Innovazione sostenibile

Il mercato digitale a caccia di energia rinnovabile: ecco la sfida



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L’impatto ambientale dello sviluppo della rete e dei servizi di connessione è preoccupante. I problemi non sono di semplice soluzione: occorre continuare a investire in fonti rinnovabili, ma anche incentivare l’adozione di misure e tecnologie in grado di ridurre il consumo di energia per unità di prodotto

Pubblicato il 30 ott 2023

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione



transizione energetica

Circa il 5% dei consumi mondiali di energia sono determinati dai terminali e dalle infrastrutture di rete. Da un lato i terminali, la rete e i data center aumentano di efficienza energetica ogni giorno, riducendo il consumo per unità di informazione trattata, ma dall’altro lato stanno crescendo enormemente le connessioni e soprattutto la quantità di informazioni che trattano. Il numero dei terminali (smartphone, computer, IoT) è raddoppiato tra il 2019 e il 2021.

Sui consumi di energia del settore IT, il 36% viene assorbito dalla rete, il 30% dai data center, il 34% dai computer[1]. Sembra che il cervello umano usi l’energia disponibile con minore dispendio di potenza per la gestione della rete, dedicandone di più alla memoria e all’elaborazione: in un individuo adulto il cervello rappresenta in media il 2% del peso corporeo, ma assorbe circa il 20% dell’ossigeno disponibile, che equivale al 20% dell’energia prodotta dal metabolismo. A sua volta solo il 15-20% di questa energia utilizzata dal cervello è necessaria per la manutenzione delle condizioni operative dei neuroni e delle sinapsi, ovvero del data center e della rete, mentre l’80-85% viene consumata nella neurotrasmissione delle informazioni[2].

Le conseguenze ambientali dello sviluppo della rete e dei servizi di connessione

Coloro che sono sensibili alle conseguenze ambientali dello sviluppo della rete e dei servizi di connessione osservano con preoccupazione le proiezioni, come quelle di IDC riportate in figura 1, che mostrano una crescita esponenziale della quantità di dati creati e gestiti nella datasfera[3].

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Per addestrare la versione precedente di ChatGPT, sarebbero stati spesi tra 3,2 e 4,6 milioni di dollari di energia elettrica, ma secondo Sam Altman, CEO di OpenAI, per la versione successiva GPT-4 questi costi sarebbero saliti a 100 milioni[4]. Il problema non è più l’aumento del numero delle connessioni, ma l’intensificazione delle transazioni: dal 2010 il numero degli utenti di internet è raddoppiato, a livello mondiale, ma il traffico su internet è aumentato di 25 volte[5].

Le due tensioni contrastanti

Nella letteratura economica la relazione tra ICT e domanda di energia è analizzata studiando due forze contrastanti.

La prima spinge a un aumento della domanda di energia per effetto dello sviluppo delle reti e delle infrastrutture, delle apparecchiature e della domanda di nuovi servizi, a cui si aggiunge lo sviluppo di nuove attività legate all’utilizzo della rete e della digitalizzazione, che porta ad aumenti di reddito e quindi ad una crescente domanda di energia.

La seconda forza si esprime sempre con la crescita dell’accesso alla rete e dell’utilizzo dei servizi online (tele-conferenze, e-commerce, telemedicina, intrattenimento on line ecc.) che ha, tuttavia, l’effetto di sostituzione nei confronti dei servizi tradizionali: ciò comporta una riduzione dei consumi di energia per unità di prodotto[6].

Questo effetto è stato prevalente almeno fino ad una decina di anni fa. Alcuni pensavano che, nei paesi in cui le infrastrutture sono efficienti e la dotazione di terminali e connessioni elevata, gli effetti di risparmio determinati dalla sostituzione di attività ad elevato consumo di energia da parte delle attività digitali avrebbero prevalso e quindi la domanda di energia per unità di prodotto si sarebbe ancora ridotta in modo significativo. Altri, soprattutto in anni recenti, pensano che la creazione della rete con le sue infrastrutture e l’uso delle connessioni portino ad aumenti insostenibili dei consumi di energia. Questo secondo effetto sarebbe prevalente nei paesi in cui le infrastrutture sono ancora ad un livello di sviluppo inadeguato: gli investimenti necessari porterebbero ad un aumento dei consumi energetici[7].

