La proposta

Liscia (Netcomm): “Cento mln in incentivi fiscali eCommerce tornano moltiplicati allo Stato”

Urge sostenere l’export via internet con riduzioni fiscali, distretti digitali, ritocchi dell’Iva, semplificazioni burocratiche e supporto alla logistica. L’Italia sta perdendo una grossa opportunità di crescita

Pubblicato il 12 Nov 2012

Roberto Liscia

Presidente Netcomm

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Molti degli emendamenti al decreto Crescita 2.0, in discussione da questa settimana, mirano giustamente a recuperare il capitolo eCommerce, stralciato dalle ultime bozze. Ritengo però che servano incentivi veri e propri, basati sulla leva fiscale. I mancanti introiti, infatti- che calcolo in circa 100 milioni di euro- verrebbero ampiamente ripagati allo Stato. Il problema di copertura non può essere insomma preso come un alibi per non intervenire con decisione a favore dell’eCommerce.

Torniamo a quanto veniva proposto nel testo di legge Gentiloni/Palmieri: che per il ” triennio 2013-2015, i redditi generati dalla cessione di beni e di servizi in favore di soggetti esteri da parte di micro imprese e di piccole imprese italiane non concorrono, nella misura di un terzo, alla determinazione del reddito imponibile di impresa“.

Netcomm ha più volte sottolineato l’importanza di favorire con benefici fiscali l’export delle le piccole imprese per poter ricuperare un ritardo nella competitività internazionale che vede l’Italia svantaggiata, in maniera strutturale, rispetto agli altri paesi europei.

Difficilmente l’Italia potrà raggiungere l’obiettivo dell’Agenda Digitale che prevede che al 2015 il 33% delle aziende europee sia organizzata per vendere online se si pensa che a tutt’oggi solo il 4% delle aziende italiane ha già investito in questo nuovo canale commerciale contro il 15% della media delle aziende in europa.

Il fatto positivo è che, a dispetto di uno scenario economico stagnante, l’eCommerce in Italia continua a crescere di anno in anno con percentuali rilevanti: a ottobre 2012 circa 12 milioni di individui – ovvero il 43% dell’utenza Internet italiana – avevano fatto acquisti online almeno una volta nei tre mesi precedenti, dato in crescita del 30% rispetto allo scorso anno. Tra i prodotti più in voga, al primo posto, i biglietti di viaggio seguiti da abbigliamento, libri, computer e periferiche per PC, ricariche telefoniche e soggiorni (hotel, villaggi, pacchetti vacanze).

Tuttavia il divario tra il mercato online italiano e quelli dei principali Stati europei resta ancora marcato: importiamo troppo, soffriamo un ritardo cronico in termini di investimenti in ict, spesa online, produttività, banda larga, vendite crossborder e le nostre imprese sono ancora troppo piccole e scarsamente informatizzate. Questo nonostante una crescita dell’export del 28% – composto per il 55% dal turismo e per il 33% dall’abbigliamento, per un valore totale di oltre 1 miliardo e 600 mila euro, cifra però molto inferiore a quanto si importa attraverso il canale digitale dall’estero, più di 3 miliardi di euro.

Il ritardo dell’Italia nell’esportazione delle merci attraverso il canale digitale è la conseguenza di diversi fattori che difficilmente potranno essere superati se non si interviene con provvedimenti di sistema.

Il primo e più evidente è la piccola dimensione delle imprese italiane che rappresenta una barriera all’investimento necessario per affrontare i mercati esteri. Lo stesso commissario europeo Neelie Kroes, responsabile per l’Agenda Digitale, dice che l’Italia è indietro, fanalino di coda nell’Ue, nell’e-commerce crossborder. Basti pensare che, considerando,le prime 30 aziende multicanale europee impegnate nel commercio elettronico l’Italia è assente e che il fatturato online dei primi 30 gruppi europei (40 miliardi di €) è 6 volte il fatturato online dell’Italia.

I costi per affrontare l’estero sono elevati per diversi motivi. Le imprese devono investire in tecnologie che non padroneggiano, convertire e localizzare i propri siti sia in termini linguistici che culturali per fronteggiare la concorrenza locale, organizzare e gestire gli aspetti amministrativi e fiscali resi complessi dalla necessità di adeguarsi alle normative fiscali diverse per ogni paese.

Sarebbe opportuno Incentivare la creazione di distretti digitali e consorzi di imprese attraverso opportuni strumenti finanziari, fiscali e promuovendo la nascita di startup e progetti finalizzati ad aggregare l’offerta.

