World Manufacturing Forum

Una manifattura “verde” grazie al digitale: è possibile, ma la politica si svegli

Il settore manifatturiero attraverso la digitalizzazione può fare la differenza a favore della sostenibilità ambientale, ma la stessa industria chiede che le politiche traccino il cammino in modo realistico

Pubblicato il 21 Ott 2021

Nicoletta Pisanu

Redazione AgendaDigitale.eu

cop26 glasgow

Il settore manifatturiero, quello che il vecchio luogo comune vorrebbe essere regno di macchine fredde e alienanti e invece da tempo è un interessante ambito di innovazione e sviluppo, sta assumendo tinte verdi imponendosi come elemento fondamentale per la realizzazione del paradigma dell’economia circolare attraverso la digitalizzazione.

Con l’aiuto della digitalizzazione, un modo di fare industria più pulito, con meno sprechi e considerando le esigenze ambientali oltre a quelle produttive, può supportare il cambiamento in un’ottica di allineamento alle politiche mondiali ed europee e agli obiettivi posti dall’Agenda 2030. D’altro canto però, proprio alle politiche sul tema l’industria chiede di tracciare il cammino con concretezza e ponendo traguardi raggiungibili, senza, come espresso al Forum dal presidente di Confindustria Lombardia Francesco Buzzella, il rischio di compromettere la competitività.

Una sfida attuale che determina lo scenario dell’industria – e dell’ambiente – del futuro e su cui il dibattito è acceso. Il tema è stato affrontato anche nel corso del World Manufacturing Forum di Cernobbio, durante il quale l’omonima fondazione ha presentato il report “Digitally enabled circular manufacturing”, che offre interessanti punti di riflessione sul rapporto tra digital e transizione verde, fornendo dieci raccomandazioni per favorire tale sviluppo virtuoso.

Le dieci raccomandazioni della WMF e la centralità del Digitale

Le dieci raccomandazioni della Fondazione, rivolte alle aziende per favorire uno sviluppo in chiave di sostenibilità, sono citando testualmente dal report:

  1. Promuovere una mentalità aziendale che abbracci le opportunità della circular economy e il ruolo abilitante delle tecnologie digitali;
  2. Guidare la circolarità attraverso la responsabilità del consumatore, proattività, e un processo decisionale consapevole;
  3. Favorire la cooperazione tra gli stakeholder rilevanti nella costruzione delle catene del valore circolari;
  4. Promuovere modelli di business e value propositions che abbraccino la circolarità;
  5. Implementare politiche globali che riconoscano le tecnologie digitali come principali abilitatori del manifatturiero circolare;
  6. Promuovere misure economiche che guidino la transizione all’economia circolare e l’adozione di tecnologie abilitanti;
  7. Formare la forza lavoro per il manifatturiero circolare abilitato dal digitale;
  8. Fare leva sui dati per supportare la transizione circolare nel settore manifatturiero;
  9. Supportare le PMI nella loro transizione alla produzione circolare;
  10. Affrontare il possibile impatto negativo delle tecnologie digitali.

Emerge quindi in modo importante come la trasformazione digitale sia non solo una priorità per le industrie del settore, ma la vera leva in grado di spingere la transizione verso un modello operativo e produttivo più sostenibile. Come si evidenzia nel report, le tecnologie digitali favoriscono il raggiungimento di tre obiettivi chiave nell’adozione del paradigma della produzione circolare:

  • riduzione delle emissioni
  • riduzione dei rifiuti
  • efficienza delle risorse.

A proposito di fattori abilitanti, Marco Taisch, presidente del competence center MADE e scientific chairman del World Manufacturing Forum, ha commentato che dall’analisi si evince come “la transizione alla produzione circolare sia una priorità per molti governi a livello globale. Le strategie regionali e nazionali per promuovere la circolarità variano per ambizione e approccio, oltre che per fattori abilitanti”. Tra questi, suddivisi da Taisch in relazione a consumatori, aziende e catena del valore, il Digital è sempre presente. Infatti, i fattori abilitanti individuati per la transizione alla produzione circolare dal punto di vista dei consumatori sono:

  • consapevolezza sui temi ambientali,
  • accrescimento di fiducia e trasparenza verso i fornitori di servizi,
  • convenienza e disponibilità dei prodotti sostenibili
  • alfabetizzazione digitale.

