Confindustria

Catania: “Grandi partnership pubblico-privato nelle speranze del 2016”

Non è pensabile che la PA assuma a colpi di decreti una nuova dimensione, che significa mettere al centro il cittadino, creare un mondo interconnesso di servizi, che funziona secondo regole elastiche e dinamiche. La soluzione va trovata nella collaborazione fra pubblico e privato, in un nuovo modello di partenariato, più moderno ed efficace

Pubblicato il 26 Feb 2016

Elio Catania

presidente di Confindustria Digitale

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E’ indubbio che sul digitale in Italia nell’ultimo anno si siano fatti passi in avanti. La crescita di consapevolezza sul ruolo strategico di queste tecnologie nella crescita economica ha permesso l’attuazione, di un programma importante quale quello della fatturazione elettronica, nonostante le reticenze e le difficoltà iniziali. Così come l’avvio di progetti importanti, fra tutti Spid e Anpr che, a regime, sono destinati a operare una trasformazione profonda della Pa. A questi si aggiungono il Piano per la scuola digitale, le iniziative che se pur tra mille difficoltà, sono state messi campo per traghettare verso il digitale comparti pesanti come la sanità e la giustizia.

Possiamo dirci soddisfatti? Non possiamo: stiamo andando troppo lentamente e in modo troppo poco sistemico. Per colmare l’enorme gap accumulato negli ultimi 10 anni di mancati investimenti in digitale, fattore che continua a tenerci in fondo alle classifiche europee di competitività, efficienza della Pa, produttività, dobbiamo accelerare e ampliare la platea dei soggetti da coinvolgere. Per farlo vanno considerati due concetti chiave: partnership pubblico e privata e modelli di business.

Guardando in prospettiva nel 2016, possiamo affermare che sulla questione delle infrastrutture a banda ultralarga, che ci vedeva in netto ritardo rispetto ai principali paesi, si sta delineando un percorso basato su un mix di sinergie fra pubblico e privato. All’accelerazione degli investimenti degli operatori, si affianca l’intervento del governo e delle regioni per le aree a fallimento di mercato, il tutto in un quadro regolatorio di maggiore chiarezza e semplificazione come chiesto da tempo dal settore Tlc e varato recentemente dal Consiglio dei ministri.

Per i servizi digitali della Pa, nonostante l’Agid abbia impostato bene il lavoro puntando su poche grandi piattaforme trasversali, la strada che si intravede è ancora in salita e tortuosa, avendo come base di partenza un’organizzazione pubblica che poggiando su assetti estremamente verticalizzati, banche dati che non si parlano, procedure dispersive e ridondanti, migliaia di centri di spesa, va profondamente ridisegnata. Oggi per districare questa matassa e velocizzare il percorso di trasformazione digitale, diventa indispensabile potenziare l’Agenzia con risorse di project management al fine di metterla in grado di parallelizzare il lavoro sui grandi progetti.

Il nodo sta nel riconoscere che le nuove tecnologie del cloud, di Internet of Things, dei Big Data, dell’Industry 4.0, le nuove piattaforme applicative, la sharing economy, di fatto mettono in discussione la maniera con la quale un’organizzazione affronta il tema tecnologico. Tanto più per una macchina complessa e vasta come è la Pubblica amministrazione, lo sviluppo dei nuovi servizi dipende dalla capacità di adottare metodi nuovi per progettare e realizzare queste trasformazioni, basate sull’innovazione continua, sul trasferimento di know how, sull’accorciamento dei tempi, sulle piattaforme aperte e interoperabili.

Non è pensabile che la Pa assuma da sola, a colpi di decreti, questa nuova dimensione, che significa mettere al centro il cittadino, creare un mondo interconnesso di servizi, che funziona secondo regole elastiche e dinamiche. Anche in questo caso la soluzione va trovata nella collaborazione fra pubblico e privato, in un nuovo modello di partenariato, più moderno ed efficace, non certo rianimando ipotesi anacronistiche che si rifanno ai vecchi esempi dell’informatica pubblica. La linfa dell’innovazione è la concorrenza, all’interno della Pa e nel mercato, che è un partner fondamentale in questa partita.

Occorre capire che Spid senza servizi perde valore e i servizi non sono solo sul versante pubblico, ma soprattutto privato. Ai service provider iscritti se ne devono aggiungere altri e alle imprese bisogna dare la possibilità di sviluppare applicazioni da integrare con i servizi e le reti della PA. Anche per l’Anpr occorre pensare a un piano di deployment che permetta alle aziende che lavorano con i Comuni di realizzare nuovi modelli di business legati alle piattaforme nazionali. Stesso approccio per PagoPa, infrastruttura centrale, unica, a cui le Pa locali si interfacciano per consentire ai cittadini di pagare in modo elettronico. A regime il progetto prevede un sistema di notifiche e avvisi: a partire dalla fine del 2016 infatti i cittadini e le imprese riceveranno avvisi per ciò che c’è da pagare alla pubblica amministrazione. Può sembrare un aspetto secondario, ma ha nel cuore lo spirito di una svolta che si vuole dare al rapporto tra Pa e cittadino. La Pa si preoccupa di avvisarlo sulle scadenze che lo riguardano, in modo semplice, moderno, personalizzato , digitale, anche su cellulare, invece di limitarsi a punirlo per dimenticanze ed errori. Ecco di nuovo che l’avanzamento e il successo del progetto dipenderanno dalla possibilità data alle imprese Ict di progettare applicazioni e servizi. E’ questo il modo concreto di ampliare il cerchio, oggi ancora troppo ristretto, dell’economia digitale nel nostro paese.

Articolo precedentemente pubblicato su Forumpa.it

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