Inoltre un importante fattore di criticità che limita lo sviluppo delle iniziative che avrebbero nei mercati esteri uno sbocco naturale (come i prodotti made in Italy, ad esempio) è l’offerta di servizi di logistica internazionale a costi accettabili. A oggi solo gli operatori con uno scontrino medio-alto e soprattutto con margini importanti – per esempio alcune iniziative dell’abbigliamento – possono sostenere o giustificare costi di consegna elevati.

La logistica è quindi tra gli elementi più importanti da mettere a punto anche nel commercio elettronico perché rappresenta l’anello finale del rapporto merchant/cliente. In particolare la logistica dell’eCommerce oggi affronta nuove dinamiche legate alla consegna di singoli prodotti: un’attività che deve essere tempestiva, puntuale e attenta al tracking. Caricando su di sé gran parte degli elementi di trust, in assenza del punto vendita fisico tradizionale, la garanzia del servizio è il punto centrale e maggiormente critico del successo degli operatori.

La proposta Gentiloni prevede l’introduzione di benefici per l’avvio di attività di commercio elettronico delle micro e piccole imprese, sotto forma di deducibilità ai fini della determinazione del reddito di impresa. La misura proposta non comporta oneri reali riguardando di fatto una realtà molto ridotta che potrà crescere grazie all’azione di stimolo derivante dalla norma con ritorni fiscali derivanti dalla crescita indotta dalla stessa norma.

Netcomm ha stimato che le vendite all’estero nel 2012 di prodotti (con esclusione della biglietteria, turismo e delle pochissme grandi aziende) non supererà i 350 mioni di euro. Oggi solo 150/200 micro e piccole aziende sono impegnate nell’export digitale. Se le agevolazioni previste da Gentiloni riuscissero a raddoppiare tale cifra permettendo nel 2013 di avere 700 milioni di euro di export e 300/400 aziende attive il costo di tale manovra non costerebbe più di 100 milioni di euro di mancati introiti fiscali ampiamente compensati dagli introiti aggiuntivi derivanti dalla crescita dell’export oltre che dal forte messaggio di politica industriale che ne deriverebbe. Cito dall’ultimo Osservatorio di School of Management-Politecnico di Milano: “L’eCommerce può costituire un fattore fondamentale di sviluppo per l’intero sistema e un’occasione per far crescere la competitività di tutte le imprese italiane. Produttività in Italia che – come noto – si è ridotta di oltre 15 punti in 10 anni (ossia a parità di ore lavorate si è prodotto il 15% in meno)”.

Nell’Art. 22, Semplificazione della normativa relativa al commercio elettronico diretto, viene proposto, per le prestazioni di commercio elettronico diretto, di non rendere obbligatoria l’emissione della fattura se non è richiesta dal cliente. Questo passaggio, di natura amministrativa, è molto più importante di quanto non appaia. Oggi anche quando un merchant sceglie di contabilizzare le vendite “a corrispettivo” rimane l’obbligo di emettere fattura se il cliente lo richiede. Questo comporta un peso gestionale e amministrativo non indifferente. In altri paesi Europei ha valore equiparato alla fattura anche un documento di “ricevuta d’acquisto” / scontrino con inclusi i dati per prodotto e l’indicazione dell’IVA ma senza bisogno di includere partita IVA / codice Fiscale del cliente. Questo tema va molto al di là del commercio elettronico perché il problema principale non è concedere l’emissione del documento semplificato da parte del merchant, ma è il fatto che il cliente possa poi scaricare il costo e recuperare l’IVA anche avendo in mano solo la ricevuta / scontrino. Però nell’ottica della semplificazione amministrativa un paese moderno dovrebbe pensarci.

Sempre nell’Art. 22 si fa riferimento alla necessità di portare l’iva di prodotti editoriali digitali via Internet ( e aggiungerei non solo internet) al 4%. Questa misura, che è di difficile attuabilità per i condizionamenti posti dalla normativa europea, ha una forte rilevanza, in particolare nel contesto italiano, per favorire il superamento del digital divide sia nel sistema scolastico che nell’alfabetizzazione digitale del nostro paese. L’asimmetria esistente tra l’imposizione fiscale agevolata per i prodotti editoriali cartacei e quelli digitali, oggi al 21%, comporta un onere per il consumatore ingiustificato.

Se si pensa che nel 2012 solo l’81% dei giovani tra i 16 e i 24 anni utilizzano internet contro il 97% dei giovani tedeschi con un differenziale di ben 16 punti percentuali si capisce come tutte le misure che favoriscano il superamento di questo gap vadano nella giusta direzione e a questo proposito è doveroso spingere perché i libri di testo scolastici siano fin dal prossimo hanno disponibili anche in formato ebook per tutti gli ordini di scuola secondaria.

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