Codice amministrazione digitale

Che resterà del CAD dopo la riforma? Ecco tutte le modifiche necessarie

Il principale obiettivo della revisione del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) dovrebbe riguardare l’individuazione e il progressivo adeguamento degli articoli dai contenuti ritenuti ormai obsoleti e contraddittori. Quelli che non tengono in considerazione le altre normative di settore e che non rispondono alle esigenze di semplificazione delle procedure e razionalizzazione delle risorse più volte evocate nel testo della Riforma. Ma ci sono dubbi si riesca a farlo

Pubblicato il 21 Dic 2015

Andrea Lisi

Coordinatore Studio Legale Lisi e Presidente ANORC Professioni

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Le pubbliche amministrazioni hanno bisogno di un restyling normativo, tecnologico e procedurale. Questo ha deciso il legislatore, il quale ha provveduto a dettagliare gli elementi da correggere nella Legge di riforma della PA n. 124/2015 – approvata dal Parlamento lo scorso 4 agosto – dando, quindi, delega al Governo di riformare l’apparato amministrativo pubblico.
Uno degli obiettivi della Riforma è anche la revisione del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD)[1], il corpus di leggi comprendente i principali riferimenti normativi in materia di organizzazione e innovazione dei processi di e-government.


Lo scorso 9 dicembre, ANORC – Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione digitale – è stata invitata a partecipare alla riunione della Consulta Permanente per l’innovazione, coordinata da Stati Generali dell’Innovazione, che si è svolta presso la Camera dei Deputati.
L’Associazione è stata chiamata in causa perché attualmente impegnata nei lavori di revisione del Codice e attiva in uno dei tavoli – ai quali partecipano i principali esperti del digitale – che coinvolgono anche vari esponenti della politica, al fine di contribuire all’individuazione e alla revisione degli articoli dai contenuti ritenuti ormai obsoleti e contraddittori, che non tengono in considerazione le altre normative di settore e che non rispondono alle esigenze di semplificazione delle procedure e razionalizzazione delle risorse più volte evocate nel testo della Riforma.
Il presupposto fondamentale dei lavori in corso è l’attuazione di modifiche che rispettino l’essenza stessa del Decreto Legislativo 82/2005, che deve poter rappresentare un corpus organico, di principi esclusivamente generali, deve poter essere dunque autoconsistente, in grado di mantenere forza dispositiva e validità normativa nel tempo e resistere più a lungo possibile alle continue e inevitabili evoluzioni imposte dalle tecnologie.
I suggerimenti degli esperti hanno sottolineato innanzitutto la necessità di un coordinamento del Codice con le disposizioni più recenti, emanate sia a livello nazionale sia nell’ambito dell’Unione europea.

Gli articoli sui quali si pone la maggiore attenzione riguardano l’identità digitale, la sottoscrizione elettronica dei documenti, le procedure di gestione documentale, il diritto di accesso e di trasparenza amministrativa.
Affinché l’amministrazione statale possa sviluppare processi interni automatizzati, efficienti e davvero democratici, è fondamentale innanzitutto pianificare e imporre l’applicazione di procedure logiche e tecnologiche tali da consentire alle imprese private e al (futuro) cittadino digitale di partecipare in modo attivo all’iter procedimentale e di interagire in modo facilitato e a distanza con l’amministrazione, attraverso canali di comunicazione, scambio e condivisione virtuali, appositamente predisposti, ma sicuri e in grado di garantire la provenienza, l’autenticità e l’integrità delle informazioni trasmesse.


La mancanza di organicità con altre normative, inoltre, potrebbe essere superata attraverso l’emanazione di un testo unico, che accolga e riunisca i contenuti legislativi dei due DPCM del 3 dicembre 2013 e del 13 novembre 2014 in materia di formazione, gestione e conservazione dei documenti digitali, ma anche di tutte le altre regole tecniche attualmente in vigore.
Tale operazione potrebbe consentire innanzitutto di aggiornare e rivedere la normativa di carattere tecnico, allineandola alle precedenti disposizioni. Nel caso specifico andrebbero anche armonizzate le regole tecniche sul protocollo informatico con gli articoli del DPR 445/2000 – il testo unico in materia di documentazione amministrativa cui troppo spesso il DPCM rimanda, creando confusione nell’individuazione delle corrette procedure da adottare -, per quanto attiene in particolare alle misure organizzative e funzionali interne all’amministrazione e di registrazione informatica dei documenti ricevuti e spediti dalla PA.

