sovranità digitale

Polo Strategico Nazionale, i cloud provider italiani vogliono contare di più

Salvaguardia delle competenze locali, attrazione degli investimenti e localizzazione dei dati strategici: sono queste le tre direttrici su cui si muove il Consorzio Italia Cloud che, per il Cloud della PA, chiede un nuovo progetto industriale che coinvolga le PMI del settore

Pubblicato il 18 Nov 2022

Michele Zunino

presidente Consorzio Italia Cloud

polo strategico nazionale

Tutto è iniziato con un obiettivo: portare i servizi della Pubblica Amministrazione in cloud entro il 2026. Da lì, è partito un percorso travagliato per stabilire il perimetro di una partnership pubblico-privata (PPP), un modello che prima di allora, aveva visto solo qualche rara applicazione per la costruzione di parcheggi comunali o per l’evoluzione dell’edilizia carceraria.

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Polo Strategico Nazionale: quale ruolo alle aziende italiane del cloud?

Noi del Consorzio Italia cloud abbiamo documentato per tempo le nostre preoccupazioni agli organi che all’epoca erano impegnati a discutere del Polo Strategico Nazionale, segnalando da subito la necessità di coinvolgere gli operatori italiani attivi nel settore del cloud computing. Il processo di trasformazione della PA, infatti, poteva e potrebbe ancora essere sanato con l’ausilio delle aziende italiane del cloud, creando un percorso più coerente, che possa accelerare la trasformazione digitale della PA centrale e locale a vantaggio di tutti i soggetti del territorio. Vediamo come.

La spinta fornita dalla commessa pubblica e gli stringenti obblighi temporali del PNRR, hanno permesso che l’infrastruttura strategica per ospitare i dati critici della PA, finisse appannaggio di una cordata ristretta di imprese in partnership con soggetti tecnologici americani, noti monopolisti del cloud globale. Un modello centralizzato che non si sposa pienamente con la realtà industriale italiana del settore. Come era prevedibile, la litigiosità intrinseca del modello proposto ha finito per impegnare gli uffici del tribunale amministrativo, chiamato in causa da chi quella gara l’ha vinta ma si è visto sottrarre il “premio” – in forza di una clausola di prelazione. Abbiamo quindi un modello centrale e centralizzato, in cui il vincitore del bando non è l’aggiudicatario. Un ossimoro sorprendente che il TAR avrà modo di sanare – nei prossimi mesi – per ricomporre la vicenda. Ma soprattutto abbiamo assistito alla permanenza di campioni globali del cloud, ovvero industrie estere che grazie alla commessa pubblica italiana continueranno ad accrescere la loro dominanza, impedendo alle PMI locali di crescere e di attrarre capitale umano formato nelle nostre università.

Cloud della PA, un nuovo progetto industriale che coinvolga le PMI del settore

Dobbiamo quindi riportare al centro del dibattito sul cloud della PA, un nuovo progetto industriale che coinvolga le PMI del settore, e che non si riduca solo ad una manovra finanziaria per la costruzione di data center. Il Consorzio Italia cloud ha messo a disposizione le sue competenze perché crediamo che il cloud e le infrastrutture che lo compongono siano un abilitatore che però deve integrarsi con i processi, con le organizzazioni, con le imprese locali e non ultimi, i cittadini. Dobbiamo perciò decidere oggi che forma dare al patrimonio informativo del Paese e ridiscutere insieme i criteri ed il livello di sicurezza più adeguati a proteggere i dati strategici dal rischio di una loro violazione, tenuto conto anche che altri ordinamenti possono ancora permettersi di sfruttare – quasi indisturbati – la loro dominanza tecnologica per aggirare le nostre protezioni.

Sotto il profilo normativo – e gli addetti ai lavori lo sanno – sono in arrivo negli ordinamenti nazionali, gli effetti di importanti provvedimenti di natura europea, tutti volti a cercare di raggiungere regole comuni in questo settore, proprio per imputare responsabilità specifiche e garantire la massima trasparenza, irrobustendo gli ordinari strumenti di controllo (i.e. antitrust e golden power) per opporsi a pratiche anticompetitive o per regolare l’accesso pubblico ai dati o comunque preservare il mercato da recrudescenze o acquisti di imprese strategiche.

Le proposte del Consorzio Italia cloud nel contesto delle regole Ue

Non è certo questo il momento di passare in rassegna tutti i regolamenti europei, ma basta solo nominarli per creare l’ancoraggio giuridico delle proposte del Consorzio Italia cloud nell’ambito dell’economia di mercato su cui esse insistono.

