l'analisi

Green pass per il lavoro: regole e problemi da sciogliere

Il decreto 16 settembre estende a tutti i lavoratori l’obbligo green pass dal 15 ottobre. Ma sono numerose le incertezze in cui il Governo lascia gli operatori e la tecnica legislativa che, ancora una volta, lascia a desiderare sia nel decreto che nelle linee guida. Problema aggravato nella legge di conversione

Pubblicato il 22 Nov 2021

Riccardo Berti

Avvocato e DPO in Verona

Franco Zumerle

Avvocato Coordinatore Commissione Informatica Ordine Avv. Verona

green pass problemi

Non si lavora senza green pass. Il Decreto Legge approvato nel Consiglio dei ministri del 16 settembre (ora sulla Gazzetta Ufficiale) costituisce l’ultimo tassello della progressiva estensione dell’obbligo di utilizzo del Green Pass, che ora impone il certificato verde COVID alla stragrande maggioranza dei lavoratori italiani.

Il decreto conclude il percorso iniziato con il D.L. 111/2021, che ha imposto l’obbligo del certificato verde per il settore scolastico e per i trasporti a lunga percorrenza, di fatto trasformando uno strumento inizialmente pensato per regolamentare gli accessi a situazioni ludico/ricreative in un “lasciapassare” necessario per attività fondamentali come l’accesso all’istruzione ed al lavoro.

Sono però purtroppo numerose le incertezze in cui il Governo lascia gli operatori e la tecnica legislativa, ancora una volta, lascia a desiderare.

Nemmeno le Linee Guida rivolte alla P.A. pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 14 ottobre (a meno di 24 ore dall’entrata in vigore dell’obbligo) sembrano risolvere i problemi lasciati dal decreto, anzi, in certi casi ci lasciano con incertezze ancora maggiori.

L’obbligo green pass impatta infatti su tutte le aziende pubbliche e private.

E infine neanche la legge di conversione (Legge 165/2021 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 20.11.2021) ha contribuito a smussare le problematiche da più parti evidenziate ed anzi ne ha introdotte di nuove, prevedendo ora la possibilità di controllo del Green Pass tramite “consegna” al datore di lavoro, rimanendo così esentati dal controllo giornaliero del Green Pass fino al termine di validità della certificazione.

I nuovi obblighi green pass per il lavoro – settore pubblico

Dal 15 ottobre al 31 dicembre per accedere ai luoghi di lavoro nella Pubblica Amministrazione tutto il personale (inclusi i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato presso le amministrazioni, anche sulla base di contratti esterni) dovrà munirsi di Green Pass.

Chi non ce l’ha è considerato assente ingiustificato dal primo giorno e perde stipendio, ma non rischia né sospensione né licenziamento né altre conseguenze disciplinari.

La norma fa riferimento all’accesso ai luoghi di lavoro evidentemente intendendo con ciò il luogo “fisico” di lavoro del personale, con esclusione quindi di tutti i dipendenti in smart working (fatto salvo per i giorni in cui questi accederanno fisicamente al luogo di lavoro). Sebbene questa interpretazione sembri ovvia alla luce dello spirito della normativa (e delle denunciate ragioni sanitarie della misura (“al fine di prevenire la diffusione dell’infezione SARS-CoV-2”) l’infelice formulazione letterale della normativa (il “luogo di lavoro” può essere inteso anche l’abitazione da cui lavora il dipendente in lavoro agile) ha fatto sorgere dei dubbi anche su questo punto.

Le Linee Guida intervengono però per censurare (con disposizione peraltro discutibile) i datori di lavoro che assegnino al lavoro agile i lavoratori sprovvisti di Green Pass, affermando che questa decisione finisce per eludere la finalità della normativa.

Green pass aziende, guida agli obblighi per lavoratori e datori

I nuovi obblighi green pass ai lavoratori – settore giustizia

Sempre nel periodo che va dal 15 ottobre al 31 dicembre il Green Pass sarà obbligatorio anche per tutto il personale del settore giustizia (esclusi solo avvocati difensori, periti).

L’accesso in violazione delle nuove disposizioni è, in questo caso, sanzionato anche disciplinarmente, e l’assenza dall’ufficio per mancata esibizione di un valido certificato vaccinale è considerata, anche qui, assenza ingiustificata.

Chi non ce l’ha è considerato assente ingiustificato dal primo giorno e perde stipendio, ma non rischia né sospensione né licenziamento né altre conseguenze disciplinari.

Anche qui è prevista la medesima sanzione introdotta per il resto del settore pubblico nel caso di accesso ai luoghi di lavoro in mancanza di valida certificazione verde.

Per i magistrati onorari la bozza di decreto circolata nelle scorse settimane prevedeva conseguenze più gravose in quanto alla sanzione pecuniaria si aggiungeva la sospensione nel caso di accesso senza Green Pass e al protrarsi dell’assenza per oltre 30 giorni (sia che questa derivi dalla sospensione per accesso senza Green Pass, sia che derivi dall’impossibilità di accedere per mancanza di valida certificazione verde) la revoca dell’incarico. La normativa pubblicata in Gazzetta Ufficiale ha espunto questa disciplina (oggetto di accese critiche da parte della magistratura onoraria) e ora prevede le medesime conseguenze per magistrati ordinari e onorari.

