Paniere energetico

Transizione energetica, anche la fusione nucleare avrà un ruolo: eccolo

L’energia da fusione nucleare, disponibile entro il 2050 al massimo, andrà a comporre il paniere energetico, in modo da facilitare la transizione ecologica e abbandonare i combustibili fossili. L’Italia è già ben posizionata nel settore. Facciamo il punto

Pubblicato il 28 Ott 2021

Mirella Castigli

ScenariDigitali.info

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Non solo rinnovabili. Anche la fusione nucleare può giocare la partita per salvare il pianeta, soprattutto grazie agli ultimi avanzamenti tecnologici.

Con la nuova legge sul clima, l’UE si è impegnata a diventare climaticamente neutra entro il 2050, ma per raggiungere questo obiettivo occorre superare gli attuali problemi – aleatorietà, discontinuità e stoccaggio in primis – che affliggono le fonti energetiche rinnovabili (eolico e fotovoltaico): le smart grid non bastano.

Is Nuclear Fusion The Answer To Clean Energy?

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Mentre si cerca di risolvere le problematiche legate all’immagazzinamento delle energie rinnovabili, per garantire sostenibilità energetica e bilanciamento fra consumo e generazione, la fusione nucleare rappresenta una valida soluzione complementare, tanto da attirare sempre più importanti investimenti dei privati, preoccupati per gli allarmi degli scienziati sul riscaldamento globale.

E l’Italia è già ben posizionata: anche nel nostro Paese, la fusione nucleare “già oggi ha importanti ricadute economiche”, sottolinea Piero Martin, professore di Fisica sperimentale presso il dipartimento Fisica e Astronomia dell’Università di Padova, esperto di fusione termonucleare controllata.

L’impatto della fusione nucleare sull’economia italiana

“Anche se dobbiamo ancora produrre l’energia da fusione nucleare, l’Italia già oggi registra significative ricadute economiche dagli investimenti in questo campo: infatti il nostro Paese ha già ricevuto commesse pari a 1,3 miliardi di euro”, commenta Piero Martin.

“Questo significa due cose: innanzitutto, grazie ai finanziamenti europei, alla competitività dell’industria italiana e alle competenze, il nostro Paese sa attrarre investimenti in questo campo e, in secondo luogo, la fusione è un volano anche per la nostra economia”.

Ma come può generare Pil una fonte energetica ancora in fase di studi di fattibilità?

Merito del ruolo nel progetto Iter a cui l’Italia partecipa con il Divertor Tokamak Test facility (DTT) del centro di ricerche Enea di Frascati (che fra i soci conta molti partner industriali, ndr)”. Con grande lungimiranza, “il nostro Paese ha investito oltre mezzo miliardo di euro” nel progetto, continua il professor Martin.

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Il progetto Iter deriva dall’accordo siglato nel 2006 da sette partner globali (Unione europea, Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Russia e Stati Uniti), che hanno formato una cordata che punta a costruire la macchina per la fusione più grande al mondo. Oltre 30 metri di diametro per 25 miliardi di investimento.

Il Divertor Tokamak Test facility (DTT) è nato “per contribuire allo sviluppo di una soluzione affidabile per l’energia e le particelle esauste in un reattore” (come spiega il sito dedicato), e dunque per risolvere i più comuni problemi di una centrale a fusione nucleare. Il progetto è frutto della collaborazione fra Enea, Eni, Create ed altre realtà, fra cui Infn, Consorzio Rfx, Politecnico di Torino eccetera. Il consorzio Rfx è costituito da Car, Enea, Università di Padova, Acciaierie venete.

Si tratta, prosegue Martin, di “un progetto, che studia la fisica avanzata legata alla fusione, ma soprattutto la fattibilità tecnica della fusione nucleare come fonte di energia. Il passaggio successivo sarà poi il coronamento di questi enormi investimenti: la costruzione del primo reattore, per convertire l’energia termonucleare da fusione in energia elettrica; e quindi permettere ai Paesi partecipanti al progetto Iter, Italia compresa, di differenziare il proprio paniere energetico quando finalmente abbandoneremo i combustibili fossili”.

