CASI DI STUDIO

Così il comune di Bologna si fa virtuoso con gli opendata

La Pa del capoluogo emiliano ha fatto una scelta intelligente: coinvolgere con bandi pubblici competenze e professionalità esterne che possano lavorare i dati rilasciati dal comune. In questo modo si fa fronte ai limiti dei budget e si riesce a integrare il patrimonio interno, non solo a costi contenuti, ma facendo anche network. Un esempio che possono seguire anche altre realtà sul territorio, alle prese con risorse limitate.

Pubblicato il 24 Dic 2013

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Che succede se un’amministrazione pubblica ha l’obbligo di rilasciare i propri dati, ma non dispone delle risorse sufficienti per lavorarli? Succede che si aguzza l’ingegno e, in una filosofia di apertura e partecipazione, si riescono a sfruttare competenze diverse che concorrono a lavorare quegli stessi dati pubblici quasi a costo zero. È la scelta intelligente del Comune di Bologna.

Com’è noto le Pa, dopo la direttiva dell’Unione europea e i successivi decreti nazionali (uno su tutti, il decreto trasparenza del 14 marzo scorso), sono obbligate a rendere accessibili al cittadino dati, informazioni e documenti in loro possesso, in maniera trasparente. L’amministrazione bolognese è riuscita a coinvolgere la popolazione, attraverso l’attivazione di bandi locali sui temi dettati da Agenda digitale.

Un esempio concreto è stato l’evento che si è tenuto lo scorso 27 novembre, all’Urban Center di Bologna, in collaborazione con Iperbole (la rete civica del comune) e l’Ordine dei Giornalisti della città, nell’ambito del progetto Agenda digitale locale. “Abbiamo pensato di sviluppare un hackathon di datajournalism, strutturato in una giornata di formazione teorica e pratica della durata di otto ore”, racconta Andrea Nelson Mauro, di Dataninja, il network cofondato con Alessio Cimarelli, che si è aggiudicato il primo bando.

“Una trentina tra giornalisti, sviluppatori, professionisti, analisti e civic activist, distribuiti in gruppi compositi, hanno lavorato su alcuni dataset, rilasciati dal comune di Bologna. Diverse le tematiche: dai servizi scolastici al consumo di acqua ed elettricità; dalle spese per incarichi, consulenze e beni del comune fino all’edilizia popolare”. Ciascun gruppo ha poi ripulito, rielaborato e visualizzato i dati esaminati, producendo delle analisi su ciascuna disciplina affrontata. Analisi con cui la Pa potrà arricchire il proprio patrimonio.

“Il bando era volto a favorire la partecipazione e il trasferimento di know-how”, prosegue Andrea Nelson Mauro. “Cinquemila euro complessivi, di cui 4mila di finanziamento pubblico per la giornata formativa della Dataninja school – dove il comune ha messo a disposizione gli spazi – e un secondo modulo legato alla visualizzazione interattiva degli open data”.

Il primo bilancio è positivo: “C’è ancora molto lavoro da fare e il modulo è da affinare, ma il dato interessante è che le Pa, in questo preciso momento, si stanno muovendo in maniera molto più rapida delle realtà private. Il progetto che abbiamo sperimentato consente di produrre, in appena una giornata, risultati concreti a costi contenuti. Si coinvolgono professionalità diverse che collaborano, integrando le proprie competenze, con l’obiettivo di fare rete in una community che continui a occuparsi di dati, un po’ come Spaghetti opendata, il network già presente. È un esempio virtuoso che possono seguire anche altri comuni”, conclude.

In realtà la sensibilità della città per i temi legati al digitale e all’innovazione affonda le radici in tempi non sospetti, quando l’attenzione a tematiche simili non era forte come oggi, come spiega Leda Guidi, Responsabile di Agenda Digitale del Comune di Bologna e project manager della rete civica Iperbole: “Bologna, in un certo senso, è stata pioniera in tutto ciò che concerne l’innovazione. La rete civica Iperbole – la prima in Italia e la seconda a livello europeo, dopo Amsterdam – compie vent’anni l’anno prossimo, tanto che a giugno è previsto il lancio della sua versione aggiornata. Anche la nostra Pa ha sempre adottato una politica di investimenti infrastrutturali, focalizzati sulla riduzione del digital divide e alla realizzazione di una rete a banda larga che colleghi edifici pubblici e scuole”.

L’agenda digitale locale, infatti, ha promosso i bandi per gli opendata, nel quadro dell’approvazione del secondo piano telematico dell’Emilia-Romagna (PiTER) 2011-2013, accogliendo la direttiva dell’Ue che, nello stanziare i fondi strutturali 2014-2020, ha sollecitato i comuni ad assumere più peso nelle politiche dei governi nazionali.