Le modalità di controllo, affidate in questo caso ai responsabili della sicurezza interna degli uffici giudiziari o a loro delegati, sono le medesime previste per il settore pubblico.

Esclusi dalle disposizioni in tema di Green Pass sono tutti i soggetti esterni che accedono al Tribunale, quindi avvocati, altri difensori, consulenti, periti e altri ausiliari del magistrato estranei alle amministrazioni della giustizia, testimoni e parti del processo.

La disposizione è intesa a chiarire che questi soggetti non sono considerati “collaboratori” della PA sulla base di contratti esterni, anche se l’accesso saltuario di questi soggetti agli uffici giudiziari avrebbe reso compatibile l’obbligo di Green Pass con una sottoposizione ad un tampone per aumentare la sicurezza sanitaria dell’ambiente Tribunale, ad oggi inevitabilmente soggetto ad una asimmetria fra personale del settore giustizia e tutti i soggetti che quotidianamente sono “ospiti” degli uffici giudiziari (anche se, va detto, la maggior parte di tali soggetti, verosimilmente inquadrati in un rapporto di collaborazione o lavoro dipendente, saranno comunque tenuti all’obbligo di esibire il Green Pass per accedere al loro luogo di lavoro).

I nuovi obblighi green pass per lavoro – settore privato

Anche per i lavoratori del settore privato, dal 15 ottobre e fino al 31 dicembre, sarà obbligatorio esibire il Green Pass per accedere al posto di lavoro.

Assenti ingiustificati e senza retribuzione chi non ce l’ha; ma non si rischia licenziamento né sospensione (eccetto per aziende con meno di 15 dipendenti).

L’obbligo riguarda tutti i lavoratori del settore privato e la normativa ricalca quanto già visto per il settore pubblico, quindi l’obbligo si estende a collaboratori a partita IVA (se e quando questi accedono al luogo di lavoro) volontari, stagisti e tutti quei soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato (anche sulla base di contratti esterni) in un’impresa privata.

Il controllo è affidato al datore di lavoro (o suoi delegati individuati con atto formale) che dovrà definirne le modalità entro il 15 di ottobre.

La verifica è affidata all’app Verifica C19 e avverrà (salvo sviluppi normativi o previsioni di piattaforme simili a quella sviluppata per il settore scuola) tramite smartphone o (come accade in alcune aziende) integrando l’app in appositi totem posti all’ingresso dell’azienda.

Il DPCM del 14.10.2021 però promette modalità di controllo semplificate anche per i lavoratori del settore privato con una interazione, in modalità asincrona, tra il Portale istituzionale INPS e il portale DGC, consentendo così la verifica del possesso delle Certificazioni verdi “da remoto” per i datori di lavoro con più di 50 dipendenti.

Nel ricalcare la disciplina per il settore pubblico, il decreto presta però il fianco alle critiche già viste, specie per il fatto che non è previsto un meccanismo di controllo “ordinario” del possesso del Green Pass in capo al datore di lavoro; il decreto prevede solo possibili linee guida della presidenza del consiglio per disciplinare i controlli (e ad oggi sono state emanate solo quelle dedicate al settore pubblico).

Quanto invece alla possibilità di effettuare controlli dopo l’accesso ai luoghi di lavoro il decreto utilizza una formula diversa rispetto a quella prevista per il settore pubblico, affermando che la posticipazione del controllo ad un momento successivo rispetto all’accesso ai luoghi di lavoro può essere effettuata solo qualora non sia possibile effettuare i controlli al momento dell’accesso, riducendo in questo modo il rischio di strumentalizzazioni da parte del datore di lavoro delle modalità di controllo al fine di far comminare sanzioni ai dipendenti non muniti di regolare certificazione.

Ulteriori differenziazioni fra il settore pubblico e quello privato sono state introdotte con la legge di conversione del D.L. 127/2021, dove si prescrive il controllo del Green Pass nel settore privato in caso di soggetti che accedono per ragioni di formazione con inclusione dei discenti, precisazione che per qualche motivo non è stata inserita nell’art. 9 quinques del D.L. 52/2021 che disciplina l’obbligo del Green Pass nel settore pubblico.

La novità normativa crea nuove zone grigie, risultando difficile in certi casi distinguere un semplice “utente” dell’azienda privata (di per sé non soggetto a obbligo di Green Pass) da un “utente in formazione” che invece dovrà essere controllato.

La legge di conversione del D.L. 127/2021 precisa poi chi è tenuto al controllo nel caso di lavoratori somministrati, confermando un approdo a cui erano comunque giunti la più parte degli interpreti e disponendo che per i lavoratori in somministrazione la verifica del Green Pass compete all’utilizzatore, mentre è onere del somministratore solamente informare i lavoratori circa la sussistenza dell’obbligo.

Lavoratori in aziende con meno di quindici dipendenti

Ulteriore disposizione che devia rispetto al quadro già visto per il settore pubblico è quella che prevede, per le imprese con meno di quindici dipendenti la possibilità, dopo che un dipendente non presenta il Green Pass per cinque giorni, di sostituire il dipendente con un altro, sospendendo per la durata del contratto il dipendente assente ingiustificato.

Lo strumento è però di efficacia ridotta e fa emergere le complessità gestorie che comporterà l’introduzione del Green Pass nelle aziende.

