SANITA' DIGITALE

Psicoterapia analitica anche online: ecco il nuovo approccio “integrato”

Niente sarà più come prima, anche nei trattamenti psicologici. Il debutto delle piattaforme di videochiamata indotto dal lockdown potrebbe rappresentare un modello efficace in grado di tesaurizzare l’alternanza presenza-assenza ridando slancio al rapporto fra professionista e paziente. Vediamo perché

Pubblicato il 24 Ago 2020

Roberto Pozzetti

Psicoanalista, Professore a contratto LUDeS Campus Lugano, Professore a contratto Università dell'Insubria, autore del libro 'Bucare lo schermo. Psicoanalisi e oggetti digitali', già referente per la provincia di Como dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia

telemedicina in Italia

Anche adesso che, finito il confinamento siamo entrati nel cosiddetto “new normal”, molti psicologi e pazienti proseguono nello svolgere sedute di terapia online. Una nuova tendenza che ci porta a riflettere sul futuro della pratica della psicoanalisi e ad analizzare i vantaggi che può produrre un’eventuale “altalena” tra setting virtuale e in presenza.

Setting online e offline, valore dell'”intermittenza”

La prima domanda che viene spontaneo porsi riscontrando che anche nella pratica della psicoanalisi molte persone propongono una modalità analoga a quella che sperimentano nella loro attività professionale – là dove, per evitare rischiosi assembramenti, lavorano una settimana in smart working e una settimana in ufficio – è:  tale piega presa dalle proprie attività professionali ha la stessa validità e la stessa efficacia nel campo del lavoro relativo alla clinica psicoanalitica?

Fino al 2019, la maggior parte dei trattamenti da remoto erano relativi a pazienti che, nel corso di una cura dapprima avviata nello studio del clinico, trasferivano la propria abitazione in altri lidi. Altre volte avvenivano con casi saldamente fobici e contraddistinti da un severo ritiro sociale come quelli affetti da importanti attacchi di panico con agorafobia e quelli dei giovani, denominati secondo il termine giapponese hikikomori, che rimangono sempre nella loro camera connessi al mondo attraverso Internet.

Diversi colleghi mi confermano quanto sto verificando e cioè che, in questo periodo, non è invece raro ricevere la richiesta di proseguire o iniziare un ciclo di appuntamenti in videochiamata. Tali domande ci vengono spesso indirizzate da persone che non rientrano affatto in queste categorie. A volte, la motivazione addotta è quella di un tempo risicato da dedicare alle sedute: la comodità di vedere l’analista dal proprio domicilio risulta congeniale all’organizzazione della propria settimana lavorativa.

Questi soggetti non sono estremamente solitari o timorosi nei contatti umani e talvolta rimangono nel loro luogo di residenza, senza traslocare altrove. Vi si abbarbicano aggrappandosi alla propria abitazione in modo persino parossistico, lavorando molto da casa, tuttora preoccupati di contrarre il coronavirus; tale timore si accentua, soprattutto in riferimento al formulare delle domande di cura, in luoghi come quelli clinici che sono evidentemente frequentati da parecchia gente, nonostante il rarefarsi di nuovi contagi. Non risulta sufficiente per rassicurarli neppure la constatazione di una minor circolazione di persone negli studi professionali privati rispetto a quanto avviene nei centri clinici o, addirittura, negli ambulatori ospedalieri. Per questo, credo sia fondamentale accogliere questo tipo di richieste e la sofferenza che l’accompagna.

Covid-19, “disruption” di abitudini

Nei primi giorni dello scorso mese di marzo, molti psicoanalisti, fra i quali il sottoscritto, si sono in effetti trovati scaraventati in un’esperienza inedita dall’evento coronavirus. La frase dominante era: “Io resto a casa”; in Francia, con qualche settimana di ritardo, tale messaggio ha assunto una connotazione addirittura imperativa: “Reste chez toi!” (Resta a casa!). Anche chi aveva una certa dimestichezza con il mondo digitale, ha vissuto con sorpresa l’accelerazione generalizzata che questa pandemia, come ogni crisi epocale, implica sempre.

