L'analisi

Senza formazione la Sanità digitale è bloccata: come risolvere

Pur essendo la terza economia dell’UE, l’indice di digitalizzazione ci vede al 18° posto su 27 Stati membri. Medici e infermieri non fanno eccezione. L’obiettivo è dare competenze digitali e consapevolezza agli operatori sanitari. La missione 6 Salute del PNRR è già partita

Pubblicato il 15 Nov 2022

Gabriella Borghi

Cefriel – Esperta in progettazione e gestione progetti di sanità digitale

Loredana Luzzi

Direttore Generale Università degli Studi di Brescia e componente direttivo AisdeT

Telemedicina all’Ospedale San Raffaele: il caso del supporto del paziente candidato all'intervento chirurgico

Il digitale può essere certamente la calamita che contribuisce a riportare insieme i vari pezzi dei servizi sociosanitari frammentati nei territori. Frammentazione che va ricondotta in una cornice di lettura facile che ne semplifichi la comprensione e consenta un più adeguato utilizzo e valorizzazione dei servizi che allo stato attuale soffrono tutti per la situazione in atto che, se da una parte vede la disponibilità di risorse di investimento, dall’altra continua ad essere in difficoltà in termini di reclutamento di risorse professionali adeguate.

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Quale formazione per la sanità digitale?

Questo percorso di rilettura e di reciproca disponibilità delle informazioni per ricostituire visibilità e trasparenza all’ambito sociosanitario sul territorio è necessario, come nel frattempo è in atto in altri ambiti (come, ad esempio, infrastrutture e beni culturali). In caso contrario rischiamo di assistere ad uno spreco di risorse pubbliche e ad un sempre maggior ricorso da parte dei cittadini a servizi a pagamento con la creazione di un ampio scontento e l’aumento delle diseguaglianze economiche e territoriali.

In questo contesto un tema che non sempre viene messo in luce adeguatamente è quello della formazione in campo digitale. A dire il vero vi sono linee di intervento specifiche, anche nel PNRR, che prevedono interventi formativi ma la domanda che ci poniamo è: a quale tipo di formazione stiamo pensando?

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Italia peggio della media Ue

Partiamo, ad esempio, dal rapporto DESI 2022 che riporta l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società in cui leggiamo: “nonostante il grosso lavoro per colmare il divario con la media europea, oltre la metà dei cittadini italiani non dispone neppure di competenze digitali di base” ma anche che “benché solo il 40 % degli utenti di internet in Italia faccia ricorso ai servizi pubblici digitali (rispetto a una media UE del 65 %), tale indicatore ha registrato una crescita considerevole negli ultimi due anni”[1] .

Numeri da migliorare

La collocazione al 18° posto su 27 Stati membri e al di sotto della media europea in questo indice complessivo, essendo la terza economia dell’UE per dimensioni, ci dice che molto vi è da fare in questo ambito per il futuro dell’Italia.

In particolare, sui livelli di istruzione il divario è ampio e a nostro svantaggio: in Italia solo il 20,1% della popolazione (di 25-64 anni) possiede una laurea contro il 32,8% nell’Ue e i diplomati sono il 62,9% contro il 79,0% nell’Ue, come emerge dal Report Istat sui livelli di istruzione relativamente al 2020.

Senza dimenticare che in Italia i NEET (che non lavorano, né studiano fra la popolazione 15-29 anni) sono in Italia il 23,1%, mentre la media europea è di 13,1%[2] .

Non stupisce quindi che il ritardo digitale italiano si spossa spiegare anche con un basso livello delle competenze più in generale: un sistema di istruzione e formazione così problematico pone comprensibilmente scarsa attenzione all’alfabetizzazione digitale dei cittadini, a tutti i livelli già a partire dai primi anni scolastici.

I ritardi da colmare sulle competenze digitali in generale sono molti e “serve un patto formativo multilivello per vincere la sfida dello sviluppo del capitale umano digitale e tecnologico”, come scrive Gianpiero Ruggiero[3].