La sospensione per il lavoratore che non ha presentato il Green Pass per cinque giorni (che verosimilmente è già in grado di mettere in difficoltà una piccola impresa) può essere di durata massima di 10 giorni, rinnovabile una volta sola e comunque non può superare il 31.12.2021.

È evidente che trovare un sostituto per venti giorni (in quanto dal venutnesimo giorno il lavoratore sospeso per mancanza di Green Pass potrebbe legittimamente tornare al lavoro) sia ben difficile (al netto delle difficoltà di reperire un lavoratore in brevissimo tempo secondo le esigenze aziendali) e che quindi è possibile che alcune piccole imprese preferiscano chiudere un occhio rispetto ai controlli pur di non perdere lavoratori essenziali per l’operatività aziendale.

(che verosimilmente è già in grado di mettere in difficoltà una piccola impresa) può essere di durata massima di 10 giorni, rinnovabile per ulteriori periodi di pari durata e comunque non oltre il 31.12.2021 (questa novità è stata introdotta dalla Legge 165/2021, mentre in precedenza la normativa consentiva un solo rinnovo).

È evidente che anche il correttivo da ultimo apportato dalla Legge 165/2021 (peraltro ben tardivo rispetto all’emersione dei problemi che avrebbero dovuto trovare soluzione con questa disposizione) non è che un debole palliativo alla problematica di cui si discute.

Trovare un sostituto per “periodi di 10 giorni” (sempre con la “spada di Damocle” del possibile ritorno del lavoratore in precedenza sprovvisto di Green Pass) risulta evidentemente ben difficile (al netto delle difficoltà di reperire un lavoratore in brevissimo tempo secondo le esigenze aziendali) e quindi è possibile che alcune piccole imprese preferiscano chiudere un occhio rispetto ai controlli pur di non perdere lavoratori essenziali per l’operatività aziendale.

I controlli e le sanzioni per i lavoratori senza green pass

Vedendo più nel dettaglio l’obbligo di verifica, questo è posto in capo ai datori di lavoro mentre per quanto riguarda i soggetti che collaborano con la PA sulla base di contratti esterni il controllo sarà anche a carico dei datori di lavoro dei soggetti loro sottoposti che accederanno ai luoghi di lavoro nella PA.

Il controllo può avvenire con le usuali modalità attraverso l’applicazione Verifica C19, ma il DPCM del 14.10.2021 ha introdotto diverse piattaforme per il controllo dei dipendenti da remoto, simili nel loro funzionamento al sistema già predisposto con la piattaforma unica per il controllo dei dipendenti del settore scolastico, che dovrebbero consentire un controllo più rapido (anche se va detto che la piattaforma è stata già oggetto di feroci critiche per il fatto che invece di alleggerire appesantirebbe gli oneri dei controllori, nonché di un esposto al Garante privacy).

Il controllo può avvenire con le usuali modalità attraverso l’applicazione Verifica C19, ma il DPCM del 14.10.2021 anticipa la messa a disposizione di diverse piattaforme per il controllo dei dipendenti da remoto, simili nel loro funzionamento al sistema già predisposto con la piattaforma unica per il controllo dei dipendenti del settore scolastico, che dovrebbe consentire un controllo più rapido (anche se va detto che la piattaforma è stata già oggetto di feroci critiche per il fatto che invece di alleggerire appesantirebbe gli oneri dei controllori, nonché di un esposto al Garante privacy).

In particolare per le pubbliche amministrazioni aderenti al circuito NoiPA è prevista la possibilità di un controllo dei dipendenti attraverso una interazione asincrona fra la app NoiPA e il portale DGC.

Per le pubbliche amministrazioni non aderenti a NoiPA e per le aziende private con meno di 50 dipendenti invece, come visto, il controllo da remoto sarà garantito dal portale INPS.

Infine, per le grandi amministrazioni da oltre 1000 dipendenti, il controllo massivo sarà garantito da un’interazione diretta fra i loro sistemi di gestione del personale e la piattaforma DGC.

Oltre a queste modalità, la legge di conversione del D.L. 127/2021 ha introdotto una ulteriore modalità di controllo tramite “consegna” del Green Pass al datore di lavoro, che esenta così il lavoratore dal presentare il certificato per il controllo finché vale il certificato che ha presentato.

Quest’ultima modalità di controllo (del tutto volontaria) è stata duramente criticata dal Garante Privacy perché, di fatto, in contrasto con la normativa comunitaria in tema di certificazioni COVID e di privacy, è quindi possibile che venga eliminata o irrigidita nelle sue modalità operative.

Entro il 15 ottobre aziende pubbliche e private hanno dovuto predisporre modalità operative per i controlli (che poi ovviamente andranno integrate nel caso di controlli via piattaforma o con “consegna”). Sanzioni da 400 a mille euro per chi non lo ha fatto.

Entro il 15 ottobre aziende pubbliche e private dovranno predisporre modalità operative per i controlli. Sanzioni da 400 a mille euro per chi non lo fa.

La normativa lascia poi scoperto un punto, più che di sostanza, di equità sociale, ovvero non pare previsto un meccanismo di controllo “ordinario” del possesso del Green Pass in capo al datore di lavoro (sebbene sia evidente che lo stesso sia soggetto all’obbligo e che le forze dell’ordine potranno verificare il rispetto della normativa anche in capo a quest’ultimo).