Enormi investimenti che comunque sono “l’equivalente di due giorni di una bolletta elettrica odierna”, dunque: investimenti sostenibili, che hanno già ricadute economiche e che promettono di rendere realizzabile l’agognata transizione ecologica. E, nel frattempo, permettono di costruire gioielli come il potente acceleratore di particelle dell’Università di Padova, l’ateneo che ospitò Galileo e che ora si conferma leader nella ricerca.

Quando il progetto Iter raggiungerà i risultati previsti, verrà attivato il Demonstration Power Plant (Demo), un prototipo di reattore nucleare a fusione progettato dal consorzio europeo Eurofusion che sarà l’erede del reattore sperimentale Iter e dovrà produrre energia elettrica.

Parola d’ordine: differenziare, usando energia pulita e sicura

Ma ovviamente l’impatto sull’economia italiana è solo un tassello di un mosaico ben più vasto e complesso: “perché l’importante è rendere sostenibile e ‘stabile’ il passaggio dai combustibili fossili – il cui uso ha provocato i cambiamenti climatici in atto, ancora da scongiurare – alle fonti rinnovabili, potendo però fare affidamento su un paniere energetico differenziato e comunque green”, senza rischiare discontinuità nella fornitura di energia elettrica.

In queste settimane, per esempio, l’aumento della bolletta energetica è provocata, fra gli altri motivi, anche da una transizione ecologica ancora tutta da definire. Infatti, a causa dei cambiamenti climatici, in Nord Europa la scorsa estate i venti sono stati scarsi e dunque non hanno contribuito a produrre la quantità attesa di energia rinnovabile eolica, costringendo i Paesi a tornare ad acquistare sul mercato più combustibili fossili, il cui prezzo è in ascesa, mettendo anche a rischio la ripresa economica, post pandemia, in Eurozona. Il principale problema delle energie rinnovabili è infatti legato alle enormi difficoltà di stoccaggio energetico: l’energia prodotta con le rinnovabili non si riesce a immagazzinare per fornirla quanto serve.

Dunque, mentre l’industria tecnologica cerca di risolvere questa problematica, non ci resta che differenziare il paniere energetico in era di transizione ecologica. Ma bisogna differenziare, usando energia pulita. E la fusione è una reazione nucleare che alimenta il sole e le stelle, dunque è naturale.

Le energie rinnovabili sono preziosissime, ma nel mondo in cui viviamo serve una fornitura di energia elettrica 24 ore al giorno e sette giorni su sette, senza rischi di black-out. La fusione si propone come l’energia giusta per differenziare e risolvere una parte dei problemi legati alla “de-carbonizzazione”: “Perché offre tre vantaggi: è naturale come il sole, non produce emissioni di CO2, è sicura, infatti non produce scorie ed è illimitata”, spiega il professor Martin che è anche responsabile dell’area Fisica nel DTT Project Board : “La fusione è la fonte di energia inesauribile, pulita e sicura per sostenere la transizione ecologica”.

Nuovi sviluppi tecnologici sulla fusione nucleare

Tutti questi obiettivi sono più raggiungibili grazie agli ultimi sviluppi in materia.

Dagli anni ’90, le startup della fusione sono cresciute, soprattutto in USA, Regno Unito, Francia Canada e hanno raccolto 1,9 miliardi di dollari, secondo studi dell’Authority britannica dell’energia atomica.

Gli investimenti crescono perché la fusione nucleare sta per diventare una tecnologia dirompente.

“L’interessamento e il contributo dei privati è un segnale molto importante e potrebbe perfino accelerare i tempi”, conclude il professor Martin, che ricorda che il punto di partenza è stata la nuova sensibilità ambientale che sta imprimendo un’accelerazione alla riduzione della dipendenza da fonti fossili (oggi usate sia per la mobilità che per produrre energia elettrica, in maniera non sostenibile): “le politiche dei Paesi industriali e in via di sviluppo non possono permettersi di non centrare l’obiettivo del Protocollo di Parigi: bisogna limitare l’aumento della temperatura media globale al di sotto della soglia di 2 °C oltre i livelli pre-industriali, e di contenere tale incremento a 1.5 °C. Ed è qui che entra in gioco la fusione, un tema da trattare con un approccio laico, mentre continuano le ricerche sull’immagazzinamento dell’energia rinnovabile, sulle Smart grid e le persone investono in rinnovabili (eolico e solare, in primis) per generare energia localizzata per uso casalingo”.