L’ha vissuta innanzitutto nella propria pratica professionale che ha subito delle deformazioni e delle trasformazioni in seguito al propagarsi di un’epidemia irresponsabilmente sottovalutata da quasi tutti noi. Senza ombra di dubbio, questa drammatica crisi storica avrà come effetto una maggior rapidità di quel processo di digitalizzazione globale che sarebbe comunque inesorabilmente avvenuto ma in tempi e in modi più graduali.

L’anno 2020 rimarrà sicuramente nella storia come l’anno del coronavirus. Per molti, resterà la traccia indelebile di un periodo luttuoso che ne ha sconvolto l’esistenza. Basta seguire la pagina Facebook “Noi denunceremo” per leggere toccanti testimonianze di chi ha perso entrambi i genitori e talora anche altri familiari ritrovandosi, in poche settimane, a vivere da solo.

In questi termini, si è trattato di un evento del tutto senza precedenti, almeno per chi non ha vissuto l’esperienza della guerra. Forse, un domani, altri ricorderanno invece per un verso con un pizzico di nostalgia quella pausa dalla routine di un’esistenza perennemente lanciata sulla corsia di sorpasso. Qualcuno rimpiangerà le giornate dedicate ai familiari, ai figli o alla passione erotica nell’intimità delle proprie case.

L’incognita del contatto fisico

Di certo non si è del tutto concluso questo tempo inusuale; forse si protrarrà per un periodo indefinito, perlomeno fino al momento in cui non si troverà un vaccino per questo nuovo coronavirus. Diverremo probabilmente più guardinghi, si uscirà di meno e spesso muniti di mascherine o visiere, si starà ben lungi dai principali luoghi di aggregazione, si viaggerà poco e restando in allerta. Quello in cui più cambieranno le nostre abitudini saranno i contatti corporei. Si tratterà di manifestare affetto senza abbracci, di salutarci senza stringere la mano. Come sarà la vita degli adolescenti e dei più giovani? Quanto dovranno limitarsi nei baci e nella vita erotica? Quanto dovranno malauguratamente divenire più morigerati?

Consideriamo per un momento il giorno in cui verrà distribuito questo vaccino sul mercato, fra un numero di mesi che non essendo un virologo non so quantificare: i nostri costumi abitudinari ricominceranno oppure saremo comunque un tantino più prudenti nei contatti umani e poco calorosi?

Anche come analista, mi chiedo allora quale sarà il futuro della pratica della psicoanalisi. Chi usufruirà delle sedute online, una volta stemperata questa buriana?

Nuova domanda di sedute online

Come scrivevo qualche riga sopra, al momento, non sono poche le nuove domande di cura che si orientano verso la richiesta di incontro tramite le piattaforme per le videochiamate. Allorché verrà trovato e commercializzato il suddetto vaccino, le domande di appuntamento da remoto torneranno a essere un’esigua minoranza oppure diverrà una consuetudine quella di incontrarsi nel mondo virtuale, su Zoom, su Skype, su Talkspace, su Whereby, su FaceTime?

Stiamo parlando di un ambito nuovo, ancora inesplorato, rispetto al quale non abbiamo la sfera di cristallo per prevedere il futuro. Abbiamo probabilmente più interrogativi che risposte, più dubbi che certezze. Ovviamente nulla ci impedisce di dire con ragionevole attendibilità che le domande di trattamento a distanza diverranno meno frequenti di quanto lo siano in una fase nella quale rimane ancora fresco l’impatto emotivo di quanto è stato vissuto, soprattutto in Lombardia, la cui drammaticità ha raggiunto il culmine nell’immagine della colonna di mezzi militari che trasportavano le salme dei defunti dalla città di Bergamo verso i forni crematori di altre parti d’Italia.

Per quanto possano diminuire, credo che una volta sdoganati i trattamenti di orientamento psicoanalitico online, tale tipo di domanda d’aiuto rimarrà relativamente comune. Con soggetti chiusi nelle proprie abitazioni, socialmente ritirati, anzitutto con i giovani cosiddetti nerd, è molte volte indispensabile svolgere online almeno le prime sedute.

