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PA digitale, la figura che manca: un “aggregatore” per la trasformazione

Il Responsabile per la transizione al digitale è reputata una figura decisiva per la trasformazione delle PA. Quello che è stato dimenticato da tutte le istituzioni preposte è, però, che serve un aggregatore che funga da accompagnatore della trasformazione. Il prossimo Piano triennale dovrà colmare questa lacuna.

Pubblicato il 13 Dic 2018

Giovanni Gentili

Coordinatore tecnico della Commissione ITD delle Regioni e Province autonome & Dirigente Politiche di sostegno alla digitalizzazione in Regione Umbria

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Il prossimo Piano triennale dovrà necessariamente stabilire chi farà da aggregatore per la transizione digitale: nell’era di internet, è proprio il concetto di “aggregatore” ad essere decisivo per lo sviluppo degli ecosistemi di servizi, sempre di più rispetto ad infrastrutture e piattaforme. Ci sono buoni motivi perché tale ruolo sia svolto da Regioni, Città metropolitane e Province in ottica sussidiaria come stabilito dalla Costituzione. Perché, se come previsto dal Cad, si lascia a ogni ente la possibilità di convenzionarsi questo vuol dire andare incontro a tempi biblici e un risultato finale senza nessuna logica complessiva di aggregazione territoriale. Né appare possibile che tutte le PA si dotino di un responsabile per la transizione al digitale (RTD), figura considerata perno della transizione al digitale, almeno non nei tempi brevi che la necessità ed urgenza della situazione impone. Vediamo, quindi, tutte le criticità di questo importante percorso di trasformazione, e come affrontarle per non perdere l’occasione di riformare il Paese in ottica digitale.

Da dove iniziare

L’istituzione dell’Ufficio per la transizione al digitale (UTD) e del relativo Responsabile per la transizione al digitale (RTD) è reputata unanimemente la mossa decisiva per la trasformazione digitale delle PA e, di conseguenza, fattore imprescindibile della competitività dell’intero Paese.

La stessa Circolare n.3 del primo ottobre 2018 del Ministro Bongiorno ha giustamente richiamato l’importanza dell’operazione. A chi è indirizzata la circolare? “Alle Amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” …secondo le stime parliamo di 20/50mila soggetti dotati di autonomia funzionale e finanziaria.

Ma da dove deve iniziare una di queste migliaia di amministrazioni?

Per nominare un Responsabile per la transizione al digitale e fare le relative modifiche organizzative, è necessario che la PA abbia chiaro cosa è la “transizione al digitale”. Ma perché una PA abbia chiaro cos’è, dovrebbe già avere un Responsabile per la transizione al digitale che fornisce all’ente quelle competenze di e-leadership e visione necessarie: un paradosso, volutamente provocatorio, solo per evidenziare che di fronte ad un cambio di paradigma di dimensioni epocali come quello che viviamo, appare difficile che la creazione di queste figure sia fatta in autonomia dagli enti, per via ordinaria e senza incrementi di organico.

Ancora più paradossale pensare che anche un piccolo comune nomini Responsabile per la transizione al digitale il Segretario comunale (o un altro malcapitato) smarcando così l’ennesimo, incomprensibile, adempimento.

È necessario quindi un grande percorso di accompagnamento a questo cambiamento organizzativo, e non basterà riunire i Responsabili per la transizione al digitale in una conferenza permanente se questi saranno nominati formalisticamente, senza avere a disposizione le necessarie leve organizzative e centri di competenza per “fare cose”.

Possiamo trincerarci dietro un facile “fermo restando l’autonomia organizzativa” oppure domandarci chi fornirà ai vertici delle PA, le competenze necessarie inizialmente per la revisione della propria organizzazione affinché UTD e Responsabile per la transizione al digitale non siano un vuoto adempimento.

La mission del Responsabile per la transizione al digitale

Per rispondere, occorre chiarire la mission del Responsabile per la transizione al digitale, evitando di identificarla con figure preesistenti.