“Nessuno ha un piano migliorare per affrontare la tragedia della crisi climatica”, afferma David Kingham, uno dei tre co-fondatori della Tokamak Energy, azienda, fondata nel 2009 con laboratorio fuori Oxford, che ha raccolto 200 milioni di dollari, soprattutto dal mondo privato, con l’obiettivo di riscaldare gli isotopi dell’idrogeno a una temperatura tale da combinare gli atomi in una reazione che rilasci un’enorme quantità di energia. Il prototipo della macchina di Tokamak ha già raggiunto gli 11 milioni di gradi Celsius, ma deve toccare i 100 milioni di gradi Celsius, pari a sette volte la temperatura al cuore del sole: obiettivo atteso per la fine dell’anno. I dipendenti di Tokamak sono decuplicati in sei anni, fino a 180 lavoratori (soprattutto fisici), mentre il lavoro è diventato più sofisticato.

Tokamak, oggi valutata 317 milioni di sterline, intende fare la fusione sfruttando potenti magneti per contenere e comprimere i gas riscaldati, creando una sorta di fulmine in una bottiglia. Il prossimo obiettivo è una fusion machine pilota da un miliardo di dollari, il passaggio intermedio prima di realizzare gli impianti per convertire l’energia della fusione in energia elettrica per l’uso commerciale.

Anche l’italiana ENI, che è maggiore azionista della CFS, partecipata anche dal Mio di Boston, a inizio settembre ha annunciato l’esito positivo del primo test di un supermagnete per contenere la fusione nucleare. CFS stima di realizzare il primo reattore sperimentale entro il 2025, per produrre energia per la rete già nel prossimo decennio. A supportare CFS è anche Breakthrough Energy Ventures (Bev), fondo finanziato da Bill Gates, Jeff Bezos, Richard Branson, Jack Ma e Mukesh Ambani.

Dalle promesse si sta per passare ai fatti. Mark White, direttore del fondo britannico Science & Innovation Sedd, che investì le prime 25 mila sterline ai fondatori di Tokamak, ha dichiarato che l’investimento totale di 400 mila sterline ora vale 7,5 milioni di dollari.

Vinod Khosla, fondatore del venture capital californiano di Menlo Park Khosla Ventures (che sostiene Commonwealth Fusion Sustems, spin-off del Mit), ha spiegato che per rendere la fusione appetibile agli investitori è servito un break up: suddividere l’impresa finale in “milestone” monitorabili via via dagli investitori, per dar la possibilità ai finanziatori di poter verificare il progressivo avanzamento dei lavori, senza rischiare di perdere denaro.

Commonwealth Fusion Sustems, che fra gli investitori conta anche Breakthrough Energy Ventures, ha annunciato un test di successo della versione di un tipo di magnete cruciale per giungere alla fusione.

Conclusioni

La Cop 26 a Glasgow, l’annuale incontro delle Nazioni Unite ora in corso sul cambiamento climatico, punta a fissare gli obiettivi sul clima, a iniziare dal conseguimento di quelli dell’accordo di Parigi, intesa in cui sono anche rientrati gli Stati Uniti guidati dal Presidente Joe Biden.

Per centrare questi obiettivi, la transizione energetica è fondamentale. Differenziare il paniere energetico è l’unico modo per assicurare una transizione di successo, mentre si realizzano sistemi di stoccaggio che consentano la piena integrazione delle energie rinnovabili nella rete. La fusione è una meta lontana, ma a portata di mano.

Ora bisogna convincere gli investitori a passare da finanziamenti a una cifra a investimenti da 50-100 milioni di dollari per un’altra generazione di prototipi. Il ritorno degli investimenti arriverà entro il 2050, tempi lunghi per gli investitori. Ma a spingere sulle startup della fusione e su progetti come il DTT per la fusione made in Italy è necessario un approccio laico e pragmatico alla transizione energetica.

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