strategie di sostenibilità

Caro energia, l’Italia arranca su rinnovabili e nucleare: gli ostacoli da superare



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I prezzi dell’energia elettrica in Italia sono da anni tra i più alti in Europa. Il motivo è semplice: la dipendenza italiana dal gas naturale per produrre energia elettrica. Il nostro Paese dovrebbe ricorrere al nucleare e alle rinnovabili, ma gli ostacoli non mancano

Pubblicato il 12 apr 2024

Giovanni Baroni

Presidente della Piccola Industria e vice presidente di Confindustria, Fondatore di Billoo – Osservatorio Billoo



bonus-fotovoltaico

Tra i paesi dell’Unione Europea, l’Italia è il terzo con l’energia elettrica più cara: il costo medio annuo è più basso solo in Germania e Belgio. Secondo i dati di LSEG, il prezzo medio all’ingrosso dell’energia elettrica nel 2023 è stato pari a 127 euro per megawattora, ovvero il 30% in più della Germania e della Francia e il 50% in più della Spagna.

Tutti i danni del caro energia in Italia

Un costo dell’energia così alto, se comparato con quello pagato dagli altri paesi europei, danneggia gravemente i consumatori italiani. Ma non solo. Industria e grandi produttori risultano i più colpiti: molti, nell’ultimo anno, sono stati costretti a operare tagli e riduzioni nell’uso e nella produzione di energia per evitare di concludere il 2023 con ingenti perdite finanziarie. Secondo lo studio della banca N26, gli italiani spendono più del 2% del loro stipendio per pagare l’energia elettrica, una percentuale inferiore solo a quella della Grecia. Questo avviene perché, nonostante Atene abbia un costo dell’energia elettrica molto basso, i greci guadagnano ancora meno: in media 16mila euro l’anno.

La dipendenza italiana dal gas naturale

Il responsabile principale di questo costo esorbitante dell’energia elettrica è il gas. In Italia il 45% dell’energia prodotta proviene da centrali che funzionano a gas naturale. Una percentuale altissima se comparata a quella degli altri paesi europei: parliamo del 6% della Francia, del 15% della Germania e del 23% della Spagna.

L’invasione da parte della Russia dell’Ucraina ha prodotto aumenti del prezzo del gas mai visti in precedenza. Le sanzioni contro la Federazione Russa e la necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento dell’energia hanno peggiorato la situazione, con il gas utilizzato per rimpiazzare le forniture russe – principalmente GNL – che è di gran lunga più costoso. Il processo di liquefazione e rigassificazione, insieme al trasporto su navi metaniere, fa infatti lievitare il prezzo finale in modo consistente.

La strategia dei paesi UE per diversificare delle fonti di energia

A seguito delle difficoltà innescate dalla guerra in Ucraina, gli altri paesi dell’Unione Europea hanno costruito in questi due anni una visione di lungo periodo che è mancata al nostro Paese. In particolar modo, gli altri governi dei Paesi UE hanno potenziato la produzione di energia elettrica attingendo da altre fonti più economiche quali nucleare, rinnovabili e carbone. In questo campo, Roma arranca. E continua a dipendere eccessivamente dal gas naturale per produrre energia elettrica. Per quanto riguarda le energie rinnovabili, nonostante sia tra le nazioni col clima più favorevole, l’Italia non riesce a fare meglio di Francia o Germania.

Fotovoltaico, all’Italia servono grandi impianti a terra

Dal 2016 al 2023 la Germania e la Spagna hanno incrementato la potenza fotovoltaica installata rispettivamente di 78,77 Gw e di 38,85 Gw. L’Italia è riuscita ad aumentarla di soli 28,64 Gw seguita dalla Francia con 18,41 Gw. Analizzando meglio i numeri si scopre un dato interessante. Mentre l’Italia ha realizzato tanti impianti fotovoltaici sui tetti delle case (79%), gli altri paesi hanno avuto una maggiore incidenza di grandi impianti realizzati a terra (Italia 21%, Francia 46%, Spagna 71%, Germania 28%), secondo i dati di Solar Power Europe.

La scelta tutta italiana di puntare su (molti) tetti invece che su (pochi) grandi impianti a terra per continuare sulla strada della decarbonizzazione, però, comporta altri problemi. La rete di trasmissione elettrica, ad esempio, non è stata progettata per tale utilizzo: storicamente, l’energia veniva trasportata da pochi punti – centrali elettriche o linee di importazione – verso una moltitudine di luoghi. Optare per la realizzazione di piccoli impianti sui tetti delle case significa rovesciare il paradigma. Oltretutto, l’energia solare viene prodotta solitamente nelle regioni dove è possibile sfruttare maggiormente i raggi solari. Queste, però, hanno anche una domanda industriale inferiore. Ecco perché, nel PNRR, 55,5 miliardi di euro saranno destinati anche al potenziamento e al miglioramento della rete di trasmissione gestita Terna.

L’impegno dell’Italia per la transizione energetica e gli ostacoli sociali e burocratici

Per accrescere la propria indipendenza dal gas naturale e sfruttare l’utilizzo dell’energia rinnovabile, l’Italia intende realizzare 10 GW di potenza solare incrementale all’anno fino al 2030. Tale obiettivo sembra molto ambizioso. La realizzazione di impianti fotovoltaici è stata trainata soprattutto dal bonus 110%: pertanto, è presumibile attendersi una frenata nel 2024. Un motivo in più per sostenere che l’installazione di grandi impianti a terra potrebbe rappresentare la via più semplice per raggiungere tali obiettivi.

Alcune realtà stanno seguendo questo esempio. Enel ha presentato a Trino Vercellese il progetto per uno dei più grandi parchi solari nazionali, 87 MW. La spagnola Iberdrola poi ha intenzione di realizzare in Sicilia il più grande impianto in Italia, per una potenza di 245 MW. Come spesso accade, però, resistenze delle comunità locali e iter autorizzativi lunghi e complessi frenano questi progetti. Sembra esserci anche una certa ritrosia del governo italiano: l’esecutivo ha infatti escluso eventuali agevolazioni dirette ai costruttori di grandi impianti, in quanto violerebbero le norme europee in materia di aiuti di Stato.

L’Unione Europea auspica che l’Italia possa imboccare la direzione opposta, almeno per quanto riguarda la necessità di ridurre le lungaggini burocratiche, con Bruxelles che ha richiesto una semplificazione delle procedure autorizzative. Con questi dati, frenata da opposizioni locali e cavilli amministrativi, difficilmente l’Italia riuscirà a centrare gli obiettivi fissati per la transizione energetica. Il divario con gli altri paesi europei rimane e strumenti come l’agrivoltaico o le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) – finanziati rispettivamente con 1,1 e 2,2 miliardi di euro – sono tra le poche opzioni nelle mani del governo in grado di colmarlo. I fondi europei legati al PNRR ci sono (55 miliardi di euro desinati alla transizione verde) e l’ultima speranza per abbattere i costi dell’energia è quella di spenderli bene e in fretta.

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