Per le aziende, invece, sono:

  • domanda di prodotti sostenibili
  • implementazione delle tecnologie digitali
  • competenze circolari.

Relativamente alla catena del valore, invece, il report individua tali necessità:

  • migliorare la condivisione dei dati
  • avere infrastrutture e reti più performanti,
  • standardizzare i requisiti.

Manifattura circolare, le sfide della politica

Dunque la digitalizzazione va a braccetto con il paradigma stesso del circular manufacturing, fungendo da supporto per le industrie nel superaramento delle sfide che si pongono a livello mondiale in ottica ambientale, in primis la sempre più minacciosa scarsità di materie prime e, in generale, di risorse, ma anche l’ampia produzione di rifiuti e il sempre presente inquinamento. L’indirizzo è condiviso, o meglio dettato, dalle politiche internazionali sul tema e dagli obiettivi posti a livello mondiale, come quelli per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 Onu o i traguardi previsti dall’Accordo di Parigi.

Green Deal UE e timori per la competitività

Nello stesso contesto si pone il Green Deal europeo con l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, uno degli ultimi tasselli di un lungo percorso dell’Unione europea verso una maggiore sostenibilità, a cominciare dai primi obiettivi inseriti nel Trattato di Amsterdam del 1997. Nel marzo 2020 è stato presentato dalla Commissione UE il Piano d’azione per l’economia circolare, in cui la circolarità viene trattata come leva fondamentale per raggiungere l’obiettivo di una comunità più verde ma anche più competitiva.

Questa visione però non manca di punti critici in relazione a imprese e cittadini. Come ha spiegato Francesco Buzzella, presidente di Confindustria Lombardia e della World Manufacturing Foundation nel corso dell’incontro di Cernobbio, l’industria è al centro di questo processo di transizione green ed è pronta “a ripensare modelli organizzativi e processi produttivi, ma spetta alle istituzioni indicare la strada da percorrere. Il mondo si sta muovendo verso la decarbonizzazione ma le varie aree economiche lo stanno facendo in tempi e modi molto diversi”. Per Buzzella in particolare, “l’Europa, pur rappresentando meno del 10% delle emissioni globali, si pone obiettivi sfidanti che però possono avere ripercussioni pesanti su cittadini e imprese se non ancorate alla realtà, col rischio di penalizzare la competitività dell’industria europea nei confronti di aree del mondo quali USA e Cina”.

Industria green e digital in Italia: dal PNRR a Transizione 4.0

Anche le politiche industriali italiane a livello nazionale si inseriscono in questo scenario.  La transizione verde è contemplata nel Documento programmatico di bilancio approvato il 19 ottobre dal Consiglio dei Ministri, cioè la carta che individua gli indirizzi di bilancio del prossimo anno. Si spiega in particolare, nel presentare l’avanzamento dei lavori relativi al cronoprogramma del PNRR, e in particolare delle riforme, l’introduzione di “importanti misure di semplificazione di procedure che incidono in alcuni dei settori oggetto del PNRR (tra cui la transizione ecologica e la digitalizzazione) al fine di favorire la completa realizzazione dei progetti”. Proprio il PNRR infatti destina buona parte delle risorse alla Rivoluzione verde: 68,6 miliardi di euro in tutto. Un aspetto importante per comprendere come il percorso verso la transizione verde sia una priorità su cui lavorare anche in un’ottica di rilancio dopo la crisi dovuta alla pandemia.

La transizione ecologica nel PNRR: bene, ma ora servono riforme

Il Documento programmatico inoltre pone l’intenzione di prorigare alcune misure del piano Transizione 4.0. Il piano Transizione 4.0, ricordiamo, tra le sue misure annovera attualmente anche il Credito d’imposta in ricerca, sviluppo, innovazione e design, che prevede un’aliquota del 15% per le imprese che investono in tecnologie innovative con il fine di realizzare prodotti o processi per raggiungere l’obiettivo di transizione ecologica o digitale.

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