Innovazione e consumi, una realtà complessa

La realtà è più complessa. La crisi pandemica ha portato ad un rallentamento e in alcuni casi ad una inversione della tendenza alla riduzione dell’intensità energetica. La guerra della Russia contro l’Ucraina ha portato ulteriori rallentamenti dovuti agli aumenti di prezzo, scarsità delle materie prime, disordine nella logistica. Altri ne porterà il conflitto esploso in Medio Oriente. Per quanto gravi, queste catastrofi hanno natura episodica, non modificano il trend di lungo periodo.

L’esplosione della domanda di servizi di rete, particolarmente evidente in continenti come America Latina, Africa e parti dell’Asia preoccupa coloro che hanno a cuore la sostenibilità dello sviluppo. Anche in questo caso, da un lato cresce enormemente il traffico di dati e quindi la domanda di energia, dall’altro il progresso tecnico nell’ambito dei consumi degli apparati, della rete e dei data center riduce il consumo di energia per unità di informazione.

La figura che segue riporta per alcuni paesi l’intensità energetica espressa come consumi energetici per unità di prodotto in valuta costante e tenendo conto della parità dei poteri d’acquisto. Nei trent’anni considerati la variabilità dell’intensità energetica si è molto ridotta: era oltre 20 per la Cina nel 1990, all’epoca il paese con minore efficienza, mentre l’Italia risultava, tra quelli considerati, il paese con minore intensità energetica, con un valore intorno a 3.

Nel 2020 la Cina scende a 8,5 con guadagni enormi di efficienza energetica, lasciando il posto di paese meno efficiente nell’uso dell’energia alla Russia, che ha un valore superiore ad 8, mentre l’Italia non guadagna efficienza come invece fanno sia Irlanda sia dal Regno Unito: due paesi estremamente attivi sul fronte della digitalizzazione e dei servizi di rete ed oggi con intensità energetica più bassa di noi[8].

Immagine che contiene testo, schermata, linea, DiagrammaDescrizione generata automaticamente

Lo sviluppo del 5G, la distribuzione del cloud, di IOT e dell’intelligenza artificiale comporta una ripresa momentanea dell’intensità energetica per unità di prodotto: anche nei paesi con migliori dotazioni infrastrutturali, la fase attuale comporta un nuovo impegno sul fronte degli investimenti e quindi un aumento di domanda di energia per unità di prodotto.

L’espansione dei data center, in particolare di quelli delle hyperscale companies, assume una dimensione ed una qualità tali da creare una serie di strozzature importanti. La concentrazione dei data center produce non solo picchi di domanda nel tempo, ma anche nello spazio con la congestione delle localizzazioni e delle reti elettriche.

Lo sviluppo IT è in un collo di bottiglia?

La crescita del cloud, ora spinta con ancor più forza dalla diffusione dell’intelligenza artificiale generativa, sta portando ad una concentrazione degli investimenti che a sua volta può creare una serie di colli di bottiglia.

Uno dei problemi da risolvere sul campo è l’accesso sicuro all’energia: i data center, soprattutto quelli dove si fa il training e si erogano i servizi di intelligenza artificiale, consumano enormi quantità di energia e creano tre problemi. Il primo è la sostenibilità, ovvero l’impatto in termini di emissioni di CO2; il secondo è quello della capacità della rete di alimentazione; il terzo è quello della continuità del servizio.

Il primo può essere indirizzato ricorrendo alle fonti rinnovabili, oggetto di grande attenzione soprattutto da parte delle hyperscale companies, che hanno un problema di immagine presso l’opinione pubblica e sono attente ai controlli da parte delle autorità.

Il secondo e il terzo problema sono quelli che devono essere affrontati dagli investitori nei data center, dove il ricorso a fonti rinnovabili deve essere comunque mediato dalla rete per evitare le interruzioni o le oscillazioni tipiche della generazione da quelle fonti instabili. Infatti, gli approvvigionamenti di Big Tech da fonti rinnovabili avvengono attraverso contratti di rete, ossia assicurandosi la continuità del servizio, che dipende dalla capacità della rete e dalla sua funzione di integratore tra diverse fonti.

Occorre quindi potenziare la rete facendo in modo che l’alimentazione abbia comunque un potenziale back up in grado di assorbire le discontinuità di alimentazione di una fonte rinnovabile. Infine, è importante disporre di spazio per disporre di soluzioni tecnico-architettoniche capaci di sfruttare l’energia geotermica per il raffreddamento dei data center.

