l'analisi

5G, gli italiani si oppongono: ecco le opportunità che perdiamo

Il 5G è una infrastruttura fondamentale per il futuro. Eppure continuano a nascere comitati del No e proprio nelle aree che più beneficerebbero della tecnologia. Un controsenso tipico del nostro Paese. Ora la politica si decida a fare di più a sostegno della ricerca e delle imprese del settore

Pubblicato il 29 Gen 2020

Marco Bentivogli

Base Italia

5G in europa

Il 5G sarà fondamentale per tutto quello che riguarderà il futuro, dalle imprese, alla mobilità, dalla sanità, alla sicurezza, ma il crescente ostracismo verso la tecnologia unito alla notoriamente scarsa propensione all’innovazione rischiano di farci accumulare un ritardo che penalizzerebbe lo sviluppo del sistema paese. Vediamo perché, invece, non possiamo perdere questa opportunità.

Italia, Paese di tecnofobi

Che il nostro sia un paese di tecnofobi ce lo racconta la storia: la tv a colori una tecnologia già disponibile dal 1967, impiegò dieci anni per essere adottata. Un grande quotidiano nazionale titolava all’epoca: “La Tv a colori è caldeggiata dagli industriali e dalla Rai”, la questione, unì liberali, repubblicani, sinistra radicale e socialdemocratica. Nel 1972-1973, uno dei primi governi Andreotti rischiò di cadere perché il Pri minacciò il ritiro del suo sostegno proprio intorno alla questione della TV a colori, mentre la Cgil scrisse in una nota che “L’adozione della televisione a colori si muove in senso del tutto opposto alle esigenze del nostro Paese”. Un fenomeno quello della tecnofobia, tipica del nostro Paese e su cui si costruiscono fortune editoriali e politiche. Dopo i robot che rubano il lavoro ora è la volta del 5G. Una delle infrastrutture abilitanti per tutto quel mondo che va sotto il nome di Industria 4.0 ma non solo.

Ma come funghi stanno nascendo in tutto il Paese comitati per il NO al 5G specie nelle provincie e nei piccoli paesi dell’entroterra, quelli che paradossalmente potrebbero averne i maggiori benefici, evitando di rimanere fuori dal gorgo dell’innovazione e dalla possibilità di una “terza via”.

Includere le piccole e microimprese nell’ecosistema 4.0

Una terza via che passa per la “biodiversità” che caratterizza la nostra provincia, come scrive nel suo recente libro Paolo Manfredi (Provincia non periferia ed. Egea); fatta di PMI e artigianato di qualità, che davanti alla quarta rivoluzione industriale è sempre più spiazzata e necessita di una nuova capacità di sinergia e cooperazione in grado di rilanciare quella cura nel “saper fare” e quelle differenze che hanno caratterizzato il nostro Made in Italy e dove oggi la tecnologia può fare la differenza quale fattore abilitante e rilancio su scala globale.

Questo è ancora più vero in un paese come l’Italia in cui le micro e le piccole imprese rappresentano il 99.4% del totale delle imprese. Includerle dentro l’ecosistema 4.0 è fondamentale cosi come la presa di coscienza, che passa per la formazione, delle opportunità che la tecnologia può offrire al territorio. La paura che si va diffondendo sul 5G è priva di qualsiasi costrutto scientifico ed è alimentata ad arte citando dati sbagliati con la tecnica del “quasi vero” tipico delle fakenews che ha però conseguenze reali sull’economia e sul lavoro nel nostro territorio e del nostro Paese.

