliaia di testate nucleari, alla produzione bellica. Un altro elemento di cui tener conto sono i risultati delle sue azioni militari soprattutto per quanto attiene alle conseguenze nel dominio marino. Con la sua azione di forza in Crimea ed in Siria la Russia ha messo in sicurezza le sue basi militari di Sebastopoli e Tartus/Latakia oltre ad accrescere le sua capacità di influenza geopolitica sugli attori del conflitto. Tuttavia si è trattata in fin dei conti di una politica militare di carattere difensivo. Essa ha peraltro prodotto conseguenze negative: oltre al prezzo delle sanzioni ha anche favorito la fuga da Mosca di consistenti capitali stranieri.

Dopo aver perso una parte molto consistente del suo territorio in seguito al crollo dell’Unione Sovietica e dopo un decennio di caos, con l’avvento di Putin si è cercato di arrestare il declino: non perdere del tutto l’influenza sui paesi confinanti, accrescere la popolarità e l’influenza di Putin nella politica europea con il supporto ai partiti populisti/sovranisti, bloccare l’espansionismo di NATO e UE e tentare un rilancio della politica estera della Russia con una maggiore presenza nell’artico, in medio oriente, nella sponda sud del mediterraneo ed in alcune ex repubbliche sovietiche in Asia.

A nostro avviso tuttavia questi elementi non sono sufficienti per fare della Russia una grande potenza in grado di operare su scala globale. L’eccesso di dipendenza dal prezzo delle risorse energetiche (tipico dei cosidetti petrostates), la fragilità e debolezza del rublo, l’arretratezza della base industriale e i ritardi sul piano tecnologico fanno presumere che il gap della Russia con la Cina e con gli Stati Uniti sia destinato a crescere. Ciò che, inoltre, appare difficile da capire (forse la debolezza finanziaria) è perché il paese, la sua classe dirigente, le sue aziende strategiche non riescano a stare al passo con la rivoluzione tecnologico-industriale che sta trasformando il mondo.

In ambito digitale – sulla base della lunga esperienza del KGB – la Russia ha dimostrato notevoli abilità nel muoversi nel social layer del Cyberspace: comunicazione, capacità di mimetizzazione, trolls, campagne di disinformazione, ecc…

Meno chiare sono le reali capacità della Russia nelle nuove applicazioni militari di AI e nei cyber attacchi di tipo più avanzato, ambito, quest’ultimo nel quale sembra che la Russia abbia operato con qualche efficacia nel corso conflitti recenti (Georgia, Ucraina). Il 1 settembre 2017 il Presidente Vladimir Putin in occasione dell’apertura dell’anno scolastico ha dichiarato:

Artificial intelligence is the future, not only for Russia, but for all humankind. It comes with colossal opportunities, but also threats that are difficult to predict. Whoever becomes the leader in this sphere will become the ruler of the world,”

However, the president said he would not like to see

“anyone to monopolize the field”. “If we become leaders in this area, we will share this know-how with entire world, the same way we share our nuclear technologies today.

E’ difficile decodificare le ragioni di quel messaggio. Potrebbe essere un discorso rivolto all’interno: ai militari, alla comunità scientifica ed alle aziende russe per segnalare il loro ritardo e stimolarli ad un catch up accelerato. Questa tesi potrebbe essere avvalorata – secondo quanto sostiene un recente report dell’ufficio studi del Congresso americano – dal fatto che la ricerca tecnologica russa (rispetto agli Stati Uniti e la Cina) sarebbe più indietro proprio in materia di Intelligenza Artificiale:

“Despite Russia’s aspirations, analysts argue that it may be difficult for Russia to put any significant investment into these programs. Some analysts point out that the Russian tech industry is not sophisticated enough to produce AI applications on par with the United States or China. Only one Russian made it on to IBM’s recent list of global “AI Influencers,” and the AI tools produced by Russian startups are generally inferior to developments by comparable companies in the United States and China. Critics of this position counter that Russia was never a leader in internet technology, but that has not stopped it from becoming a substantially disruptive force in cyberspace. In addition, the Russian position on LAWS seems to be inconsistent. Although the Russian research agenda may indicate an emphasis on autonomous weapons systems, individuals inside the Russian military establishment and leaders of the defense industry have expressed reservations about trusting AI systems for battlefield decision-making. Nevertheless, Russia may be able to overcome its weaknesses and preserve a unique advantage in global military AI technology if it is the first to aggressively pursue LAWS.” [30]

Potremmo continuare con altri esempi, ma sulla base degli elementi disponibili la nostra ipotesi è che la Russia – sia pur in terza posizione – non sia almeno nel breve e nel medio periodo in grado di assolvere il ruolo di superpotenza a cui dichiara di voler aspirare. La tesi che sottoponiamo ai nostri lettori è pertanto la seguente: il sistema internazionale sta evolvendo verso un nuovo bipolarismo tra Stati Uniti/Cina. Si tratterà, però, di una forma diversa di bipolarismo da quella che abbiamo conosciuto dopo la seconda guerra mondiale come esclusiva contrapposizione tra Stati.

Nelle società digitali in cui stiamo vivendo da qualche anno un ruolo rilevante, almeno nei paesi democratici è svolto dalle grandi aziende private. Non basterà pertanto guardare solo al governo degli Stati Uniti, ma anche al comportamento – spesso non pienamente allineato e talora apertamente conflittuale – dei colossi digitali multinazionali che hanno base negli Stati Uniti. Allo stato degli atti in Cina il rapporto Stato/mercato è radicalmente diverso anche per i collegamenti tra partito comunista e aziende.

Tuttavia – a nostro avviso – un attento osservatore oltre a monitorare accuratamente le mosse di IBM, Intel, Amazon, Google, Facebook, Apple, Microsoft, Verizon farebbe bene a non trascurare Alibaba, Baidu e Tencent.