Sedute online strumento di avvicinamento

In questi percorsi trattamentali, costituisce già un risultato significativo l’arrivare a instaurare un legame di fiducia tale da permettere al ragazzo di gradire un appuntamento a livello domiciliare, nel quale il clinico lo raggiunge nella sua abitazione e vi intrattiene delle conversazioni con lui; lo è ancor più il momento in cui il ragazzo si decide a uscire di casa e ad avventurarsi con circospezione per strada, nel mondo, fino a recarsi con le proprie gambe nello studio del clinico.

La richiesta di appuntamenti online giungerà verosimilmente più di frequente e non soltanto da questo tipo di paziente. Forse diverrà più consueta in una “società immunitaria”, per dirla con Roberto Esposito, volta a instaurare contatti umani tutelati dai rischi di contagio e forgiati da una prospettiva salutista.

La centralità assegnata alla salute fa in fondo parte di quella biopolitica che, secondo la concezione di Michel Foucault, si caratterizza per l’intervento di dispositivi sociali sull’essere vivente e sul corpo con particolare attenzione rivolta alla salute. Non è un caso che la App volta a tracciare eventuali contatti con pazienti positivi al coronavirus sia denominata Immuni. Migliaia sarebbero state le denominazioni plausibili per questa App che si definisce, invece, proprio sulla base del paradigma immunitario, puntando a raggiungere la condizione di immunità.

Difese personali nella “società dell’incertezza”

Pur essendo carenti le certezze, pur senza molti punti di repere, in questo momento di vacillamento degli argini di riferimento più consolidati, due sono le ipotesi che ci sentiamo di proporre.

La prima ipotesi concerne quella che Zygmunt Bauman chiamava la società dell’incertezza. Secondo il noto sociologo di origine polacca, ogni individuo tende a ridurre la sgradevole condizione di incertezza esistenziale; d’altronde, anche per Freud, ognuno punta a lenire il dolore, a placare l’angoscia e a ridurre le tensioni rintracciando il piacere nell’assenza di dolore e di tensione. In un momento storico di galoppante instabilità, per Bauman, il principale punto di certezza risulta relativo al nostro corpo.

Per questo, cerchiamo di tutelare il nostro corpo. Ecco allora le esorbitanti visite mediche, i continui e talvolta superflui accertamenti specialistici, le giornate trascorse in palestra, la diffusione del fenomeno dei runner, l’ossessione per la forma fisica, per la magrezza, per la bellezza secondo dei precisi canoni estetici che imprigionano soprattutto le giovani donne con manifestazioni psicopatologiche quali i disturbi alimentari.

In un contesto sociale di incertezza, il controllo dell’immagine del proprio corpo diventa prioritario. Allora, anche quando si attenua l’emergenza sanitaria, ci si rifugia nello schermo per svolgere le sedute in una forma centrata sul rispecchiamento.

Schermo digitale: uno specchio rassicurante

Nelle varie piattaforme, come Skype e Zoom, si vede il proprio volto riflesso in un riquadro; in altre piattaforme, come Whereby, il proprio volto viene persino in primo piano tanto da corroborare il rapporto narcisistico con l’immagine speculare. Qual è il più comune ansiolitico fra gli esseri umani, che si cerca quando non si riesce a trovare uno stato rassicurante di pace? E’ precisamente il proprio riflesso allo specchio; diviene il lato visibile dell’immagine, della propria immagine oppure dell’immagine di un simile che può essere un amico tanto quanto un modello tratto dal mondo della moda, dello spettacolo, dello sport.

Per questo, il vedere tende a rasserenare; al contrario, l’ambito di ciò che rimane invisibile suscita spesso irrequietezza, inquietudine. La percezione visiva tranquillizza mentre la percezione uditiva, se non è supportata dall’immagine, tende spesso ad angosciare. Di solito, infatti, gli esseri umani si trovano più a loro agio nelle giornate serene, in contesti luminosi, irradiati dalla luce del sole. Le giornate uggiose, cupe, intristiscono e deprimono. La luce rende allegri mentre il buio rende spesso inquieti.