“I bandi – prosegue Leda Guidi – sono nati dopo un percorso di circa un anno in cui abbiamo attivato incontri on e off line, rivolti alla città, per sollecitare un dibattito con la comunità locale. Volevamo fotografare lo stato delle cose, e, al contempo, comprendere quali fossero le esigenze della cittadinanza. Per fare questo abbiamo coinvolto gli attori sociali e i privati. Si può dire che i bandi sono ritagliati su misura delle specifiche richieste dei bolognesi”.

A partecipare sono state le associazioni no profit, le scuole, l’Università, le piccole imprese e i liberi professionisti, sfidandosi sui temi come le smartcities, l’opengov, le startup e “internet come diritto”. Centomila euro di budget previsto, da destinare a 20 progetti, selezionati su una rosa di 113, da una commissione interne alla pa, costituita da amministrativi, tecnici e informatici. Il comune ha offerto sostegno, servizi, contributi e location anche a coloro che non hanno superato la selezione.

“Nonostante il bando fosse piuttosto generico – spiega la responsabile di Agenda Digitale – i progetti arrivati in cima alla graduatoria sono legati da una caratteristica comune: non hanno puntato tanto sulla tecnologia, quanto sul fatto di coinvolgere la comunità locale. Nel caso degli opendata, ad esempio, è stato interessante valutare la reazione dei destinatari dei nostri dati. Se nella fase di rilascio, l’impostazione del comune è stata quella di porre attenzione all’accuratezza del dato, ci interessava capire come poi un pubblico di giornalisti, statistici, sociologi potesse rielaborarlo e proporlo: l’hackathon è stato istruttivo anche per questo. Inoltre – prosegue – il risultato della giornata non è da intendersi come un punto d’arrivo, ma piuttosto come uno di partenza. A partire dalle analisi prodotte, si può infatti immaginare di sviluppare servizi, app, o inchieste di datajournalism: è un trainig reciproco”.

Ma com’è stato il lavoro di raccolta dati? Lungo e faticoso, a giudicare da quanto racconta Pina Civitella, responsabile dei sistemi informativi del comune di Bologna, a capo di un team di 4 dipendenti, per l’opendata Bologna. “Il progetto è durato circa due anni – racconta – In questo periodo abbiamo percorso le fasi di ricognizione, ricerca interna, sistematizzazione dell’opendata index, e pubblicazione dei dati. Abbiamo sviluppato il sito in drupal open source e lavorato alla banca dati. Per la messa online del materiale ci siamo dotati di una redazione, dove altre due risorse hanno stilato le linee guida, tenuto contatti coi fornitori di dati, coordinati da un supervisore. Naturalmente i settori coinvolti interni alle pa hanno seguito dei corsi di formazione per far sì che fossero poi autonomi nella pubblicazione e nell’aggiornamento”. All’implementazione del sito è poi seguita una fase di comunicazione pubblica e coinvolgimento della comunità anche attraverso i bandi.

Nello stesso tempo, il comune di Bologna ha aderito al progetto OpenMunicipio, la piattaforma internet dove confluiscono i dati politico-amministrativi ufficiali, forniti dai singoli Comuni, per distribuire i dati in formati aperti e offrire servizi gratuiti di informazione, monitoraggio e partecipazione attiva alla politica cittadina. Sono state pubblicate infografiche, mappe georeferenziate, dati delle società partecipate del comune, e un sistema che monitora l’iter delle richieste di accesso a nuovi dati.

Un lavoro che sarebbe stato impossibile senza l’attenzione della politica. Matteo Lepore, giovane assessore all’Innovazione del comune di Bologna, sottolinea che il progetto è stato implementato con risorse e competenze interne: “Vogliamo che questo diventi un metodo e un nuovo approccio virtuoso che possano seguire altri comuni. A livello nazionale, realtà simili sono state sperimentate anche a Torino e Firenze. Noi disponiamo di community manager che dialogano con le associazioni e le imprese sul territorio, sui temi di Agenda digitale. Il discorso ormai è stato avviato, e la cittadinanza segue. Non c’è più un approccio passivo. Per fare un esempio concreto, il trasporto pubblico locale ha liberato orari e linee di viaggio e i cittadini hanno sviluppato delle app per utilizzare i mezzi pubblici. Ci piacerebbe anche che i giornalisti potessero utilizzare i nostri dataset per produrre inchieste e reportage. Sono già nati dei workshop spontanei di datajournalism, a tal proposito”.

La buona pratica bolognese è intanto stata replicata anche a Modena e Cesena, anche grazie ai finanziamenti della Regione Emilia Romagna.

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