Il Governo, che, come vedremo, ha esteso opportunamente l’obbligo di Green Pass anche alla classe politica, avrebbe dovuto prevedere dei meccanismi di effettivo controllo del possesso di Green Pass anche in capo ai datori di lavoro (e conseguenze sanzionatorie dedicate) per evitare inutili attriti sociali.

Venendo alle modalità di controllo, queste dovranno essere definite dai datori di lavoro. Il Governo, che qui avrebbe potuto promuovere formalmente una concertazione fra le parti sociali preferisce lasciare al singolo datore di lavoro la definizione delle modalità di controllo, che potranno essere anche a campione (per evitare di influire sull’efficienza della macchina amministrativa) e dovranno di preferenza avvenire al momento dell’ingresso presso la sede aziendale.

Linee guida per modalità organizzative

Il decreto prevede solo possibili linee guida – dal Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e della salute – “per la omogenea definizione delle modalità organizzative di cui al primo periodo. Per le regioni e gli enti locali le predette linee guida, ove adottate, sono definite d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281

Poche ore prima dell’entrata in vigore dell’obbligo del Green Pass sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale le sole Linee Guida dedicate al settore pubblico.

Le Linee Guida, al netto di alcune indicazioni contraddittorie, sono molto utili per comprendere come le intenzioni del Governo quanto al novero dei soggetti tenuti a presentare il Certificato Verde.

L’elenco è più esteso di quello inizialmente ipotizzato da alcuni commentatori ed include, oltre al personale dipendente della pubblica amministrazione, “i visitatori e le autorità politiche o i componenti delle giunte e delle assemblee delle autonomie locali e regionali – che ivi si rechi per lo svolgimento di una attività propria o per conto del proprio datore di lavoro.” In buona sostanza, nell’impostazione delle Linee Guida, gli unici soggetti che non dovranno esibire la certificazione sono i semplici utenti dell’ufficio pubblico, tutti gli altri invece, a prescindere dal rapporto che li lega con l’ente, saranno tenuti ad esibire il Green Pass.

Così l’impresa di pulizia, il manutentore, il consulente saranno tenuti ad esibire il Green Pass per recarsi presso gli uffici dell’Ente a fare il loro lavoro (es. un avvocato che si reca presso l’Ente per un appuntamento potrà essere controllato e dovrà, ove richiesto, esibire il Green Pass).

Il ragionamento può essere inoltre esteso al settore privato, dove la platea di soggetti tenuti ad esibire il certificato ove accedano ai luoghi di lavoro comprenderà ancora collaboratori anche occasionali, manutentori, consulenti, fornitori, etc., con esclusione dei soli clienti.

Conseguenze di assenza ingiustificata

Opportunamente il Governo prescrive che da assenza ingiustificata o (per aziende con meno di 15 dipendenti) dalla sospensione non possano derivare conseguenze disciplinari né il licenziamento del dipendente.

Il decreto trascura però di disciplinare le conseguenze civili dell’assenza. Sebbene infatti la disciplina normativa sembri “totalizzante”, escludendo per il lavoratore conseguenze diverse da quelle normate, ciò non toglie che il silenzio del decreto sulle conseguenze civili dell’assenza ingiustificata del lavoratore potrebbe aprire la strada ad un contenzioso risarcitorio (nel caso in cui all’assenza del lavoratore in un giorno specifico faccia seguito un danno per l’amministrazione).

Sul punto l’unica precisazione fornita dalle Linee Guida relative alla P.A. è quella per cui le giornate di assenza ingiustificate sono considerate servizio non utile a tutti gli effetti (previdenziale, di anzianità di servizio o per la maturazione di classi o scatti economici, o per l’avanzamento). L’assenza per mancanza del Certificato Verde quindi non consente quindi al dipendente di maturare scatti di anzianità o altri collaterali di servizio.

Se invece il personale riesce ad accedere ai luoghi di lavoro senza Green Pass e venga “sorpreso” sul luogo di lavoro sprovvisto della certificazione, dovrà versare una sanzione da € 600 a € 1.500.

Chi controlla in azienda i green pass dei lavoratori e come

Anche qui la normativa sembra “rimettere” al datore di lavoro la scelta se sanzionare o meno i dipendenti in quanto la normativa prescrive che il datore di lavoro deve solo “di preferenza” effettuare i controlli al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro e può quindi scegliere di “spostare” il controllo ad un momento successivo rispetto all’accesso ai luoghi di lavoro, momento in cui però sarà necessario anche comminare la sanzione al dipendente.

Anche qui il decreto avrebbe potuto precisare con maggior dovizia di particolari i casi in cui il controllo può essere effettuato dopo l’accesso ai luoghi di lavoro, evitando così possibili strumentalizzazioni.

Come anticipato, il comma 11 di quello che diventerà il neo introdotto art. 9 quinques del D.L. 52/2021, estende l’obbligo del Green Pass anche ai titolari di cariche elettive o di cariche istituzionali, escludendo però le sanzioni nel caso di accesso senza Green Pass e, ovviamente, le conseguenze in tema di assenza e sospensione dalla prestazione lavorativa.

In proposito le Linee Guida pubblicate sulla G.U. del 14.10.2021 offrono qualche spunto in più in quanto precisano che i controlli dopo l’ingresso ai luoghi di lavoro saranno possibili se si tratta di controlli a campione.