Il nodo delle emissioni elettromagnetiche

Per quanto riguarda il 5G, infatti, l’Italia ha i limiti più stringenti in Europa sulle emissioni elettromagnetiche, dati diffusi dall’Istituto Superiore della sanità in una recente audizione alla Camera dei Deputati, dove lo studio afferma che le nuove antenne 5G rappresentano un “pericolo” (tra virgolette) ancora più remoto per la salute rispetto alle attuali tecnologie 3G e 4G e hanno un livello di possibile rischio per la salute classificato dall’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro AIRC (massima autorità in materia) pari a quello relativo all’assunzione e consumo della carne rossa. Sempre per l’Istituto superiore della Sanità, non esiste nessun rischio legato alle antenne cellulari, perché le potenze utilizzate nella realtà sono di gran lunga inferiori rispetto a quelle che hanno sollevato qualche timore negli studi sperimentali sui ratti. Chi sostiene che il 5G, usando nuove frequenze (vicine alle cosiddette “onde millimetriche”) possa esporre a rischi diversi e maggiori per la salute, allarme lanciato da chi adesso chiede lo stop della tecnologia (già lanciata negli Stati Uniti e in arrivo in tutta Europa), lo fa in maniera strumentale, perché le nuove frequenze, sono si più elevate rispetto a quelle usate ora dai cellulari ma che penetra e si diffonde meno bene di quello 3G e 4G ecco perché le celle devono essere più piccole e più capillari sul territorio. Ciò significa, come precisa l’Istituto superiore della sanità, che le potenze utilizzate saranno più basse e le onde si fermeranno a livello molto superficiale (della pelle). Gli studi fatti su queste frequenze (per esempio dall’Agenzia francese per la sicurezza, la salute e l’ambiente) dimostrano che gli effetti immediati sulle cellule sono meno rilevabili rispetto a quelli per l’uso delle attuali frequenze 2G/3G/4G (che pure danno effetti scarsamente percettibili, di riscaldamento cellulare). Infine, dal 2022, il 5G userà anche le frequenze a 700 MHz, che però sono le stesse usate dai televisori e su cui nei decenni non sono emersi rischi dimostrabili e apprezzabili per la salute.

Le opportunità di crescita e sviluppo

Quindi se sul piano sanitario i rischi sono del tutto inesistenti e trascurabili, sul piano tecnologico le opportunità di crescita e sviluppo legate a questa tecnologia sono esponenziali.

La sperimentazione che si sta facendo in alcune importanti città del nostro Paese a partire da Roma, Milano ma anche Bari e Matera e in decine di piccoli comuni italiani è da leggersi non nell’ottica di una sperimentazione sulle ricadute del 5G sulla salute della popolazione, sarebbe assurdo, ma si tratta di una sperimentazione delle applicazioni e degli sviluppi che questa tecnologia ha in molti ambiti che vanno dall’industria alla pubblica amministrazione, alla sanità, ecc.

Il 5G è infatti una delle 11 tecnologie abilitanti per lo sviluppo, dell’ecosistema 4.0, che permetterà integrazione di imprese, artigiani, servizi, mobilità, pubblica amministrazione, sanità, cittadini, enti, scuole, territori, in maniera più efficiente e veloce. Non solo, il 5G garantisce tempi di latenza bassissimi (è il tempo per intenderci, di risposta del sistema alle richieste dell’utente che sarà di 4 ms) fondamentali per le tecnologie legate allo sviluppo della guida autonoma e della chirurgica in remoto.

Il vero rischio, questo sì concreto, è che tra comitati del No e scarsa propensione del Paese all’innovazione rischiamo di trovarci in forte ritardo rispetto agli altri Paesi industrializzati.

Nell’indice DESI elaborato dalla Commissione europea, l’Italia si piazza al secondo posto in Europa nella classifica relativa allo stato di avanzamento dello sviluppo del 5G, mentre scendiamo fino alla 24esima posizione nella graduatoria relativa alla digitalizzazione dell’economia e della società. Una classifica che ci restituisce ancora una volta la scarsa propensione del Paese a cogliere le opportunità della tecnologia, che per quanto riguarda il 5G, potrebbe essere in grado di fornire al nostro sistema manifatturiero, secondo in Europa, opportunità di sviluppo incalcolabili aumentando l’efficienza complessiva del sistema Paese.

La sicurezza degli apparati di rete

C’è ovviamente un tema legato alla sicurezza degli apparati di rete che l’Italia sta acquistando da stati extra europei. Perché si tratta di apparati e componentistica per infrastrutture strategiche. La scelta di affidarli, anche solo in parte, quindi, ad un soggetto collegato ad un paese extra UE merita un’analisi approfondita per le implicazioni che può avere in termini di sicurezza. Ecco perché la stessa Unione Europea ha scelto una soluzione di compromesso lasciando ai singoli Paesi membri la scelta su come regolarsi sulle forniture delle infrastrutture e servizi di rete, avviando però, contemporaneamente un percorso che porterà a fine dicembre alla redazione di un protocollo comune da adottare per mantenere alto il livello di sicurezza.

Su questo fronte la politica dovrebbe riflettere sull’importanza di investire maggiori risorse sostenendo sia la ricerca che tutto quel sistema fatto di aziende che ruotano intorno al TLC e all’ICT, molte metalmeccaniche. Dai semiconduttori, alla microelettronica, alle aziende di software e istallazioni, che potrebbero, all’interno delle nuove prospettive avere un ruolo importante non solo in termini di tecnologie e innovazione ma anche di lavoro. E questo è vero per il nostro Paese, lo è ancora di più per l’intera Europa.

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