la proposta

Notifiche telematiche nei processi, la Pec ha fallito: proviamo Whatsapp

Un sistema come Whatsapp è usato da tutti, proprio per la sua semplicità ed efficienza; è fruibile senza difficoltà e soprattutto è un sistema di comunicazione che utilizza una piattaforma. Ecco perché replicarne le caratteristiche potrebbe garantire tutti quei vantaggi che la notifica via Pec ha fin qui disatteso

Pubblicato il 27 Apr 2018

Marco Cuniberti

avvocato, Costa Cuniberti, Avvocati Associati

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Il processo civile telematico, pur perseguendo un nobile intento, è concepito in modo “vecchio” e concettualmente sbagliato dal momento che, come spiegato anche in precedenza, si limita soltanto a replicare, in formato elettronico, processi nati per essere cartacei, invece di ripensarli, ridisegnarli, per sfruttare al meglio le possibilità del digitale.

Partendo dal presupposto che l’informatica deve semplificare (cioè eliminare problemi, non aumentarli) e migliorare l’efficienza (l’utente deve, utilizzando gli strumenti informatici, rendere di più), bisogna purtroppo ammettersi che il risultato non si è ottenuto.

Limiti e criticità della notifica via PEC

Non si sottrae a questa critica neppure la notifica via PEC, ex art. 3 bis della L. 53/94.

Anche questo strumento, infatti, è concepito in modo “vecchio”, per cui non soddisfa i suddetti presupposti.

Anzi, ha creato nuovi problemi (più giuridici che tecnici), che spesso ne frenano l’uso.

La PEC è uno strumento meno fruibile della email: è difficile il suo utilizzo attraverso device mobili (per cui i vantaggi vengono limitati), la sua archiviazione a norma presuppone una procedura (la conservazione) complicata e costosa.

Cancellare involontariamente una PEC (o una sua ricevuta) è inoltre un errore che sicuramente potrebbe verificarsi più facilmente rispetto alla involontaria perdita/distruzione di un atto notificato in via cartacea.

Il sistema di notifiche via PEC presenta poi numerosi altri limiti: intanto si può utilizzare solo nei confronti di chi possiede un account di posta elettronica certificata (cioè sostanzialmente solo chi vi è costretto per legge: e il fatto che gli altri non utilizzino questo strumento, è già di per sé indicativo).

Questo limita l’utilità di questa procedura, impedendo di utilizzarla non solo nei confronti delle persone fisiche che non abbiano l’obbligo di avere un indirizzo PEC, ma anche nei casi in cui l’atto debba essere notificato a più soggetti e anche uno solo di essi sia sprovvisto di posta certificata (il che obbligherebbe a effettuare due tipi di notifiche diverse, con inutili complicazioni).

Ancora, qualora la “casella” PEC del destinatario sia “piena” o “non attiva”, la notifica non si perfeziona (il destinatario inadempiente al proprio obbligo di legge di avere un account di posta elettronica certificata è quindi paradossalmente avvantaggiato – le notifiche non sono mai a suo favore – da questo suo inadempimento), con la conseguenza che la notifica dovrà nuovamente effettuarsi, in via analogica.

Per non parlare delle formalità e della correttezza delle indicazioni nella notifica, delle (assurde) firme digitali da apporre ai documenti ivi allegati, i cui eventuali errori o omissioni possono portare alla nullità o comunque all’invalidità della stessa (mentre “prima”, essendoci sempre il controllo dell’Ufficiale Giudiziario, il problema sostanzialmente non si poneva, così come non vi sono mai state questioni relative alla corrispondenza tra lo scarabocchio apposto in calce agli atti – quasi sempre apposto dalla segretaria – e la provenienza dell’atto dall’avvocato).

Quando il digitale è più complicato dell’analogico

Questi sono solo alcuni dei problemi che costringono gli avvocati ad adottare, nella migliore delle ipotesi, un doppio binario nelle notificazioni, cioè implementare procedure di notifica sia in via analogica che telematica (con conseguente complicazione, specie in studi minimamente strutturati, dove il professionista non è un factotum e occorre adottare procedure in cui intervengono più soggetti, tra cui gli impiegati); o addirittura rinunciare alla notifica telematica e restare alla procedura tradizionale (ancorchè in proprio, ex. L. 53/94), per semplificare.

Ma il vero problema è che, nel 2018, nell’era della comunicazione facile, fruibile, gestibile archiviabile – da tutti e da mobile – si ritenga che il migliore modo di dare certezza alla comunicazione di una dichiarazione di scienza o di volontà, ovvero la trasmissione di un allegato digitale contenente una dichiarazione di scienza o di volontà (perché tale è lo scopo di una notifica via PEC) sia un (complicato e problematico) surrogato della raccomandata cartacea, contenente un (complicato e problematico) surrogato di un foglio di carta, cui a suo volta viene applicato un (complicato, problematico e inutile) surrogato della firma.