È chiaro quindi che se da un lato dobbiamo affrontare il tema dello sviluppo della “competenza” e della formazione dell’adulto, dall’altro diventa sempre più necessario ampliare la platea di coloro che accedono agli studi universitari e, conseguente, adeguare gli ordinamenti dei corsi di studio – di tutte le classi di laurea – includendo una formazione che consenta di capire e di utilizzare “il digitale” nei diversi settori.

L’innovazione con il PNRR

Tornando all’ambito sanitario e socio sanitario sul territorio, sono in corso innovazioni come previsto con la Missione 6 Salute del PNRR con gli interventi indicati dalla Componente 1 in particolare con l’Investimento 1.2.3 “Telemedicina per un migliore supporto ai pazienti cronici” e dalla Componente 2 con gli Investimenti 1.3.1 “Rafforzamento dell’infrastruttura tecnologica e degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione, l’analisi dei dati e la simulazione (FSE)” e Investimento 2.2 “Sviluppo delle competenze tecniche professionali, digitali e manageriali del personale del sistema sanitario”.

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Una formazione per la telemedicina

Focalizziamo ora ulteriormente lo sguardo sulle esigenze formative necessarie per consentire il miglior utilizzo dello strumento telemedicina e per facilitare una sanità più connessa nei vari punti della rete e in particolare fra ospedale e territorio. Sapendo che la connessione e l’interoperabilità fra le informazioni disponibili presso i diversi operatori contribuisce a limitare le diseguaglianze di localizzazione dei cittadini e facilita la sostenibilità del sistema.

La necessità di informazione e formazione per “uno sviluppo su larga scala della Telemedicina” era già presente in modo significativo, con il capitolo 4 dedicato a questo tema, nelle Linee di indirizzo nazionali[4] del 2014.

Essendo i servizi che utilizzavano la telemedicina meno conosciuti prima della pandemia nel testo era molto evidenziata anche la necessità di informazione dei pazienti che veniva attribuita come responsabilità alle istituzioni con il sostegno della Commissione Europea.

Coinvolgere gli operatori, informare i pazienti

Si sottolineava anche l’esigenza del coinvolgimento delle rappresentanze di pazienti, professionisti sanitari e del volontariato, e quella di fornire informazioni agli operatori sanitari e, ai medici in particolare, per dissipare i dubbi allora legati alla qualità dell’atto medico o del rapporto con il paziente.

Ma lo sviluppo tecnologico e le improrogabili necessità di distanziamento poste dalla pandemia hanno certamente portato, anche inconsapevolmente, maggiori informazione e maggior confidenza-sicurezza nei benefici possibili con la telemedicina.

La tecnologia per avvicinare il cittadino alla sanità

Anche la formazione era affrontata già allora come “empowerment dei pazienti” e come “aggiornamento dei professionisti sanitari”.

Si sottolineava l’esigenza di un’educazione del paziente e del caregiver per arrivare ad un “sistema che educa e responsabilizza il paziente a prendersi cura attivamente della propria malattia e del proprio regime di trattamento” come “sfida per la sostenibilità economica dei sistemi sanitari”.

Quindi già si prefigurava che lo strumento tecnologico potesse divenire, soprattutto per i pazienti cronici, un “grimaldello” per coinvolgerli e renderli più attenti al proprio percorso di cura.

Sul fronte formazione e aggiornamento degli operatori già si evidenziava, oltre alla necessità di conoscenza rivolta alle “nuove apparecchiature di acquisizione delle informazioni e le tecnologie di trasmissione dei dati” ritenute alla base di una prestazione in Telemedicina, anche quella di servirsi di questi nuovi “strumenti di dialogo” con il paziente.