Solitamente, quando si presenta il contenuto dell’art.17, si parte con il nutrito elenco di compiti, dalla lettera a) alla lettera j-bis)… ma viene saltata la prima parte del comma 1, che è la più importante:

(..) ciascuna pubblica amministrazione affida a un unico ufficio dirigenziale generale, fermo restando il numero complessivo di tali uffici, la transizione alla modalità operativa digitale e i conseguenti processi di riorganizzazione finalizzati alla realizzazione di un’amministrazione digitale e aperta, di servizi facilmente utilizzabili e di qualità, attraverso una maggiore efficienza ed economicità. Al suddetto ufficio sono inoltre attribuiti i compiti (..)” e via con il noto elenco.

Il cuore è quindi arrivare a servizi facilmente utilizzabili e di qualità, in una amministrazione che sfrutta il digitale per funzionare (digital first) e che è aperta alla collaborazione (open gov). Per questo vengono poi elencati una serie di altri compiti che, in pratica, assegnano al Responsabile per la transizione al digitale il coordinamento di varie figure esistenti in maniera funzionale alla sua mission: Responsabile dei sistemi informativi e della sicurezza IT, Responsabile della comunicazione istituzionale, Responsabile dell’organizzazione e della semplificazione, Responsabile anticorruzione e trasparenza, DPO, Responsabile della gestione documentale e della conservazione, Responsabile degli acquisti, ecc

La stessa Circolare n.3/2018 del Ministro per la PA nel richiamare le PA a nominare il RTD sottolinea la mission fondamentale quando dice che “(..) la rilevanza di una tale previsione nell’ordinamento giuridico italiano denota la volontà del legislatore di ricondurre immediatamente al vertice dell’amministrazione la governance (..) della transizione del Paese al digitale, attraverso la realizzazione di servizi pubblici rivisitati in un’ottica che ne preveda la piena integrazione con le nuove tecnologie e non più la giustapposizione di queste ultime alle esistenti forme di organizzazione.

I compiti del Responsabile per la transizione al digitale

Quindi, oltre a coordinare altre figure, qual è il “proprio” del Responsabile per la transizione al digitale e della sua struttura organizzativa UTD?

  • ridisegnare i servizi pubblici (service design) e amministrazione aperta e centrata sulle esigenze dell’utente (co-design)
  • gestire correttamente i dati per decidere (data science) e per garantire vera interoperabilità/integrazione (BPMN)
  • integrazione con l’organizzazione (enterprise architecture per avere una visione complessiva di tutti i domini: processi di business, dati e applicazioni, infrastrutture tecnologiche e fisiche)

Tali competenze specialistiche devono per forza essere presenti all’interno dell’Ufficio per la transizione al digitale o comunque essere a sua diretta disposizione attraverso centri di competenza condivisi.

Ma queste sono competenze specialistiche oggi molto (molto) rare negli uffici delle amministrazioni e rappresentano profili professionali usualmente ignoti a chi gestisce concretamente piani di fabbisogno del personale e concorsi. Non è con singoli casi virtuosi che si può portare avanti un cambiamento della portata enunciata dal legislatore.

E non basta dire che bisogna assumere “in via prioritaria” digitalizzatori e semplificatori. Il termine “via prioritaria” può voler dire tranquillamente zero. Che contingente obbligatorio di assunzioni sarà dedicato a discipline come service design, data science e enterprise architecture? Discipline queste che sono tutte inquadrate in best pratice, standard e certificazioni internazionali, non certo roba “il cugino bravo con il computer“.

Cos’è davvero la transizione al digitale

Per evitare di rendere del tutto inutile (se non un doppione) la nuova struttura e la nuova figura, bisogna evitare di “relegarla” nel perimetro troppo stretto dei soli servizi on line o dei sistemi informativi. Il compito dell’RTD non può essere solo di integrare SPID e PagoPA nei sistemi esistenti o occuparsi di gestione documentale. Non è certo questa la transizione al digitale e creare un UTD/RTD per fare questo crea solo nuovi conflitti.

Occorre considerare il digitale secondo la magnifica definizione di Tom Loosemore: “Applicare la cultura, i processi, i modelli di business e le tecnologie dell’era di Internet per rispondere alle aspettative crescenti della gente” (da definitionofdigital.com).

