oltre la pandemia

La città dopo il covid 19: più sostenibile grazie al digitale

Il Covid-19 ci porta a ritenere che non serve contrapporre città e campagna, piuttosto porsi con un approccio nei sistemi di governo territoriale sia nella progettazione degli spazi e dei servizi collettivi (a partire da quelli sanitari).

Pubblicato il 18 Mag 2020

Francesco Alessandria

Architetto e Professore a contratto, Sapienza Università di Roma

smart city digital

Dall’inizio del 2020 la città, di qualsiasi dimensione ed a quasi tutte le latitudini, sta affrontando una nuova situazione alla quale non era preparata: la pandemia di Covid-19. Essa ha rivoluzionato il modo di pensare di ciascuno di noi e ha lasciato storditi i decisori che sembrano navigare a vista.

Ma se dalla crisi può nascere un’opportunità, allora da cogliere è senz’altro quella, per altro rilevata da molti indicatori, della spinta decisiva alla sostenibilità grazie alla tecnologia nell’era post covid-19.

Le criticità della città contemporanea

È noto che le città siano centri-fucine di idee per le attività dell’uomo da quando esse stesse furono fondate. In esse hanno trovato  spazio il commercio, la cultura, la scienza, la produttività, lo sviluppo sociale. Ed è possibile affermare che, dalla rivoluzione industriale in avanti, le città hanno permesso agli abitanti di migliorare la propria condizione sociale ed economica diventando esse stesse la sede della produzione della ricchezza.

Tuttavia, il miglioramento della qualità della vita individuale non è stato parallelo alla qualità della vita collettiva. Anzi, man mano che migliorava la qualità individuale è andata peggiorando quella collettiva. In particolare, ciò si è manifestato soprattutto nei grandi agglomerati urbani, diventati poi aree metropolitane e più recentemente città metropolitane con precise identità amministrative.

Oggi, a causa della pandemia identificata con il termine scientifico covid 19, la città tradizionale presenta un nuovo aspetto di criticità e ciò impone la necessita di re-inventare molte funzioni urbane tradizionali.

La sfida e la situazione attuale

La sfida in atto dalla metà degli anni 80 è quella di mantenere nei centri urbani le funzioni caratterizzanti senza compromettere l’ambiente, non solo per gli attuali abitanti, ma, soprattutto, per le generazioni future. Per fare ciò si è sempre affermato che è necessario ridurre il traffico, l’inquinamento, ottimizzare l’uso delle risorse, garantire l’accesso ai servizi alle diverse categorie d’utenza, far si che vi sia la possibilità di residenza, di mobilità di lavoro, di sicurezza. In sostanza, in una parola, una citta inclusiva.

Oggi, dei 7 miliardi di abitanti sul pianeta terra, la metà (3,5 miliardi) vive in città.
Si stima che entro il 2030, quasi il 60% della popolazione mondiale abiterà in aree urbane e che il 95% dell’espansione urbana si registrerà nei Paesi in via di sviluppo.

Attualmente 828 milioni di persone vivono in baraccopoli, e il numero è in continuo aumento
Le città occupano solamente il 3% della superficie terrestre, ma consumano una quantità di energia pari al 60-80% delle risorse disponibili e sono responsabili del 75% delle emissioni di carbonio.

Le proposte e il ruolo dei decisori

Il problema dei decisori, nella storia recente, è stato principalmente quello della sostenibilità che ha indotto l’assemblea generale delle nazioni unite, nel 2015, a adottare una risoluzione avente ad oggetto: “trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”: nel corpo della risoluzione sono stati indicati una serie di punti da raggiungere entro il 2030. Tra questi:

  • garantire a tutti l’accesso a un sistema di trasporti sicuro, conveniente, accessibile e sostenibile, migliorando la sicurezza delle strade, in particolar modo potenziando i trasporti pubblici, con particolare attenzione ai bisogni di coloro che sono più vulnerabili, donne, bambini, persone con invalidità e anziani;
  • potenziare un’urbanizzazione inclusiva e sostenibile e la capacità di pianificare e gestire in tutti i paesi un insediamento umano che sia partecipativo, integrato e sostenibile;
  • ridurre l’impatto ambientale negativo pro-capite delle città, prestando particolare attenzione alla qualità dell’aria e alla gestione dei rifiuti urbani e di altri rifiuti;
  • fornire accesso universale a spazi verdi e pubblici sicuri, inclusivi e accessibili, in particolare per donne, bambini, anziani e disabili.