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La telemedicina della pandemia

Quindi formazione anche psicologica che dia umanizzazione alla relazione a distanza, aspetto tuttora non sempre considerato pensando che la sola tecnologia possa risolvere i problemi di medici e pazienti. Ancora apprendimento come “azione di sistema e non proposta estemporanea”… ”una formazione specifica di livello universitario andrà progressivamente inserita nei curricula formativi delle professioni sanitarie”…

Tutte indicazioni ancora attuali su cui poco si è fatto e della cui carenza ci si è resi conto in modo eclatante dal febbraio 2020 e fino ai mesi scorsi, quando la telemedicina ha avuto una maggiore diffusione perché era l’unico modo per evitare l’accesso alle strutture di cura ai pazienti più fragili.

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Le intese istituzionali

L’Accordo Stato, Regioni e Provincie autonome del 17 dicembre 2020 (repertorio atti n.215/CSR), recante “Indicazioni nazionali per l’erogazione di prestazioni in telemedicina” sottolinea ancora l’esigenza di competenza fra gli standard di servizio richiesti per l’erogazione di prestazioni in telemedicina.

Gli erogatori per gestire il servizio devono garantire competenze tecnologiche per il responsabile della gestione e manutenzione delle tecnologie e dell’infrastruttura, e anche:

  • “Assicurare un piano di formazione periodico che garantisca il mantenimento nel tempo delle competenze del personale preposto a vario titolo (acquisizione, consulto, refertazione), alla gestione e utilizzo dei servizi di telemedicina”
  • “Adottare un piano formativo per l’addestramento degli utilizzatori (pazienti, care givers, operatori sanitari) all’uso delle tecnologie impiegate”.

Il successivo Accordo Stato, Regioni e Provincie autonome del 18 novembre 2021 (repertorio atti n.231/CSR) recante “Indicazioni nazionali per l’erogazione di prestazioni e servizi di teleriabilitazione da parte delle professioni sanitarie” è ancora più esplicito e afferma quanto segue.

Per un livello adeguato di competenza digitale

“I professionisti sanitari sono informati, formati e addestrati all’impiego e/o all’utilizzo dei sistemi di teleriabilitazione, come pure alla risoluzione di problemi in relazione al proprio ruolo e alle proprie responsabilità nei confronti dei pazienti e dell’organizzazione nella quale lavorano. Per tutte le professioni sanitarie la formazione universitaria di base e post laurea dovrà ricomprendere attività didattiche formative di sanità digitale, che garantiscano almeno un livello adeguato di competenza digitale.”

Proseguendo poi indicando quanto sia ritenuto importante per la formazione:

  • “Ogni Azienda Sanitaria ricomprenda nel proprio Piano di Formazione Aziendale attività di formazione/addestramento nell’ambito della teleriabilitazione, destinata al personale coinvolto in queste attività;
  • Tale formazione/addestramento sia finalizzata a standardizzare le modalità di gestione del paziente in teleriabilitazione, uniformare gli approcci, i protocolli e le metodiche di valutazione degli esiti;
  • La formazione e l’addestramento degli attori coinvolti nella gestione dei pazienti in tele-riabilitazione, siano essi dipendenti del SSN, convenzionati o dipendenti di strutture private, sia verificata dalla ASL;
  • L’addestramento sia inteso come un momento di completamento del percorso formativo e non sia disgiunto da esso.”

È importante sottolineare i due aspetti evidenziati che sono il ruolo della formazione universitaria e il controllo sull’attività svolta da parte delle ASL, aspetti che certamente richiedono investimenti di risorse in parte ora garantite dal PNRR ma risorse che se ben gestite potranno incidere sull’efficienza e sulla qualità anche futura del Servizio Sanitario Nazionale.

Il coinvolgimento degli atenei

L’importanza di coinvolgere le università è indubbia in quanto è il luogo istituzionalmente deputato per fare formazione nella sua accezione di saper fare, saper essere e saper svolgere le attività.