Molto opportunamente le Linee Guida precisano che il controllo dovrà avvenire, prioritariamente, all’accesso dei lavoratori, e che sarà possibile svolgere controlli successivi “quando le esigenze organizzative non consentono di svolgere tali modalità di verifica”.

Nella versione definitiva delle Linee Guida è stato eliminato l’inciso, difficile da comprendere, circa il fatto che i controlli a campione nella P.A. avrebbero potuto essere effettuati solo dopo l’ingresso dei dipendenti sul luogo di lavoro.

Viene quindi chiarita, nelle Linee Guida, la possibilità di effettuare controlli a campione anche all’accesso dei dipendenti (soluzione che in determinate situazioni consentirà di coniugare la necessità di evitare ritardi negli accessi alla preferibile modalità di controllo prima dell’ingresso).

La diversa scelta che caratterizzava la bozza delle Linee Guida, avrebbe finito per generare contenzioso in quanto i dipendenti allontanati e sanzionati avrebbero potuto lamentare la arbitraria decisione del datore di lavoro di effettuare controlli campione dopo l’ingresso, scegliendo così di “appesantire” la sanzione senza valide ragioni organizzative.

La diversa scelta che caratterizzava la bozza delle Linee Guida avrebbe finito per generare contenzioso in quanto i dipendenti allontanati e sanzionati avrebbero potuto lamentare la arbitraria decisione del datore di lavoro di effettuare controlli campione dopo l’ingresso, scegliendo così di “appesantire” la sanzione senza valide ragioni organizzative.

Questa presa di posizione presta il fianco a critiche perché al controllo dopo l’ingresso del dipendente, ove questi sia sprovvisto di valido Green Pass, consegue infatti, oltre al suo allontanamento, la necessità di notiziare il Prefetto della violazione affinché sia comminata la sanzione (da € 600 a € 1.500) per l’accesso senza Green Pass.

La disposizione poi si scontra con la difficoltà di dimostrare la validità del Green Pass che dovesse scadere durante l’orario di lavoro e venir controllato in seguito alla scadenza.

Come precisato dalle FAQ sul sito del Viminale e da ultimo legiferato nella legge 165/2021, infatti, i dipendenti possono legittimamente rimanere sul luogo di lavoro fino alla fine del turno anche se il loro Green Pass “scade” durante l’orario di lavoro. Sebbene sia certo possibile “documentare” il possesso di un valido Green Pass all’atto dell’ingresso (es. conservando la ricevuta del tampone) è chiaro che si tratta di un appesantimento documentale e di organizzazione dei controlli (che peraltro “costringe” il controllante a conoscere l’origine del Green Pass, dato sanitario che dovrebbe essere invece “nascosto” dalla certificazione digitale), ulteriore ragione per evitare, salvo quando non sia altrimenti impossibile, procedere con controlli successivi all’ingresso del dipendente nei luoghi di lavoro.

Green pass obbligatorio e smart working

Come detto chi è in smart working non è tenuto ad avere il green pass e quindi può lavorare comunque. Tuttavia non avere il pass non dà diritto automatico ad andare in smart working, che comunque andrà concordato con l’azienda (anzi le Linee Guida per il settore pubblico affermano che l’assegnazione al lavoro agile per l’assenza del Green Pass in capo al dipendente sia elusiva della normativa in tema di obbligo della certificazione verde). Lo smart working non è quindi una scorciatoia per lavorare anche se non si ha il green pass.

Guariti da Covid, cosa cambia sulle modalità per ottenere il Green Pass

Un punto in cui il decreto fa invece chiarezza è quello relativo ai requisiti per ottenere il Green Pass.

Il decreto risolve infatti il “nodo” del Green Pass “ibrido” per vaccinazione con successiva guarigione, prescrivendo il rilascio del Green Pass ai guariti già vaccinati per una durata di 12 mesi dalla guarigione.

Sempre per i guariti (ma stavolta prima di ricevere il vaccino) è previsto ora il rilascio del Green Pass al ricevimento della prima dose di vaccino (senza dover attendere 15 giorni) dando così senso ad un aggiornamento normativo rivolto ai guariti che prima rimaneva privo di senso logico (per i guariti era prescritto con apposita normativa il rilascio della certificazione verde dopo 15 giorni dalla vaccinazione, disposizione che quindi non aveva senso di esistere essendo evidente che, anche in sua assenza, si sarebbe applicata la normativa generale).

Green pass obbligatorio per lavorare: chiariamo i dubbi

Pubblichiamo qui una FAQ su alcuni dubbi ricorrenti su obbligo green pass sul lavoro.

Può andare al lavoro chi non ha il Green Pass?

No, chi non ha il Green Pass non può accedere ai luoghi di lavoro.

Il lavoratore che non possiede un valido Green Pass non può accedere ai luoghi di lavoro, ove soggetto a controllo gli sarà impedito l’accesso e se invece non dovesse essere sottoposto a controllo e accedesse ai luoghi di lavoro senza un valido Green Pass, rischia l’allontanamento e una sanzione nel caso di controlli successivi all’ingresso. (art. 9 quinques co. 7 e art. 9 septies co. 8 D.L. 52/2021)

Il lavoratore è però tenuto a comunicare al datore di lavoro di non essere in possesso della certificazione Green Pass al fine di qualificare la sua assenza ingiustificata nelle speciali forme di cui alla normativa Green Pass (quindi senza conseguenze disciplinari). (art. 9 quinques co. 6 e art. 9 septies co. 6 D.L. 52/2021)

Chi deve controllare il green Pass a lavoro?