Come è noto, già nel febbraio 2020, la Commissione europea ha presentato le sue idee e azioni su come l’Europa può mantenere la sua sovranità tecnologica e digitale e diventare un leader globale. Nella comunicazione “Dare forma al futuro digitale dell’Europa” – tra le altre cose – si chiarisce che la sovranità tecnologica inizia garantendo l’integrità e la resilienza della nostra infrastruttura di dati, reti e comunicazioni. Quindi da un lato si cerca di promuovere la ricerca e l’industria per creare “campioni industriali dell’UE” per una maggiore autonomia e ridurre la dipendenza dai paesi terzi. Dall’altro lato la protezione delle tecnologie e le industrie dal dominio di attori non europei in settori digitali critici ha visto l’avvio di indagini antitrust e di una nuova regolazione dei servizi digitali (i.e. DSA, digital services act, e DMA digital markets act, DGA, data governance act e, non da ultimo, il Data Act).

Tutti questi atti hanno in comune – tra le altre cose – il tentativo di depotenziare – pro quota – i giganti globali che sono accumulatori di risorse, competenze, dati, profitti e si avvantaggiano di economie di scala e di scopo e di effetti rete diretti e indiretti tali da renderli particolarmente difficili da scalfire.

Sovranità digitale, il dibattito in Europa

Ci sarà un motivo per cui l’Italia ha deciso di implementare prima di tutti una presunzione legale di abuso di dipendenza economica? Ma non è certo rimasta sola.

Il dibattito francese e tedesco intorno alla necessità di rafforzare la sovranità digitale dell’Europa, ha trainato da tempo tutti gli altri Stati membri ad avere una piena percezione di quanto sia importante garantire la protezione dei dati strategici più preziosi (militari, di bilancio ecc) e quelli privati (ad es. sanitari). Il modo migliore per perseguire lo scopo è quello di garantire una territorialità ai dati a tutela della loro raggiungibilità.

Tutti i Paesi hanno anche concordato sulla necessità di far emergere campioni tecnologici europei, senza i quali la nozione di sovranità digitale europea è destinata a rimanere lettera morta. Favorire l’emergere di imprese nazionali capaci di competere con l’offerta dei colossi globali, significa anche fermare l’emorragia di talenti che sono costretti ad espatriare, non vedendosi riconosciute le proprie competenze in un Paese che non ha scommesso abbastanza sulla promozione di un ecosistema tecnologico adeguato alle loro competenze.

Seguendo questo solco, uno dei principali ingredienti per raggiungere l’obiettivo della sovranità tecnologica è proprio quello di sviluppare competenze e conoscenze grazie al supporto del settore pubblico impegnato nel piano di ripresa e resilienza. Affinché ciò possa avvenire si è discusso molto di finanziamento di ricerca, sviluppo e innovazione (R&S&I) a livello centrale. Crediamo sia opportuno che – nel raggiungere questo obiettivo – non vengano eradicate competenze locali agli operatori cloud italiani, a favore di un solo polo centrale attrattivo di talenti quale si candida ad essere il Polo Strategico Nazionale. È necessario quindi mantenere e sviluppare un giusto ecosistema industriale distribuito su tutto il territorio nazionale, non solo attraverso la creazione di start-up o grandi poli tecnologici, ma facendo crescere le PMI esistenti che già oggi offrono servizi tecnologici avanzati in ambito cloud e cybersecurity, ivi comprese le in house regionali che da sempre sono il riferimento territoriale dei cittadini che fruiscono di servizi pubblici avanzati.

Conclusioni

Una corretta attuazione della Strategia italiana sul cloud – a nostro avviso – dovrebbe essere l’occasione per attrarre le eccellenze imprenditoriali italiane in modo da farle crescere in termini industriali anche grazie alla commessa pubblica del PNRR, mantenendo le competenze e le conoscenze acquisite sul territorio e, soprattutto, non rinunciando alla disponibilità di personale qualificato che è stato formato anche attraverso un percorso professionale nelle aziende italiane che localmente già offrono servizi cloud con tecnologie sicure. Raramente, infatti, un mercato digitale è stato così concentrato come quello del cloud dominato da tre grandi player americani. Al nuovo Governo è affidato il compito di risolvere questi problemi a cui sinora non si è riusciti a porre rimedio, ed assicurare una maggiore equità nella partecipazione dei diversi soggetti nazionali al valore dei dati.

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