Molte volte un servizio migliora grazie a una diversa logica abilitata dal digitale, senza per forza diventare tutto online. Semplicemente perché quel servizio funziona meglio al telefono o di persona.

E invece continuiamo a mettere on line servizi orribili, perché uguali a quelli pre-esistenti.

Chi si occupa di ridisegnare i servizi in una nuova logica di accesso centrata sull’utente ed indipendente dai numerosi uffici ed enti chiamati a fare qualcosa dietro le quinte? L’RTD.

E quindi occorre considerare il concetto di “servizio pubblico” nel suo significato più ampio, come peraltro delineato dal profilo profilo CPSV-AP_IT (di AgID) e dalle nuove “Linee guida del Modello di Interoperabilità” (ModI 2018) in corso di stesura.

Lo stesso art.17 del CAD distingue chiaramente tra servizi pubblici e servizi in rete. Quando parla di “servizi pubblici rivisitati” e di “migliorare la qualità dei servizi” si fa riferimento ai servizi pubblici in generale, mentre in altre parti si parla di “una più efficace erogazione di servizi in rete” quando si fa riferimento specifico a servizi on line e siti web che hanno una precisa definizione nel CAD all’art.1, comma 1, lettera n-quater): “servizio in rete o online: qualsiasi servizio di una amministrazione pubblica fruibile a distanza per via elettronica“.

Al tempo stesso non va confuso il ruolo dell’RTD rispetto agli “acquisti di soluzioni e sistemi informatici, telematici e di telecomunicazione” dove ha un ruolo di pianificazione e coordinamento rispetto agli approvvigionamenti di beni e servizi ICT fatti dai vari dirigenti, ma qui si si parla dei servizi erogati in una prestazione informatica da parte di un fornitore dell’Amministrazione. I problemi di procurement non li risolve l’RTD.

L’RTD deve presidiare la logica di accesso ai servizi pubblici, chiamando tutte le altre figure esistenti (e le altre PA coinvolte) a collaborare al processo di ridisegno.

Sul ridisegno dei servizi inteso come “service design” è molto interessante quanto contenuto nell’apposito capitolo delle “Linee guida di design per i servizi digitali della PA“, purtroppo conosciute nelle PA, in genere, solo per la parte che riguarda lo stile uniforme da dare ai siti web.

La figura seguente riassume sinteticamente quanto detto sulla transizione digitale, le sue competenze specialistiche “proprie” e sul rapporto con le altre figure presenti nelle PA:

Il profilo professionale

Il CAD richiede che Il Responsabile (non l’Ufficio) debba avere “adeguate competenze tecnologiche, di informatica giuridica e manageriali” e la Circolare n.3/2018 del Ministro per la PA sottolinea che “nel caso in cui l’ufficio per la transizione digitale risulti vacante e, in via generale, per i successivi atti di nomina del responsabile dell’ufficio, la nomina di RTD è contestuale al conferimento dell’incarico dirigenziale, nel rispetto della normativa vigente, annoverando tra i requisiti richiesti il possesso di “adeguate competenze tecnologiche, di informatica giuridica e manageriali (..)” e solo ove non ci siano posizioni dirigenziali, tale ruolo può essere affidato ad una posizione organizzativa.

Le competenze tecnologiche e manageriali non hanno bisogno di spiegazioni, mentre il concetto di informatica giuridica resta, purtroppo, un “mistero” per le PA, anche se nasce addirittura nel 1949, insieme all’informatica ed alla cibernetica. Si tratta di una disciplina, unitaria e autonoma, che ha per oggetto sia il diritto dell’informatica che l’informatica del diritto. Ma non ci dilunghiamo su questo.

Di certo l’RTD è una figura di vertice, sfaccettata e multidisciplinare, un e-leader… e sicuramente il complesso della transizione al digitale per essere portata avanti richiede competenze nuove e vecchie, riunite in team multi-disciplinari e modalità di lavoro agili per un reale delivery di rinnovati servizi pubblici per cittadini, imprese e (perché dimenticarli sempre come utente?) per i dipendenti pubblici.