Non è possibile ignorare, come già accennato, quanto imposto dall’ordinamento dell’Unione europea.
A luglio 2016 entrerà, in effetti, in vigore il Regolamento EU n. 910/2014 (eIDAS) in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno, norma di rango comunitario che dovrà essere recepita in modo automatico da tutti gli Stati membri.
Appare inevitabile apportare le variazioni agli articoli del Codice in considerazione del necessario coordinamento con quanto disposto da tale Regolamento, accogliendo le evoluzioni da esso dettate a partire proprio dalle definizioni in esso presenti, così da consentire il doveroso raccordo fra le stesse e l’adozione di principi condivisi con i quali costruire strategie valide a livello sovranazionale. In estrema sintesi, secondo noi dell’associazione ANORC i punti irrinunciabili per le modifiche del Codice dell’Amministrazione Digitale sono questi:

1) il CAD andrebbe totalmente riscritto, sintetizzato e reso davvero un Codice, ma per farlo è necessario il “giusto tempo” che speriamo ci sia (ci sono tempi tecnici indispensabili per far maturare una vera riforma che abbia un senso compiuto, altrimenti continuiamo a “rattoppare” un testo normativo che ormai ha perso irrimediabilmente la sua sistematicità e organicità).

2) considerato il punto 1, suggeriamo in ogni caso di assicurare quanto meno l’indispensabile coordinamento con il Regolamento eIDAS (e le sue definizioni), evitando così contraddizioni e incongruenze.

3) sarebbe utilissimo coordinare il CAD anche con il Codice dei beni culturali (ci sono differenze e contraddizioni tra queste due fonti primarie).

4) importantissimo sarebbe inserire nel CAD una clausola di prevalenza su altre normative precedenti e successive che si interessino di digitale.

5) è indispensabile prevedere invece un Testo Unico contenente tutte le regole tecniche tra loro coordinate (e dove confluisca anche la parte del DPR 445/2000 che contiene oggi il protocollo informatico con norme che sono a volte in contraddizione con le attuali regole tecniche sul protocollo informatico). In questo modo potremmo davvero favorire una convergenza sistematica e coordinata di tutte le regole tecniche in materia di digitale.

Ci permettiamo di fare due ulteriori riflessioni:

a) si sta effettivamente ragionando su una modifica del Codice senza avere un minimo di bozza di riferimento su cui “prendere appunti” e fare valutazioni, mentre sappiamo che dovrebbe attualmente esistere quanto meno una commissione (più o meno formalizzata) che le modifiche le sta portando avanti… possibile che tutto sia ancora così “segreto” in Italia (quando invece parliamo di trasparenza e FOIA)? Non sarebbe il caso di garantire almeno la pubblicazione dei testi in lavorazione (o ormai semi-definitivi) e quindi una consultazione pubblica su CAD e FOIA, come da più parti sollecitato?

b) a proposito di FOIA, a nostro parere occorre fare attenzione a non innamorarsi troppo della common law americana. Va benissimo la trasparenza, ma ricordiamoci che apparteniamo a un ordinamento più complesso, quello comunitario, dove tutto va soppesato con attenzione, tenendo in considerazione l’altrettanto importante principio della protezione del dato.

Al momento, alcuni tra gli esponenti politici più attivi nel campo dell’innovazione tecnologica stanno comunque cercando di favorire l’ascolto e il dialogo tra le istituzioni, i professionisti e gli esperti del settore e stanno valutando le diverse istanze poste alla loro attenzione. Questo è senz’altro apprezzabile.
Non è dato ancora sapere con certezza, però, quanti tavoli siano al momento attivi e se esista già un documento attuativo, quali domande poste all’attenzione del legislatore riceveranno risposta e resta anche il dubbio riguardo l’attuazione concreta delle soluzioni offerte.
Dobbiamo però certamente continuare a credere nel valore aggiunto che una “cittadinanza attiva” rappresenta per un Paese, a confidare nell’efficacia dei meccanismi della democrazia partecipativa e attendere che il legislatore esprima parere definitivo.

[1] D. Lgs. 82/2005.

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