La formazione ha come obiettivo il miglioramento e lo sviluppo della persona, della professione, delle competenze. Consente processi di rinnovamento delle conoscenze e delle capacità, attraverso il consolidamento e l’ampliamento delle competenze da impiegare sia come persona sia come professionista. Assume ampio rilievo e si colloca come prospettiva di impegno continuo per tutto l’arco della vita umana. È legata ai processi di cambiamento, di innovazione, trasformazione e sviluppo dei sistemi sia aziendali che personali.

Medici e infermieri, essere nativi digitali non basta

I percorsi attuali delle università per le figure del medico e dell’infermiere, ma anche per le altre professioni socio-sanitarie non sembrano però aver preso coscienza di questa necessità in ambito digitale. I medici laureati ora sono nati alla fine degli anni ’90 e sostanzialmente, quindi, sono nativi digitali. Ma l’essere nativo digitale non significa saper utilizzare la tecnologia nei percorsi di prevenzione, diagnosi e cura.

C’è quindi il nodo delle competenze a partire dagli stessi medici. Se nel percorso di formazione del medico – e da qui l’importanza di lavorare con le università – non si inseriscono dei moduli adeguati per far sì che il nuovo medico abbia la consapevolezza e sappia effettivamente capire e utilizzare gli strumenti di telemedicina, si rischia di non andare da nessuna parte.

Avere consapevolezza non significa saper usare l’ultima tecnologia proposta, ma disporre di tutti gli strumenti culturali che consentano di capire, nel momento in cui arriva il mercato e propone una nuova modalità per fare ad esempio la televisita, se tale modalità possa essere utile o migliorativa nel processo di prevenzione, diagnosi e cura in atto.

Rendere umana la relazione a distanza col paziente

C’è anche un’altra questione, quella della formazione da un punto di vista psicologico e della relazione col paziente, in modo “da umanizzare la relazione a distanza“.

Anche questa esigenza era già presente nelle Linee di indirizzo nazionali: formazione psicologica per i medici e per gli operatori. L’utilizzo di strumenti di telemedicina richiede un certo tipo di preparazione anche in termini di empatia e di coinvolgimento da parte dei professionisti nei confronti del paziente e viceversa.

Anche come pazienti subiamo la tecnologia, perché spesso è il produttore chi ci fornisce le istruzioni per l’utilizzo. Ma senza nulla voler togliere al loro ruolo, non sempre poi i prodotti rispondono all’effettivo bisogno del paziente o del clinico e non sempre sono assicurate facilità d’uso e di accesso integrato alle informazioni acquisite.

Non c’è consapevolezza senza formazione

Inoltre il mercato digitale non è facilmente comparabile sia in termini di servizio offerto sia di costi e le valutazioni indipendenti non sono frequenti o accessibili. Emerge quindi ancora come fondamentale che sia i medici sia i cittadini abbiano consapevolezza, e per avere consapevolezza bisogna essere formati.

Formazione digitale quindi sicuramente in ambito universitario negli ordinamenti dei corsi di laurea a ciclo unico per medicina e triennale per le professioni sanitarie, possibilmente inserita già nel corso di laurea a ciclo unico dei sei anni e perfino nei primissimi anni sia della laurea in Medicina che in quelle delle professioni sanitarie.

Gli esempi virtuosi

Non partiamo però da zero ed esempi sono presenti: nel corso di laurea in Medicina in Bicocca ci sono moduli specifici che toccano il tema dell’utilizzo delle tecnologie nel percorso di prevenzione, diagnosi e cura; durante la scuola di specialità cominciano a essere contemplati questi aspetti.

C’è il caso di MEDTEC School, il corso di Laurea internazionale in Medicina di Humanitas University e Politecnico di Milano, un corso che integra e potenzia le competenze del medico chirurgo con quelle tipiche dell’Ingegneria Biomedica e che, per caratteristiche e durata, è oggi unico e i cui risultati saranno poi da valutare.