Sul luogo di lavoro il Green Pass può essere controllato esclusivamente dal datore di lavoro o da suoi delegati individuati con atto formale e appositamente istruiti. (art. 13 DPCM 17.06.2021)

Chi lavora da casa deve avere il Green Pass?

No. Il lavoratore in smart-working non deve avere il Green Pass. Non è possibile però chiedere di essere assegnati al lavoro agile solo perché non si è in possesso del certificato verde.

La evidente dimostrazione di quanto sopra si ricava dalle Linee Guida dedicate al Green Pass nel settore pubblico (approvate con D.P.C.M. 12.10.2021) che stabiliscono come sarebbe elusivo dell’obbligo di Green Pass adibire allo smart-working i dipendenti non in possesso di Green Pass (è quindi evidente che le Linee Guida partono dal presupposto che in modalità agile non sia possibile né lecito il controllo del Green Pass).

Si veda anche l’allegato H al D.P.C.M. 12.10.2021 che afferma come il controllo massivo e da remoto dei Green Pass dei dipendenti (attraverso il portale INPS o NoiPA) deve avvenire “esclusivamente nei confronti del personale effettivamente in servizio per cui è previsto l’accesso al luogo di lavoro nel giorno in cui è effettuata la verifica, escludendo i dipendenti assenti per specifiche casuali (es. ferie, malattie, permessi) o che svolgono la prestazione lavorativa in modalità agile”.

Cosa succede se il datore di lavoro è senza Green Pass?

Il datore di lavoro è soggetto ai medesimi obblighi dei dipendenti e quindi non potrà accedere ai luoghi di lavoro senza Green Pass e, se ciononostante vi accede, sarà soggetto a sanzione. (art. 9 quinques co. 2 e art. 9 septies co. 2 D.L. 52/2021)

Chi controlla il Green Pass del datore di lavoro?

Il Green Pass del datore di lavoro sarà controllato dai delegati da questi individuati con atto formale esattamente come accade per gli altri lavoratori.

Se è il datore di lavoro ad effettuare in prima persona i controlli sarà comunque tenuto ad avere un valido Green Pass per accedere ai luoghi di lavoro e potrà essere controllato dalle autorità ispettive.

Se il Green Pass scade durante l’orario di lavoro cosa succede?

Il Green Pass deve essere valido nel momento in cui il lavoratore effettua il primo accesso quotidiano alla sede di servizio e può scadere durante l’orario di lavoro, senza la necessità di allontanamento del suo possessore.

Chi non ha il Green Pass a lavoro può mettersi in ferie?

Sì e no. Non c’è una norma specifica, ma la disposizione contenuta nelle Linee Guida dedicate alla P.A. ed approvate con D.P.C.M. 12.10.2021 introducono il principio per cui non è possibile assegnare al lavoro agile il dipendente sprovvisto di Green Pass, perché si tratterebbe di un comportamento elusivo della normativa. Questo principio può forse essere esteso al lavoratore ed al datore di lavoro che invece di “sottostare” alla normativa sull’obbligo del certificato verde preferiscono strumentalmente sfruttare i giorni di ferie fin lì maturati dal dipendente.

La norma (che sebbene sembri di portata generale è ad oggi inserita nelle sole Linee Guida dedicate alla P.A.) inoltre non definisce le sanzioni ed è di dubbia ragionevolezza.

Si può accedere a lavoro con la prima dose di vaccino?

Sì, ma a partire dal 15 giorno dall’effettuazione della prima dose di vaccino (art. 9 co. 3 D.L. 52/2021).

Sarà possibile accedere anche senza Green Pass, se questo non dovesse essere emesso tempestivamente, producendo il certificato rilasciato dal medico vaccinatore dal quale risulti che la prima dose è stata somministrata 15 giorni prima dell’accesso. (art. 13 co. 14 D.P.C.M. 17.06.2021 come modificato dal D.P.C.M. 12.10.2021).

La legge 126 del 2021, chiarimenti per ristoranti

Nel frattempo, sulla G.U. del 16 settembre scorso è stata pubblicata la legge di conversione del D.L. 105/2021 (quello che ha esteso il Green Pass a ristoranti, musei, piscine, palestre, sale scommesse, concorsi, etc.) ovvero la Legge n. 126 del 2021.

Nella legge di conversione sono contenute alcune modifiche ed utili precisazioni (alcune già oggetto di interventi tramite “FAQ” sul sito del Viminale) riguardo al funzionamento del Green Pass in specifiche situazioni.

La normativa sul Green Pass, infatti, nonostante il peso centrale che sta assumendo nel dibattito politico e nella vita degli italiani, continua ad essere “vittima” di interventi normativi di qualità non all’altezza dell’importanza della normativa, problema che solo in parte può trovare giustificazione con l’urgenza di emanare queste misure.

Così, ad esempio, nella legge di conversione del D.L. abbiamo la precisazione che la normativa che impone il Green Pass per accedere ai tavoli al chiuso dei ristoranti non si applica ai servizi di ristorazione all’interno di alberghi e di altre strutture ricettive riservati esclusivamente ai clienti ivi alloggiati.