Non a caso, una delle situazioni nelle quali emerge lo spavento è quella del trovarsi in luogo scarsamente illuminato oppure, ancor peggio, in una notte di buio pesto mentre nel campo percettivo irrompono degli strani rumori, dei suoni dei quali non si riesce a individuare la fonte, la provenienza.

Diversi film horror presentano tali scene volte a incrementare le tensioni, le case spettrali nei parchi di divertimento giocano su questo tipo di sfondo per portare i turisti a sfidare le loro stesse paure. Vedere la propria immagine e vedere nel monitor quella del clinico risulta dunque alquanto rassicurante. D’altro canto, restare al proprio domicilio funziona da calmante e attenua l’ansia dell’uscire di casa, dell’incontrare gente. La propria individualità corporea e la propria immagine corporea risultano così tutelate perdendo molto del piacere afferente all’incontro umano.

Sedute online e offline, così cambia il transfert

Una seconda ipotesi è che, in certi casi, vi sia appunto un alternarsi di periodi nei quali si svolgeranno le sedute in presenza, con l’incontro dei corpi nello studio dell’analista, e di periodi in cui le sedute migreranno online. Tali momenti potranno evidentemente essere quelli di una nuova diffusione di patologie a rischio di contagio, magari adottando delle precauzioni inusitate.

Si riscontrano, però, passaggi di questo tipo anche nelle evoluzioni della cura, a proposito delle dinamiche di quello che la psicoanalisi chiama transfert. Per transfert, a partire da Freud, si intende innanzitutto la riedizione di sentimenti, affetti, vissuti provati nell’infanzia nei confronti dei genitori o dei fratelli sulla figura dell’analista. Dunque, il transfert si struttura su una dinamica che trae origine dalle relazioni intraprese quando si era bambini e che si evolve attraverso il dialogo analitico.

Quanto più vi è investimento di traslazione benevolo, tanto più i pazienti vivranno con piacere il recarsi in seduta; se emerge, invece, una coloritura di ostilità nel transfert oppure un certo disinvestimento dell’impegno messo in campo nelle sedute, risulterà più faticoso spostarsi per andare all’appuntamento e diverrà agevole impegnarvi meno tempo e meno vigore svolgendo il trattamento dalla propria dimora. Sovente, l’analisi progredisce proprio nelle fasi di transfert negativo.

Dopo tutto, l’alternarsi di sedute in presenza e di sedute online non è impossibile che costituisca un raddoppiamento dell’alternarsi di presenza e assenza. Non c’è allontanamento senza riavvicinamento, non c’è presenza senza quell’assenza che fa affiorare il sentimento di un poter mancare del partner e di un farsi desiderare dal partner. Vi è in gioco una dialettica di padronanza in quanto alcuni pazienti possono giocarsi talvolta soltanto da una posizione di padronanza in base alla quale ogni operazione clinica che lascia balenare il vacillamento della suddetta padronanza rischia di determinare interruzioni e rotture dei percorsi analitici. Svolgere la seduta da dietro uno schermo, avendo la disponibilità immediata della tastiera, investendo meno energie, costituisce non di rado un modo per ripristinare un dominio della situazione.

Presenza fisica e lezione di Lacan

Un’eventualità da ponderare in modo oculato è quella di colludere con i pazienti: non soltanto vi è l’ipotesi di colludere con le resistenze ma persino che sia l’analista a indurre le resistenze nei pazienti. E’ questa una tesi indubbiamente forte di Jacques Lacan il quale prende di petto la tematica della resistenza, sulla quale la psicoanalisi ha lavorato approfonditamente, attribuendola nientemeno che all’analista stesso. Secondo l’insegnamento di Lacan, l’analista resiste quando crede di nominare l’oggetto del desiderio del paziente salvo alienarlo in questo modo nel percorso di ricerca della propria soggettività.