Lauree magistrali e master ad hoc

Le università devono poi ragionare per le professioni sanitarie su lauree magistrali che abbiano un profilo tecnologico e che possano mettere insieme anche profili che vengono da lauree triennali diverse: dagli infermieri ai tecnici di radiologia, dai tecnici della prevenzione fino agli assistenti sociali e ai fisioterapisti, tutte figure che possono concorrere alla prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione.

Anche in questo caso si può citare l’esempio dell’Università Bicocca e Cefriel che hanno promosso, su stimolo di TELEMECHRON, un progetto a rete di ricerca finalizzata del Ministero della Salute, il primo master per infermieri case manager con competenze digitali, con l’obiettivo di renderli in grado di saper maneggiare le tecnologie abilitanti, di base e avanzate, conoscere la telemedicina, l’E-Health, le APP, la sensoristica e gli ecosistemi digitali legati al mondo della salute.

Anche altri Master universitari sulla sanità digitale e la telemedicina sono in atto come ci ricorda anche Segio Pillon in “Formare i professionisti alla sanità digitale e alla telemedicina: i percorsi per nuove competenze”[5] .

L’aggiornamento professionale

Oltre a queste iniziative più strutturate e di sistema sono presenti esempi più frammentati di corsi formativi più limitati nella durata e mirati a specifiche esigenze o categorie professionali messe in atto a livello regionale, di società scientifiche o di altre entità. Queste iniziative potrebbero forse essere più correttamente ricondotte a livello di aggiornamenti professionali.

In alcuni casi potrebbe esserci anche il coinvolgimento da parte del mercato stesso che propone le tecnologie e ne promuove l’uso in nuovi percorsi e modelli di cura per facilitare l’innovazione, dopo che tali tecnologie sono state validate da trial clinici.

Quindi, per rispondere sinteticamente a quale formazione stiamo pensando proviamo a schematizzare:

  • Una formazione comune a tutte le classi di laurea che dia ai giovani, indipendentemente dal percorso scelto, gli strumenti che consentano loro di capire ed applicare in concreto, l’utilizzo di soluzioni digitali nei diversi contesti professionali;
  • Una formazione “long life learning” che consenta a ciascuno, di potersi aggiornare ed essere capace di utilizzare le soluzioni digitali;
  • Una formazione specifica, che potremmo definire addestramento, per i pazienti e i loro care giver.

In conclusione

Più volte ci siamo sentiti dire “la tecnologia non è un problema”. Non vogliamo più sentire queste affermazioni perché lo sviluppo di prodotti digitali che non hanno tenuto in considerazione il livello e la consapevolezza degli utilizzatori e quindi poco utilizzate o comunque difficili da implementare su larga scala, è, se possiamo dire “un film già visto”.

Siamo ora nell’epoca in cui, a fronte di oggettive disponibilità di investimento e di un quadro di programmazione e di attuazione a livello nazionale che, finalmente, sta affrontando seriamente alcuni temi: si pensi all’anagrafica nazionale degli assistiti o alla più volte citata “piattaforma nazionale per la telemedicina”, bisogna mettere seriamente mano ai percorsi formativi, anche attraverso la proposta di sviluppo di competenze “trasversali” – si pensi agli open badge, ad esempio – che consentano di avere professionisti in grado di cogliere le potenzialità del digitale in coerenza con i principi di sicurezza garanzia e tutela delle persone e delle informazioni ad esse correlate.

Le risorse sono rese disponibili dal PNRR per migliorare le competenze digitali del nostro sistema sanitario perché questo è uno degli obiettivi principali della Missione 6, quella che riguarda la salute.

Note

  1. https://apre.it/desi-2022-italia-18esima-nel-digital-economy-and-society-index/
  2. Fonte Eurostat 2022
  3. https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/competenze-digitali/allitalia-servono-competenze-digitali-o-non-si-riparte-le-sfide-per-il-nuovo-governo/
  4. https://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?id=2129
  5. https://www.agendadigitale.eu/sanita/formare-i-professionisti-alla-sanita-digitale-ed-alla-telemedicina-i-percorsi-per-nuove-competenze/

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