La necessità da parte delle aziende di coniugare capacità esistenti e nuove opportunità derivanti principalmente da progressi tecnologici ha reso sempre più frequente la predisposizione a effettuare investimenti in capitale di rischio di società quali PMI e startup innovative.
Che cos’è il corporate venture capital
È con l’unione dell’approccio industriale a quello finanziario che si costituisce quindi la strategia di investimento chiamata Corporate Venture Capital (CVC), che si prefigge l’obiettivo di identificare, finanziare e realizzare soluzioni che consentano di innovare i modelli industriali tradizionali e guadagnare un vantaggio competitivo, nuove quote di mercato e tipologie di clienti.
Non si tratta quindi solamente di una serie di investimenti mirati nella verticale in cui l’azienda opera, bensì una leva chiave per fare Open Innovation, con un importante arricchimento dell’ecosistema innovativo. Questo tipo di investimento, infatti, non offre solo un potenziale ritorno finanziario (ovvero massimizzare il portafoglio investito, caratteristica principale dei fondi di Venture Capital, VC) ma consente alle aziende di accedere a nuove tecnologie e modelli di business, e alle Startup/Scaleup l’accesso a importanti capitali e fonti di finanziamento più strategiche. Da segnalare inoltre che sono sempre più frequenti anche i casi di apertura all’investimento, con situazioni di coinvestimento tra Corporate venture Capital e fondi più “generalisti”.
Origini del corporate venture capital e il mercato italiano
La prima operazione strutturata di CVC viene fatta risalire al 1914 negli Stati Uniti, tra le società DuPont e General Motors (con investimenti strategici della prima, società chimica, nello sviluppo interno della seconda, “start up” costituita sei anni prima). Da allora si è assistito a una crescente attività da parte di primarie Corporate, inizialmente spinte dall’esigenza di ampliare le quote di mercato (Exxon, Dow, Boeing, Monsanto) o per diversificare i settori in cui operare (Exxon) con momenti di forte espansione alternati a rallentamenti per motivi congiunturali e macroeconomici (Grande Depressione, Incremento Capital Gain tax, Crisi Energetica/Shock petrolifero, crisi mercati finanziari), ma con una tendenza di crescita comunque solida.
Per quanto riguarda il mercato italiano una attenta fotografia delle startup e PMI partecipate da CVC può essere trovata nell’analisi prodotta da quasi un decennio dall’Osservatorio Open Innovation e Corporate Venture Capital, che riporta in maniera puntuale dimensioni, impatto e le più rilevanti esperienze di Open Innovation realizzate grazie ai principali player di CVC.
Traendo spunto da quanto verificatosi nei decenni passati e andando a vedere più in dettaglio le motivazioni per cui una azienda potrebbe decidere di adottare un approccio tramite CVC possiamo identificare:
- la necessità di colmare un divario tecnologico tramite soluzioni detenute dalle startup (il cosiddetto “accesso all’innovazione”) e di allineare obiettivi e interessi strategici delle stesse con quelli della società madre;
- l’apertura a paesi emergenti, mercati non presidiati o poco conosciuti, e in ogni caso a profili ed esigenze di clienti non già studiati e serviti;
- la possibilità di diversificare il proprio portafoglio di partecipazioni, mitigando i rischi di concentrazione investimenti sul core business e creando decorrelazione fra gli asset detenuti.
I diversi approcci del corporate venture capital
Con riferimento alla strategia di investimento e modalità di implementazione utilizzata l’azienda può decidere di procedere seguendo diversi approcci. Il primo è quello dell’investimento diretto (modello “Balance Sheet”) ove non si crea un veicolo dedicato e ci si limita ad utilizzare processi e risorse già esistenti. A fronte di questa scelta, che comporta indubbiamente semplicità di struttura, i processi decisionali rischiano di rimanere rigidi e lenti, o almeno non allineati alla velocità della startup target. Laddove invece sia più sentita l’esigenza di sviluppare una visione di insieme di uno specifico settore si procede con la costituzione di un veicolo ad hoc o fondo interno dedicato (modello “General Partner”), mantenendo così allo stesso tempo autonomia sugli investimenti e separazione degli stessi da asset esistenti. La scelta comporta ovviamente la previsione di un capitale dedicato adeguato, che sia anche compatibile con i tempi e costi delle relative procedure organizzative. Se infine la componente di investimento e di realizzazione di obiettivi finanziari prevale sulla volontà di esprimere un potere decisionale, la soluzione più adeguata risulta quella del modello “Limited Partner”, ovvero di coinvestimento con altri soggetti (banche, fondi VC, fondi di Private Equity, altre aziende o soggetti istituzionali quali Cassa Depositi e Prestiti) senza partecipare in maniera rilevante alla governance del veicolo utilizzato.
Business angel e corporate venture capital, una sinergia tutta da sviluppare
È forse questa la fattispecie ove ci possono essere più sinergie con il mondo dell’Angel Investing (individui o gruppi di privati investitori in associazione per valutare opportunità di investimento nelle quali apportare capitali e network personali, oltre alle proprie capacità professionali maturate) e dei Family Offices (strutture indipendenti nate a servizio della gestione di grandi patrimoni privati).
L’approccio è quello del Club Deal, con una logica di ritorno assoluto (“Total Return”), finalizzato a trovare una exit in un periodo di investimento di medio termine (e comunque non inferiore a 5-6 anni).
E il modus operandi caratteristico dei gruppi di business angels più strutturati, ossia prevedere una attività di screening di mercato e analisi opportunità, una definizione di soft commitment sull’investimento da convertire successivamente in hard commitment (con la creazione di un veicolo dedicato o mandato fiduciario) e la gestione del portafoglio così creato fino alla dismissione della partecipazione risulta affine alle principali fasi di un CVC: Origination (approccio “Fix the Weakness” o “ Build on Strenght”: il primo è adottato da società che tendono a prendere ispirazione dalle nuove tecnologie, avendo un processo tecnologico interno lento od obsoleto; il secondo è adottato dalle società con una posizione leader per consolidare il proprio vantaggio), Execution, Portfolio Management ed Exit.