Tali enunciazioni di principio più che mai appaiono conferenti con questo tempo del post Covid-19 dove dare concreta attuazione è irrinunciabile. Soprattutto in materia di trasporti, di urbanizzazione inclusiva (ma a distanza) di gestione dei rifiuti.

Come trasformare le enunciazioni in attuazioni

Alle enunciazioni bisogna far seguire modalità operative.

È naturale confermare il concetto di smart city, l’impiego di smart grid, sia per l’alloggio intelligente dotato di connessioni telematiche di domotica, con la possibilità di consentire lo smart working sia per le diverse funzioni della città.

Tutti temi e strumenti noti da tempo, ma fino a poco prima del Covid 19, pensati come una sorta di evoluzione di dotazioni e di dispositivi capaci di supportare e accompagnare un modo di abitare la casa e la città che non ha mai imposto importanti ripensamenti dello spazio; ciò perché non presupponevano un reale mutamento dell’abitare e del vivere-

Le attività dentro casa, pur con l’impiego dell’IT, sono sempre state intese come un supporto di un abitare fatto di comportamenti, elementi, e relazioni consolidate e tradizionali; senza, quindi una radicale e reale innovazione. Questo perché non si è mai stati obbligati, o meglio, costretti, ad utilizzarli prima della pandemia.

Anche per la città l’idea comune delle funzioni è quella che la nostra mente ed il nostro modo di pensare ha oramai fissato, nel periodo di pace più lungo che lo storia ricordi, e dove l’innovazione tecnologica è l’app per il car sharing o per il parcometro.

In realtà si prospettavano come una sorta di griglie, reti, elementi quasi immateriali e intangibili giustapposti a realtà e spazi esistenti e che non hanno mai realmente trasformato gli spazi stessi del vivere. Non hanno determinato, di conseguenza, modifiche al modo di vivere, muoversi pensare che, invece, si renderà necessario per periodi futuri (non si sa quanto lunghi).

Le città del domani, più che mai prossimo, da tempo vengono pensate e progettate quali grandi ecosistemi iperconnessi, costellati di sensori e dispositivi capaci di raccogliere ed elaborare un’enorme quantità di dati necessari ai servizi da fornire. I Big Data si presentano come il cuore pulsante della città intelligente e potranno contribuire enormemente alla gestione delle principali criticità urbane, dal traffico alla sicurezza, dalla residenza alla salute.

Un’infrastruttura basata sull’Internet of things viene già usata ad Amsterdam per monitorare in tempo reale il traffico e limitare le emissioni nocive per la salute. Barcellona usa un sistema simile per la gestione integrata di acqua, illuminazione e parcheggi. A Los Angeles nuove politiche di gestione dei rifiuti, , sono riuscite a ridurre dell’80% le aree classificate come non pulite.

Fondamentale il contributo della pianificazione urbanistica e la modalità di progettazione architettonica. Più spazi verdi aiuteranno a liberare le città dallo smog e a mantenere l’aria pulita, mentre l’efficienza energetica applicata all’edilizia renderà abitazioni e uffici più resilienti.

Non si tratta, quindi, di fare realizzare ulteriori reti o cablaggi ed aumentare la smart grid (aspetti peraltro importanti e sui quali occorre continuare a lavorare con intensità), ma vi è anche ben altro nei possibili sviluppi futuri, perché sono gli stessi spazi, gli stessi alloggi, le stesse città ed i sistemi urbani che devono cambiare.

