il quadro

Smart city, non rassegnarsi al caos che avanza

Sulle smart city sembra mancare una visione strategica organica, e non emergono effettivi e visibili benefici a livello sociale ed economico. Una proposta di legge oggi riformula il concetto di smart city ed evidenzia con chiarezza il caos organizzativo, costruito in quattro anni di iniziative non del tutto coerenti tra loro

Pubblicato il 12 Mag 2016

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E così, con la presentazione della recente proposta di legge che ha lo scopo di “favorire l’innovazione e lo sviluppo tecnologico delle città (smart city)” che prevede la definizione di un piano nazionale per le smart city, ma ridefinendo fortemente il concetto di smart city, la parabola di questo tema rischia di chiudersi anzitempo, prima di riuscire a trarne benefici.

Nella proposta di legge (presentata da oltre venti deputati della maggioranza) la definizione di smart city fa, infatti, un triplo passo indietro, passando da una finalità di “miglioramento della qualità della vita[i] a “i luoghi e i contesti, riferiti agli enti territoriali di livello comunale, metropolitano o di area vasta, nei quali siano stati avviati processi di innovazione ovvero siano stati adottati sistemi tecnologici finalizzati alla gestione innovativa delle risorse e all’erogazione efficiente di servizi integrati”. Gestione delle risorse, efficienza, tecnologia. Ma come si è arrivati a questa possibilità di capovolgimento di temi e obiettivi?

Può essere utile ripercorrere i passi di questo tortuoso percorso:

  • a fine 2012, con il decreto Crescita 2.0, vengono definite delle norme ad hoc, affidando il tema al coordinamento dell’Agenzia per l’Italia Digitale, con istituzione di un Comitato Tecnico, un piano nazionale, e uno Statuto della cittadinanza intelligente, che doveva definire i requisiti da soddisfare da parte di ciascun governo cittadino per essere considerato “virtuoso”. La scelta strategica del governo Monti era quella di puntare al tema delle smart city e delle comunità intelligenti come leva per correlare innovazione sociale ed economica, in un percorso di crescita che partisse dai territori ma che, seguendo indirizzi e monitoraggi centrali, impedisse la deriva di progetti senza visione, facendo sì, come affermava Calderini, allora consigliere all’innovazione del Miur, “che le Smart City non diventassero il parco giochi degli IT vendors ”;
  • nel 2013 il Comitato Tecnico viene istituito, presieduto da Mario Calderini, inizia i suoi lavori, ma via via perde il commitment iniziale, fino alla pratica impossibilità di produrre i risultati prefissati. Anche per la debolezza di alcune scelte normative;
  • nel marzo 2015 il programma Smart Cities&communities viene inserito tra i “programmi di accelerazione” del documento Strategia per la Crescita Digitale, e vengono previste risorse dedicate anche dalla programmazione 2014-2020 (400 milioni dal 2015 al 2020);
  • nell’agosto 2015 il presidente del Comitato Tecnico si dimette, per impossibilità di procedere nelle attività previste e con il Comitato ormai fermo da mesi. Nella lettera si legge che la motivazione è “assenza di una chiara strategia del governo sul tema smart cities e oggettive difficoltà dell’Agenzia a fornire un adeguato supporto”;
  • nel settembre 2015 viene istituita una task force Smart City presso il Ministero dello Sviluppo Economico, con a capo la sottosegretaria Vicari, per il coordinamento delle misure di politica industriale per promuovere città e comuni intelligenti e con la definizione di un piano nazionale, immediatamente declinabile dalle aree metropolitane, e una prima dotazione di 65 milioni;
  • a febbraio 2016 il decreto legislativo sul Cad contiene, tra gli interventi, anche una serie di abrogazioni su altre norme che, insieme al parallelo decreto legislativo 22 gennaio 2016, n. 10 , mettono di fatto una pietra tombale sul tema delle comunità intelligenti come definito nel 2012 dal governo Monti . Di quell’impianto rimane in vita (si fa per dire) solo un oggetto, la piattaforma delle comunità intelligenti, che dovrebbe includere, come già previsto, “ il catalogo del riuso dei sistemi e delle applicazioni, il catalogo dei dati e dei servizi informativi, il catalogo dei dati geografici, territoriali ed ambientali ”, in evidente sovrapposizione con quanto richiesto dal Cad, e un sistema di monitoraggio, di cui non si specificano più gli obiettivi (abrogati anch’essi);
  • ad aprile 2016 viene istituita una seconda task force Smart City presso il Ministero delle Infrastrutture e i Trasporti, con a capo la sottosegretaria Vicari, nel frattempo passata a questo Ministero, “quale cabina di regia e luogo decisionale con funzione di interfaccia tra le direzioni generali competenti, le amministrazioni e gli enti interessati”.

Oggi, la presentazione della proposta di legge da parte di parlamentari della maggioranza è la testimonianza formale di un buco strategico, di un conseguente caos organizzativo, con centri decisionali che agiscono in modo non coordinato su un tema rilevante per il futuro del nostro territorio e della nostra economia.

È come se in questo momento non si vedesse, su questo tema, nessuno al ponte di comando.

Forse, si può suggerire, è il caso di ripartire dalla visione strategica (che oggi non è molto chiara), dalla governance (difficilmente descrivibile), da una razionalizzazione normativa e dalle esigenze del territorio, che sono, di solito, strettamente integrate tra loro. E non sono mai di natura tecnologica.

[i] Dal Vademecum ANCI del 2014: “le Smart cities sono le città che creano le condizioni di governo, infrastrutturali e tecnologiche per produrre innovazione sociale, per risolvere cioè problemi sociali legati alla crescita, all’inclusione e alla qualità della vita attraverso l’ascolto e il coinvolgimento dei diversi attori locali coinvolti: cittadini, imprese, associazioni”.

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