La dislocazione dei data center guida ormai le scelte di investimento nella generazione elettrica e nel potenziamento della rete. I grandi operatori come Google, Amazon, Microsoft, si impegnano nell’utilizzare energia da fonti rinnovabili e cominciano ad investire nella generazione sostenibile, mentre le compagnie di generazione e distribuzione fanno i conti con un potenziale di domanda aggiuntiva che modifica completamente il profilo di un mercato maturo come era quello dell’elettricità. L’impatto si fa sentire anche sulle aree immobiliari, dal momento che i grandi data center occupano lo spazio di un campo da calcio.

In Irlanda, dove il 18% dell’energia della rete nazionale nel 2022 è stata utilizzata per i data center, nell’ultimo anno il loro consumo è salito del 31%. Qui la tensione tra gestori dei data center e la rete di distribuzione elettrica ha portato a contrasti vivaci, con rimpalli di responsabilità sugli squilibri attualmente lamentati. La gestione della rete ha annunciato un blocco delle connessioni per nuovi data center nell’area di Dublino, con il risultato di bloccare una trentina di nuovi progetti. Ma, ovviamente, la pausa è stata solo momentanea[9].

Conclusioni

L’aumento dell’efficienza energetica continuerà a manifestarsi all’interno dei nuovi settori, mantenendo aperta la tendenza di lungo periodo di una intensità energetica che si riduce.

Rispetto alle preoccupazioni sull’impatto delle emissioni di gas serra, la questione si pone sotto due profili. Il primo è il saldo netto di queste due tendenze: è assai probabile che l’IT intesa in senso lato domanderà una quota crescente di energia nel prossimo futuro, ma potrebbe farlo con un qualche effetto sostitutivo rispetto ai consumi di altri settori che si ridurrebbero. La valutazione finale è assai complessa e può essere risolta soltanto considerando l’evoluzione dell’intensità energetica del prodotto interno lordo dei vari paesi.

Il secondo profilo riguarda la capacità di sostituire le fonti fossili con quelle rinnovabili.

Oggi Big Tech assorbe una buona parte di energia prodotta da fonti rinnovabili, ma nel farlo lascia meno disponibilità per altri settori. I grandi operatori della rete e del cloud sono comunque un fattore di stimolo e sostegno al processo di sostituzione delle fonti fossili. Non lo fanno per beneficenza: se nel 2010 il costo medio del KW/h prodotto da fonti rinnovabili era del 95% più alto del costo minimo del KW/h prodotto da fonti fossili, nel 2022 il costo medio delle rinnovabili era del 29% inferiore[10].

Il contrasto più efficace all’aumento delle emissioni causato dalla crescita esponenziale del traffico dei dati verrà, da un lato, dal progresso tecnico che continuerà a ridurre i consumi unitari per bit dei terminali, della rete e dei data center. Dall’altro lato, il contributo ancor più decisivo verrà dalla sostituzione di fonti fossili con fonti rinnovabili e dall’efficienza energetica del sistema nel suo complesso. Qui, occorre che gli investimenti proseguano ed accelerino, ma occorre anche, di nuovo, che il progresso tecnico dia i suoi risultati riducendo i costi della generazione e dello stoccaggio da fonti rinnovabili e incentivando l’adozione di misure e tecnologie in grado di ridurre il consumo di energia per unità di prodotto.

Un governo come il nostro è alle prese con la scarsità delle risorse pubbliche disponibili e dovrebbe fare scelte di priorità precise e chiarire anche all’opinione pubblica se la convenienza di oggi è quella di evocare costosissimi fantasmi del passato, come il ponte di Messina, o investire nel nostro futuro come paese tecnologicamente avanzato.

Note

  1. ) Go-globe.com
  2. ) Marcus E. Raichle and Debra A. Gusnard, Appraising the brain’s energy budget, Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), July 29, 2002.
  3. ) David Reinsel, John Gantz, John Rydning, The Digitization of the World From Edge to Core, An IDC White Paper, November 2018 (Data refreshed May 2020).
  4. ) Kristo Mikkonen, Alex Wilson, The looming data center crunch, Financial Times, October 5, 2023.
  5. ) Internationa Energy Agency, Data Centres and Data Transmission Networks, July 13, 2023.
  6. ) En-Ze Wang, Chien-Chiang Lee, The impact of information communication technology on energy demand: Some international evidence, International Review of Economics & Finance Volume 81, September 2022.
  7. )
  8. )
  9. ) Georgia Butler, Ireland isn’t going to limit data centers despite high energy use, Data Centers Dynamics, June 13, 2023.
  10. ) Irena, Renewable Power Generation Costs in 2022, August 2023.

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