Per quanto riguarda i centri termali viene invece escluso l’obbligo di Green Pass “per gli accessi necessari all’erogazione delle prestazioni rientranti nei livelli essenziali di assistenza e allo svolgimento di attività riabilitative o terapeutiche”.

I nodi aperti

Quindi il Parlamento dimentica di risolvere il problema delle linee guida in tema di fiere, sagre, convegni e congressi, previste dall’art. 7 D.L. 52/2021 per individuare i “particolari eventi” in cui sia obbligatorio il Green Pass, che ad oggi non esistono, rendendo di fatto l’obbligo di Green Pass per questi eventi più virtuale che reale, ma la Legge 126 del 2021 glissa sul problema e introduce nel corpo del D.L. 105/2021 una disposizione in merito alle sagre che già era stata introdotta in un’apposita FAQ del Viminale e che recita: “Nel caso di sagre e fiere locali che si svolgano all’aperto, in spazi privi di varchi di accesso, gli organizzatori informano il pubblico, con apposita segnaletica, dell’obbligo del possesso della certificazione verde COVID-19 [..] per l’accesso all’evento. In caso di controlli a campione, le sanzioni [..] si applicano al solo soggetto privo di certificazione e non anche agli organizzatori che abbiano rispettato gli obblighi informativi”.

Un’ulteriore disposizione problematica è inserita all’art. 4 del D.L. 105/2021, che a sua volta modifica l’art. 2 bis del D.L. 52/2021 stravolgendone le finalità.

L’art. 2 bis del D.L. 52/2021 è infatti rivolto a normare gli accessi alle strutture ospedaliere degli accompagnatori di pazienti non COVID, la Legge 126/2021 introduce in questa normativa un inciso di questo tenore: “Salvi i casi di oggettiva impossibilità dovuta all’urgenza, valutati dal personale sanitario, per l’accesso alle prestazioni di pronto soccorso è sempre necessario sottoporsi al test antigenico rapido o molecolare”.

A quanto è dato capire quindi l’art. 2 bis ora disciplina anche l’accesso al pronto soccorso dei soggetti che necessitano di cure (e non più degli accompagnatori) imponendo agli stessi (che siano muniti di Green Pass o meno) di sottoporsi ad un tampone prima di ricevere le cure.

La normativa evidentemente ha l’obiettivo di evitare il diffondersi di contagi fra il personale sanitario, ma avrebbe meritato migliore collocazione ed approfondimento, anche perché il Ministero della Salute ha adottato precise linee guida sul triage di pronto soccorso, con codici numerici e colori, che avrebbero potuto essere agganciati alla normativa (o collocati in successive linee guida del Ministero della Salute) per dare un indirizzo più preciso ad operatori sanitari e soggetti che accedono al pronto soccorso (che magari, conoscendo nel dettaglio le norme e sapendo di doversi sottoporre ad un tampone, potrebbero scegliere per evitare un sovraccarico delle risorse del pronto soccorso e/o di perdere tempo per sottoporsi al tampone presso la struttura sanitaria, potrebbero decidere di sottoporsi ad un tampone prima di accedere al pronto soccorso).

Ulteriore novità è quella, peraltro già avallata dal Comitato tecnico scientifico, di estendere la validità del certificato vaccinale ai fini del Green Pass a dodici mesi (anche se da ultimo si parla di un “ritorno” nove mesi di validità del vaccino in un “balletto” normativo davvero difficile da comprendere).

Abbiamo, infine, la rassicurante precisazione che “Ogni diverso o nuovo utilizzo delle certificazioni verdi COVID-19 è disposto esclusivamente con legge dello Stato” (come peraltro già emergeva dalla normativa precedente e come richiesto apertamente dal Garante privacy sin dalla prima analisi del D.L. 52/2021).

La legge 165 del 2021, chiarimenti e nuovi problemi

La legge 165 del 2021 (di conversione del decreto legge 127 del 2021) ha offerto alcuni chiarimenti sulla normativa in tema Green Pass, creando però al contempo nuovi dubbi.

Quanto ai chiarimenti si è precisato (in linea con le FAQ del Viminale):

– che i lavoratori sono tenuti ad avere un Green Pass valido al momento dell’accesso sui luoghi di lavoro (con conseguente legittimità della permanenza del dipendente con Green Pass successivamente scaduto sui luoghi di lavoro fino alla fine del turno),

– che i lavoratori somministrati devono essere controllati dall’utilizzatore,

– che la disciplina in tema di Green Pass obbligatorio si estende agli operatori volontari del Servizio Civile Universale.

La normativa contiene poi una (pur tardiva ed insufficiente) estensione della possibilità di reperire lavoratori in sostituzione di quelli che non hanno un valido Green Pass per le aziende con meno di 15 dipendenti.

La legge poi prevede il lancio di campagne di informazione e sensibilizzazione sulla vaccinazione COVID nei luoghi di lavoro.

Venendo invece alle disposizioni “problematiche” si torna ad evidenziare l’improvvida introduzione di una ulteriore modalità di controllo del Green Pass, tramite sua “consegna” al datore di lavoro.