La presenza fisica, pur preziosa, costituisce un elemento non sempre e non per forza necessario al fine dello svolgimento di un’analisi. L’importante è l’operare nel discorso analitico anziché dalla posizione di padrone, di maestro o di docente. Imprescindibile è il transfert e il suo maneggiamento. Lacan parlava del transfert come presenza in atto. Abbiamo studiato da liceali la differenza aristotelica fra potenza e atto: se il virtuale è qualcosa che si situa in potenza, il transfert diviene la presenza in atto.

La fondamentale questione che verosimilmente ci porremo in futuro sarà quella di come compiere l’atto psicoanalitico pur nelle fasi della cura in cui le sedute si svolgeranno online. Uno psicoanalista, essendo almeno in parte analizzato a propria volta, agisce con la propria mancanza che ha incontrato e riconosciuto nella propria vita dove gli si è chiarito il non poter essere padrone. L’alternarsi degli incontri nello studio dell’analista con gli appuntamenti online va allora a riproporre le oscillazioni specifiche dell’altalena del desiderio.

E’ questa la mia tesi di fondo, dunque: affiancare sedute online a quelle in presenza sembra un modo per mantenere vivo il desiderio, per alimentare quella mancanza che sta alla base del desiderio. Si desidera in quanto ci si riconosce come incompleti, come mancanti. La posizione dell’analista dovrebbe allora caratterizzarsi come duttile, flessibile, malleabile, senza troppe rigidità. L’analista ha il compito di far intravedere l’oggetto che causa il desiderio, un oggetto che manca sempre, che sfugge costantemente, che non è mai là dove lo si cerca.

Assenza e presenza: si risveglia il desiderio

L’oggetto causa di desiderio non coincide per nulla con i vari oggetti che attizzano il desiderio nella nostra quotidianità (una donna dal seno formoso, un uomo di età più avanzata e rassicurante, un riconoscimento professionale, un bimbo di cui divenire madre, eccetera). Ottenere la disponibilità dei suddetti oggetti farà restare insoluta la spinta a desiderare in quanto il desiderio si rilancia ogni volta, metonimicamente, verso nuove vie, lungo mete inedite, intorno a obiettivi ancora da raggiungere, sino a traguardi vertiginosi, a partire da una quota di insoddisfazione inevitabile e che, pur talvolta foriera di sofferenza, costituisce l’ancoraggio verso un’evoluzione galvanizzante.

Suscitare il desiderio nei pazienti, anzitutto nella forma del desiderio di saperne di più sui propri sintomi e sul proprio inconscio, risulta più facile quando l’analista si fa mancante, indietreggia, si assenta. Una presenza sempre stabile e costante può annoiare, rischia di rendere la situazione opprimente. Si tratta di esserci ma anche di assentarsi per giocare la partita del desiderio.

Per questo, tendo a dire sì alle richieste di sedute da remoto da affiancare a quelle svolte nel mio studio. D’altro canto, anche nelle cure psicoanalitiche svolte rigorosamente in studio, con la vicinanza fisica dei corpi, si tratta di oscillare fra presenza e assenza. Anche nelle sedute svolte nell’intimità dello studio privato, si manifesta una dialettica del desiderio in cui qualche paziente mira a farsi mancare, ad assentarsi per farsi desiderare, ad arrivare in ritardo per suscitare una spasmodica attesa nell’analista.

Prototipo di questa situazione nel campo della psicoanalisi è il gioco del rocchetto che il nipotino di Freud svolgeva allontanando e poi riavvicinando questa bobina: tale attività ludica costituisce un emblema di come l’oggetto venga inserito nell’articolazione simbolica specifica dell’essere umano. In fondo, l’analista si dovrebbe rendere duttile e assumere la posizione di sembiante di questo oggetto, di parvenza di questo oggetto. Dovrebbe permettere ai pazienti di giocare con l’altalena del desiderio, di destreggiarsi con la dinamica relazionale che trova una propria manifestazione negli oggetti digitali, la cui forma attualmente più calzante è quella delle piattaforme per le sedute in videochiamata.

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