Bortolotto (Assoprovider): “Ecco perché contestiamo la barriera dei 5 milioni di capitale per gli Identity Provider”

Pubblicato il 12 Feb 2015

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Assoprovider ha da sempre la missione di battersi per un sistema normativo nel settore ict dove prevalgano i principi della “trasparenza” “neutralità” e “non discriminazione” non solo perché questo rappresenta una esigenza delle pmi associate (come è ovvio che sia) ma anche perché questo è fondamentale sia per un mercato digitale efficiente sia per una attuazione rapida ed efficace dell’Agenda Digitale. Da sempre propugniamo il passaggio da una società di consumatori ad una società di “prosumer” (produttori consumatori) e non solo nei settori dove non si disturbano le rendite di posizioni precostituite ma anche e soprattutto dove la consuetudine abbia fatto perdere la coscienza della possibilità dei singoli di divenire anche produttori.

Nei giorni scorsi abbiamo letto alcune difese della parte della norma che contestiamo concentrate sul tentativo di dimostrare che siamo di fronte ad un business fallimentare e che questo determina la “necessità” di un numero ristretto di grossi player.

Riteniamo che questa analisi, alla quale ovviamente non abbiamo potuto contribuire vista l’assenza di una consultazione sull’argomento, abbia diversi presupposti errati.

In primo luogo anche fosse vero che si tratta di un business fallimentare ci risulta incomprensibile come la natura fallimentare e quindi intrinsecamente escludente debba essere rafforzata mediante una norma escludente, di solito il fallimento di mercato gli Stati lo combattono fornendo degli incentivi e non definendo dei disincentivi. Ma è proprio la certezza di una natura economica fallimentare che riteniamo essere basata su presupposti che ignorano la storia dell’economia digitale degli ultimi dieci anni.

L’economia digitale, con l’ascesa degli OTT, ci ha dimostrato (e il recente Nobel per l’economia Jean Tirole lo ha razionalizzato mediante i mercati due versanti) esistere un modo più articolato di produrre l’utile proprio grazie all’utilizzo di servizi “gratuiti” e quindi in perdita su di un versante, funzionali però all’acquisizione di quelle informazioni che su di un altro versante vengono utilizzate per produrre l’utile.

L’economia digitale ci ha anche insegnato come non sia il capitale sociale a determinare il successo o il fallimento di una iniziativa, e non si può dimenticare come la filosofia delle “startup” ritenute da tutti fondamentali per l’economia digitale sia antitetica alla logica dei mercati protetti e quindi a qualsiasi vincolo sui capitali sociali minimi.

Assoprovider è ovviamente da sempre a disposizione per un tavolo di confronto ove vengano analizzare tutte le possibili dinamiche informative e quindi economiche derivanti dall’erogazione di questo servizio, un tavolo che possa verificare celermente in modo condiviso le implicazioni su tutti gli attori coinvolti e quindi possa determinare i correttivi che garantiscano a tutti una competizione “non distorta” su questo tema peraltro molto delicato visto che si sta decidendo il futuro dell’identità digitale dei cittadini.

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