La logica dell’aggregazione

Appare impossibile che tutte le PA si dotino tutte di una tale figura, quantomeno non nei tempi brevi che la necessità ed urgenza della situazione impone. Giustamente la Circolare n.3/2018 del Ministro per la PA ricorda “che il comma 1-septies dell’art. 17 CAD. prevede la possibilità per le amministrazioni diverse dalle amministrazioni dello Stato di esercitare le funzioni di RTD anche in forma associata. Tale opzione organizzativa, raccomandata specialmente per le PA di piccole dimensioni, può avvenire in forza di convenzioni o, per i comuni, anche mediante l’unione di comuni. La convenzione disciplinerà anche le modalità di raccordo con il vertice delle singole amministrazioni.”

C’è una dimenticanza molto grave, che il legislatore non ha affrontato. E non lo ha fatto neanche una circolare del Ministro o delle apposite Linee guida di AgID: se si lascia ad ogni ente la possibilità di convenzionarsi questo vuol dire andare incontro a tempi biblici, convenzioni firmate per mero adempimento, ed un risultato finale senza nessuna logica complessiva di aggregazione territoriale.

Speriamo che il prossimo Piano triennale o una circolare dica una parola chiara, stabilendo una logica di aggregazione occorre seguire per la transizione al digitale: qual’è il ruolo delle Regioni? quale quello delle Città metropolitane o delle Province? È facile evitare di decidere, ad ogni livello istituzionale, trincerandosi dietro il principio di autonomia di cui all’art.5 della Costituzione. Ma non possiamo dimenticare anche il principio di sussidiarietà è presente all’art.118 della Costituzione… e questo non permette l’inazione e l’indecisione.

Anche perché, nell’era di internet, è proprio il concetto di “aggregatore” ad essere decisivo per lo sviluppo degli ecosistemi di servizi, sempre di più rispetto ad infrastrutture e piattaforme. Lo dimostrano i casi di Amazon, Google, Uber, AirBnB, Netflix, ecc che, in alcuni casi, sono anche gestori di infrastrutture e piattaforme, ma devono il loro successo al loro ruolo di aggregatore ed all’ecosistema che hanno saputo sviluppare intorno a loro.

Fino ad oggi nel dibattito sull’agenda digitale si è molto parlato di PSN/CloudPA (infrastrutture) o di SPID/PagoPA (piattaforme) ma è necessario stabilire presto chi farà da aggregatore per la transizione digitale.

Appare evidente che ci sono buoni motivi perché tale ruolo sia svolto da Regioni, Città metropolitane e Province in ottica sussidiaria come da Costituzione. Le Regioni, inoltre, potrebbero utilmente usare i fondi europei per accompagnare la transizione digitale dei propri territori oltre che dell’ente Regione.

Ma bisogna spostare il focus oltre le sterile discussioni come, ad esempio, spingere sul dispiegamento di SPID e PagoPA andando ad integrare quei sistemi informatici esistenti che erogano i servizi on line che risultano dai benchmark in-usabili e ci classificano agli ultimi posti in Europa.

Perché la transizione digitale richiede ben altro che il focus tecnologico su infrastrutture e piattaforme, richiede come detto di parlare del ridisegno dei servizi pubblici e di aggregazione/ecosistemi.

O affrontiamo questa sfida, o diventa inutile continuare a parlare di tecnologie.

Se si sceglie un modello di aggregazione nazionale, saranno solo gli enti “aggregatori” ad istituire davvero un UTD, e nominare il relativo RTD, mentre gli altri enti sapranno a chi guardare per firmare una convenzione seguendo una logica chiara, sistemica e territoriale.

Altrimenti, ci ritroveremo nel paradosso di una “Conferenza dei responsabili per la transizione digitale” in cui, di fronte al Direttore di AgID ed al Commissario per l’agenda digitale, siederanno circa 20.000 persone, in un affollato palazzetto dello sport senza wi-fi, in occasione della prima riunione ufficiale che si terrà verso settembre 2021.

Agenda digitale vuol dire riformare la Repubblica ripensandola nell’era digitale: non perdiamo l’occasione.

* L’autore è responsabile delle architetture per l’ICT in Regione Umbria ma scrive a titolo personale

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