E soprattutto si addossano all’avvocato utente oneri di conservazione e di produzione in giudizio, ben più complicati che per le notifiche “analogiche”.

Nell’era dell’informatica che semplifica, della de-documentalizzazione, si rifiuta quindi di innovare e si complicano gli adempimenti.

Perché usare un sistema tipo Whatsapp per la notifica telematica

E dire che la soluzione per una “vera”, semplice e fruibile notifica telematica ci sarebbe: replicare Whatsapp (giusto per citare il sistema più famoso), Telegram et similia.

Non è una provocazione.

Un sistema come Whatsapp è usato da tutti, proprio per la sua semplicità ed efficienza; è fruibile senza difficoltà e soprattutto è un sistema di comunicazione che utilizza una piattaforma, con tutti i vantaggi che questo comporta.

Il primo, è che l’utente non è più il soggetto su cui grava l’onere legale della “conservazione” delle comunicazioni e delle prove che questa sia avvenuta, essendo a ciò deputato il gestore della piattaforma.

Al suo ruolo imparziale e garantista non osterebbe la sua natura eventualmente privata, visto che già sono privati gli odierni gestori di PEC, i quali forniscono rigide garanzie di qualità e sicurezza, per essere accreditati.

Come e meglio della PEC, questi sistemi di messaggistica forniscono la prova della ricezione del messaggio (ovviamente basta non abilitare l’opzione che nasconde al mittente la prova della ricezione).

Il secondo grande vantaggio (che ci staccherebbe finalmente dall’anacronistico sistema della raccomandata) è che, utilizzando una piattaforma, sarebbe molto più semplice gestire le comunicazioni, visto che sarebbe agevole realizzare applicazioni (se non addirittura programmi gestionali) dell’attività dello studio, che si interfaccino con quella piattaforma.

E si tratterebbe della stessa piattaforma che, nel già citato articolo sul “buon PCT” (o sarebbe meglio chiamarlo “giusto PCT), veniva ipotizzata per un sistema di deposito/caricamento degli atti giudiziali (se non di redazione), alla quale l’utente accede con la propria identità (come già avviene con Polisweb) ed ogni attività espletata dal/col suo account viene ricondotta a lui.

L’obiezione per cui il sistema potrebbe essere utilizzato non dall’utente, ma da terzi che fraudolentemente possano accedere alle sue credenziali, è priva di pregio, sol se si pensa che oggi, negli studi legali o nelle aziende, più del 90% dei messaggi PEC vengono già inviati/gestiti (al pari dell’apposizione delle firme digitali sui documenti elettronici) da terzi non titolari (cioè impiegati, segretarie, praticanti, ecc.), con identici rischi.

Questo sistema non porrebbe inoltre problemi e sarebbe compatibile con la normativa eIDAS, come ben evidenziato su queste pagine da Giuseppe Vitrani e Roberto Arcella.

Oltretutto – come correttamente evidenziato dallo stesso Giuseppe Vitrani – un simile sistema potrebbe anche essere accreditato come servizio di recapito elettronico qualificato ai sensi di eIDAS, potrebbe legittimamente invocarne l’operatività anche in Italia e, anzi, quel servizio (e gli indirizzi connessi) dovrebbero certamente trovare posto nei nuovi registri per i domicili digitali previsti dal CAD.

Qualcosa si muove: il Progetto Anthea

Ma in fondo al tunnel, fortunatamente, si vede la luce e qualcosa si sta muovendo in questo senso.

Con la sentenza n. 2259 del 28/12/2017, il Tribunale di Modena, nell’accogliere un ricorso congiunto per lo scioglimento del matrimonio, ha proposto ed ottenuto l’adesione dei ricorrenti genitori di due figlie minori, al “Progetto Anthea”, facendo entrare nel processo civile un sistema di comunicazione su piattaforma (gestita da una terza parte).

Si tratta di un’applicazione per smartphone e tablet, utile (nei limiti del buonsenso delle parti) a gestire molti degli aspetti relativi alla regolamentazione dell’affido condiviso dei minori.

Da quel che è dato di leggere negli articoli specializzati, la (ex) coppia si é impegnata ad utilizzare questa applicazione telematica in modo esclusivo per qualsiasi comunicazione che possa riguardare i minori: le comunicazioni così scambiate costituiranno “prova ineludibile e incontestabile dalle parti” e testimonianza chiara dei rapporti della ex coppia.

Gli ex coniugi sanno ed hanno quindi accettato che tutte le comunicazioni che “intercorreranno tra esse potranno essere oggetto di produzione documentale, rappresentando prova ineludibile ed incontestabile dalle parti”.

È un primo passo. Ma è un esempio di come si possono e si debbono concepire le comunicazioni con valore legale (e quindi anche le notifiche), sfruttando la potenza e la semplicità che, nel 2018, possono offrire le tecnologie digitali, senza ancorarsi, inutilmente, al passato.

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