______________________________________________________________

  1. https://www.weforum.org/agenda/2016/01/the-fourth-industrial-revolution-what-it-means-and-how-to-respond
  2. Goldfarb, Avi, Shane Greenstein and Catherine Tucker, eds. Economic Analysis of the Digital Economy. University of Chicago Press, 2015
  3. . https://www.fedscoop.com/trump-signs-national-quantum-initiative-law/ ,https://www.fedscoop.com/trump-signs-national-quantum-initiative-law, https://techcrunch.com/2018/12/13/us-intelligence-quantum-computing-artificial-intelligence-national-security-threat/
  4. https://www.scmp.com/tech/big-tech/article/2179641/white-house-said-mull-new-year-executive-order-bar-huawei-zte
  5. https://books.google.it/books/about/Man_the_State_and_War.html?id=qUsb210ml48C&redir_esc=y,https://books.google.it/books/about/Theory_of_international_politics.html?id=Z17uAAAAMAAJ&redir_esc=y,
  6. “ Power and interdependence: world politics in transition”, Robert Owen KeohaneJoseph S. Nye, Little, Brown, 1977 –
  7. Vedasi note 5 e 6.
  8. Il principio di anarchia non vale per ogni aspetto della vita internazionale; esistono ambiti in cui la cooperazione multilaterale e i regimi internazionali hanno una influenza sulla legislazione dei singoli Stati; tuttavia di fronte ai grandi dilemmi della sicurezza internazionale contano le risorse di cui gli Stati dispongono o in caso di accordo politico tra i i cinque membri permanenti il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
  9. https://www.nytimes.com/2015/09/26/world/asia/xi-jinping-white-house.html
  10. Una interazione più complicata, ma sulla scia della correlazione individuata da Robrt Putnam nel suo famoso testo su” two level games tra diplomacy and domestic politics; https://www.jstor.org/stable/2706785?seq=1#page_scan_tab_content,s
  11. https://www.mulino.it/isbn/9788815234728
  12. https://www.foreignaffairs.com/articles/united-states/2008-05-03/age-nonpolarity
  13. “ Looking back, the article on stability of a bipolar world was published in 1964. It was strangely controversial. It made people mad. I first gave the paper as a talk to the Harvard/MIT Arms Control Seminar. There was a lively and heated discussion following the presentation of the simple idea that this has become a world of two powers, in other words, a bipolar world. People were saying, “No, wait a minute. Europe still counts.” Well, of course, Europe still counted, but not nearly as much, obviously, as it once did, and not merely as much as the United States and the Soviet Union. Ultimately, the world’s fate depended on the United States, the Soviet Union, and the interaction between them1 ”. Waltz, K. (1979).
  14. https://www.foreignaffairs.com/articles/united-states/2008-05-03/age-nonpolarity
  15. Per restare solo in Italia si può osservare una sensibile crescita della presenza cinese nel campo delle reti e delle comunicazione, un crescente ruolo della Russia nell’approvvigionamento energetico e soprattutto delle sue implicazioni con la crisi libica. Per non parlare della nota influenza francese in ambito difesa e nei settori mediatico, dei trasporti e della grande distribuzione.
  16. https://www.news18.com/news/world/us-no-longer-the-worlds-policeman-declares-donald-trump-in-lightning-visit-to-iraq-1984401.html
  17. https://www.foreignaffairs.com/articles/asia/1967-10-01/asia-after-viet-namù
  18. https://fas.org/sgp/crs/row/R44891.pdf
  19. “The United States and China are jointly operating an electronic intelligence-gathering station in China to monitor Soviet missile tests, according to senior American officials. The facility was opened last year in a remote, mountainous region of the Xinjiang Uighur Autonomous Region in western China, near the Soviet border. Two key Soviet missile-testing bases are at Leninsk, near the Aral Sea, and at Sary-Shagan, near Lake Balkhash. Leninsk is 500 miles from the nearest point on the Chinese border, Sary-Shagan 300 miles. The establishment of the listening post involved a far deeper level of military cooperation between Washington and Peking than either Government had publicly acknowledged. Sensitive Military Relationship. In Peking yesterday, at the conclusion of talks with Chinese leaders, Secretary of State Alexander M. Haig Jr. announced that the United States had decided in principle to sell arms to China. The United States had previously sold China only non lethal military equipment. Operation of the facility, which was not mentioned by Mr. Haig, brought the two nations into a sensitive, secret military relationship during the Carter Administration”. NYT
  20. https://www.state.gov/r/pa/prs/ps/2018/12/288229.htm
  21. https://www.technologyreview.com/s/612603/china-vs-the-us-who-wins-and-who-loses/
  22. https://www.businesstimes.com.sg/brunch/the-new-cold-war-a-long-freeze-in-global-ties?xtor=EREC-16-1[BT_Newsletter_1]-[20181229]-[The+new+cold+war%3A+a+long+freeze+in+global+ties]&xts=538380
  23. https://www.amazon.it/New-Digital-Age-Reshaping-Business/dp/0307957136
  24. https://www.hsgac.senate.gov/imo/media/doc/CYBER%20letter%20Dempsey.pdf, https://phys.org/news/2012-08-senate-cybersecurity-legislation.html
  25. https://www.ispionline.it/en/bio/john-r-allen
  26. https://www.nytimes.com/2018/12/18/world/asia/xi-jinping-speech-china.html
  27. https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/mayer-non-ce-democrazia-senza-cyber-security-ecco-le-sfide-degli-stati/
  28. https://beta.scmp.com/news/hong-kong/law-and-crime/article/2179961/can-hong-kongs-legal-industry-catch-singapore-when-it?utm_medium=email&utm_source=mailchimp&utm_campaign=enlz-scmp_international&utm_content=20181229&MCUID=e3e06d6f17&MCCampaignID=52365a4fa1&MCAccountID=3775521f5f542047246d9c827&tc=23
  29. https://fas.org/sgp/crs/natsec/R45178.pdf

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