Le sperimentazioni in atto e le prospettive

Ma quali città nel mondo si stanno già muovendo in questa direzione? Secondo l’organizzazione non profit Climate Reality Project sono 5 le città che stanno indicando la strada del futuro:

  • Copenaghen (Danimarca) che punta a diventare la prima capitale carbon free al mondo;
  • San Francisco (Stati Uniti) soprattutto grazie all’innovazione tecnologica applicata ai trasporti e all’efficienza energetica degli edifici;
  • Vancouver (Canada) che applica una strategia green a 360 gradi;
  • Stoccolma (Svezia) che ha creato un sistema centralizzato di riscaldamento, più pulito ed efficiente;
  • Singapore, grazie a un piano dei trasporti che riduce inquinamento e traffico sulle strade, fornendo servizi capillari e fissando limiti all’utilizzo dell’auto da parte dei residenti ma garantendo nei mezzi pubblici condizioni di sicurezza anche per i rischi da Covid 19.

L’Arcadis Sustainable Cities Index, del Gruppo globale leader in ingegneria e consulenza nel settore immobiliare, seleziona ogni anno le 100 città più sostenibili sulla base di tre parametri: persone (qualità della vita), pianeta (impatto ambientale), profitto (produttività e infrastrutture). Il rapporto 2018, ha incoronato al primo posto Londra, seguita da Stoccolma, Edimburgo, Singapore e Vienna. In generale le città europee dominano l’indice occupando otto posizioni tra le prime 10, dove non figurano città degli Stati Uniti.

In Italia, le città più intelligenti e sostenibili vengono individuate dal rapporto ICity Rate di FPA, società del Gruppo Digital 360. La classifica annuale analizza 15 dimensioni della vita urbana declinata attraverso 107 fattori che sintetizzano il livello di intelligenza di una città. Nell’ultima edizione i primi tre posti sono stati assegnati a:

  • Firenze che ha realizzato un sistema di elaborazione integrata dei dati georeferenziati sulla città per la gestione in tempo reale del traffico e può vantare un primato nello sviluppo della mobilità elettrica;
  • Bologna che ha costruito una rete pubblica basata sul cloud e su un’identità digitale integrata per raccogliere l’offerta di contenuti e servizi da parte di pubblica amministrazione, imprese e cittadini.
  • Milano che ha sperimentato forme di smart mobility e servizi come il fascicolo digitale del cittadino, oltre ad aver messo la sostenibilità al centro di alcuni interventi architettonici che stanno ridisegnando lo skyline della città.

Conclusioni

Quelle citate sono esperienze in atto da qualche tempo e su cui si innesteranno le esigenze sopravvenute a causa del Covid 19. Vi è, tuttavia, un altro approccio degno di nota che introduce due diverse questioni sul governo della città in epoca post Covid 19.

La prima questione è il rapporto tra la vita urbana e quella di provincia. Il concetto di città protagonista è stato introdotto all’inizio di questo scritto e proprio tale molteplicità di luoghi di scambio e relazione è diventata un luogo potenzialmente molto pericoloso: è stato, altresi, evidenziato come nelle città la popolazione potrà solo aumentare né è pensabile un’inversione di tendenza. E’ tuttavia, possibile immaginare una sorta di riequilibrio di localizzazione di funzioni e servizi grazie ad investimenti anche attraverso politiche urbane mirate, finalizzate ad attutire il processo di impoverimento che ha interessato molti territori di periferia

Il COVID-19 ci porta a ritenere che non serve contrapporre città e campagna, piuttosto porsi con un approccio nei sistemi di governo territoriale sia nella progettazione degli spazi e dei servizi collettivi (a partire da quelli sanitari), ricercando una maggiore integrazione di funzioni e di dotazioni tra città metropolitane e città medie. In tal modo è possibile immaginare una comunità capace di prendersi cura adeguatamente della salute dei propri cittadini ma anche di affrontare una nuova stagione all’insegna della sostenibilità economica e sociale.

La seconda questione attiene invece all’uso dei dati e delle nuove tecnologie digitali nei processi di governo, in particolare delle città. L’agenzia creativa WE Are Social ha fornito dei dati secondo i quali tra pochi anni (forse 4) il 5G consentirà collegamenti ad oltre il 40% della popolazione ed alla gran parte dei dispositivi (cellurari, semafori, automobili, elettrodomestici ecc). Ma come saranno utilizzati tali dati e, soprattutto chi ne avrà il possesso? Il garante per la protezione dei dati personali ha, ed avrà, un gran bel daffare!

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