Questa modalità di controllo volontaria (sebbene lo stato di soggezione del lavoratore possa far dubitare della reale volontarietà della “consegna”) consente al lavoratore di essere esentato dai controlli finché vale il certificato che ha consegnato (in questo modo però è chiaro che il datore di lavoro:

  • riuscirà ad “intuire” da dove origina il certificato COVID presentato dal dipendente (se tampone, guarigione o vaccino),
  • dovrà predisporre adeguate modalità di conservazione in sicurezza dei dati sanitari raccolti e conservati.

Questa novità normativa è difficile da conciliare con il dato normativo comunitario ed è stata duramente criticata dal Garante Privacy e non è quindi detto che sopravviverà a lungo.

Green pass e lavoro, prospettive

Quello dell’ultimo decreto costituisce probabilmente l’ultimo stadio evolutivo del fenomeno Green Pass, con l’Italia che ha introdotto una disciplina inedita a livello globale e ha puntato con assoluta decisione sul Green Pass (e, di fatto, sul vaccino, essendo difficile, per quanto ci si impegni, gestire con tamponi un accesso quotidiano ai luoghi di lavoro).

Se da alcuni la misura è accolta con favore perché finalmente potrebbe consentirci di uscire da questa bolla irreale che tutti speravamo finisse molto tempo fa, da altri la stessa è vista con preoccupazione perché sintomo di una deriva non disponibile al dialogo ed alla tutela della libertà di scelta in ambito sanitario.

Se si è arrivati a questo passo per gradi è, peraltro, evidente che nemmeno per chi ci governa questo è stato uno sviluppo facile e auspicabile, ma che anzi si è sperato fino all’ultimo di poter evitare una simile misura.

Tamponi 72 ore

Tant’è che il Governo ha approvato l’estensione della validità dei tamponi molecolari 72 ore dall’effettuazione (con disposizione introdotta all’art. 9 del D.L. 52/2021 dalla Legge n. 133 del 2021, di conversione del D.L. 111/2021), rendendo così più praticabile la strada della sostituzione del vaccino con i test antigenici, che verranno proposti a prezzi calmierati per lo stesso motivo e al contempo spingendo i cittadini ad effettuare un test considerato più affidabile rispetto a quello antigenico rapido.

La situazione e il controllo dei soggetti esenti

Va poi ricordato che, ovviamente, l’obbligo di Green Pass non tocca i soggetti esenti dalla campagna vaccinale per età o per condizioni mediche che suggeriscono di evitare la vaccinazione.

Sul punto la normativa attuale (Circ. Min. Sal. 04.08.2021) consente di emettere certificati di esenzione fino al 30 settembre. Tutti si auspicavano che il Governo lavorasse a pieno ritmo per uscire dal regime transitorio delle certificazioni di esenzioni cartacee prima dell’entrata in vigore del Green Pass per il mondo del lavoro, digitalizzando anche questi certificati di esenzione così come il loro controllo, ma così non è stato e con Circolare del 25 settembre scorso il Governo ha semplicemente prorogato le certificazioni con scadenza al 30 settembre.

La proroga riguarda la validità delle certificazioni (quindi quelle con scadenza al 30 settembre sono “automaticamente” estese al 30 novembre) e la possibilità di emettere nuovi certificati (con scadenza massima ora al 30 novembre).

La norma precisa che non serve l’emissione di una nuova certificazione per coloro i quali hanno già ottenuto un certificato con scadenza al 30 settembre, in quanto (pare di capire) le certificazioni scadute sono automaticamente prorogate, peccato che ragionando in questo modo sia lasciato al soggetto in possesso della certificazione l’ingrato compito di spiegare a datori di lavoro, esercenti, personale di controllo, che il suo documento, pur apparentemente scaduto il 30 settembre, è ancora valido.

È quindi evidente che, almeno fino al 30 novembre, ai soggetti esenti toccherà accedere ai servizi e ai luoghi riservati ai possessori di Green Pass con il certificato di esenzione e la circolare del Ministero per “dimostrare” di essere ancora esenti.

Tra l’altro il certificato di esenzione cartaceo, molto più facilmente falsficabile del Green Pass, rimane il punto debole sia a livello privacy che a livello di sicurezza di sistema di tutta l’architettura del sistema delle certificazioni verdi.

E questo non solo per gli effetti della circolare, ma anche per quello che dispongono le Linee guida rivolte alla P.A., le quali prescrivono per il soggetto munito del certificato di esenzione non la sua esibizione ai datori di lavoro o ai loro delegati, bensì un contorto passaggio che si articola nell’invio del certificato al medico del lavoro, il quale poi, ove autorizzato, comunicherà ai delegati ai controlli (non però al delegante datore di lavoro) il fatto che il soggetto è in possesso del certificato di esenzione.

È poi facile immaginare che oltre a questa già ampia platea di soggetti, del possesso del certificato di esenzione in capo al dipendente saranno informati anche gli altri dipendenti dell’azienda, che evidentemente inizieranno a domandarsi perché proprio quel dipendente viene sistematicamente escluso dall’attività di controllo.

Insomma era davvero essenziale arrivare al 15 ottobre preparati per gestire tecnologicamente il fenomeno dei certificati di esenzione (sarebbe stato sufficiente aggiungere un caso d’uso al Green Pass per evitare anche di diffondere il dato), ma purtroppo siamo ancora di fronte ad un sistema programmaticamente incompleto almeno per il primo mese e mezzo di utilizzo.

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