reclutamento e formazione

Innovare la PA, i concorsi non bastano: come colmare il gap di competenze

La formazione continua può essere uno strumento utile per colmare il gap di competenze nella PA, ma occorre cambiare anche le regole di reclutamento. Il classico concorso non basta più: servono forme di ricerca attiva da parte della PA, mutuate dall’ambito privato o non si vince la sfida dell’innovazione

Pubblicato il 15 Dic 2022

Davide D’Arcangelo

vicepresidente network Impatta e responsabile relazione esterne e Pnrr di Fondazione Italia Digitale

Skills

Tanta benzina in circolo, ma il motore rischia di non essere all’altezza delle prestazioni promesse. Il Pnrr dimostra, nelle settimane in cui si è determinato il passaggio di consegne tra vecchio e nuovo governo, degli elementi di grande fragilità ricadenti, in particolare, nell’ambito del reclutamento di personale da parte della pubblica amministrazione.

E non solo: la strategia sino ad oggi elaborata pare più di tipo numerico – perché sappiamo quante persone verranno assunte a tempo determinato – e non qualitativo, poiché non ci si è concertati realmente sul definire chi saranno i nuovi dipendenti, e soprattutto cosa saranno in grado di fare per mettere a terra i progetti Pnrr. Sappiamo, e sono più fonti a ricordarcelo, che l’obiettivo dell’Italia è arrivare ad avere 4 milioni di dipendenti statali, ma sul piano dei requisiti non si sa molto.

Concorsi dei dipendenti pubblici, così non va: una proposta per cambiare

Stato dell’arte e prospettive della PA in chiave PNRR

Per comprendere lo stato dell’arte, e le prospettive della Pa in chiave di piano nazionale di ripresa e resilienza, potremmo partire dal Portale Nazionale del reclutamento, nato per accelerare il rinnovamento del Paese supportando l’Ufficio per i concorsi e il reclutamento del Dipartimento della Funzione Pubblica nella realizzazione del nuovo sistema di reclutamento. La piattaforma dichiara che entro i prossimi 5 anni sono 33mila le pubbliche amministrazioni che recluteranno 24mila professionisti. Come spiegato, inoltre, dal ministro Zangrillo, i concorsi sino ad oggi espletati hanno messo a bando 14mila posti. Numeri comunque esigui e non alla portata di tutti: saranno infatti gli enti più strutturati a fare la parte del leone (per i piccoli comuni è prevista una dotazione economica pari a 150milioni di euro) mentre va ricordato che i nuovi ingressi sono insufficienti a coprire il personale che uscirà dal circuito per raggiunti limiti di età.

Sempre dal portale unico, si evince come tra circa 30 ambiti in cui si svolgono bandi e avvisi, solo un paio fanno preciso riferimento a settori quali il project management o le infrastrutture digitali.

Torniamo ai numeri: entro il 2026 si stima in 530mila il numero di dipendenti in uscita, ed è perciò evidente che le assunzioni Pnrr rappresentano una goccia nel mare delle necessità future, senza dimenticare che si tratta di risorse ‘a tempo’ e la cui assunzioni è a carico dei bilanci comunali.

Il tempo per impostare il cambiamento sta per scadere

I mesi corrono inesorabili, ed i piccoli comuni entro gennaio 2023 dovranno comunicare le proprie esigenze al dipartimento della funzione pubblica: ce la faranno a rispettare i tempi? Sanno cosa serve? Qualcuno indica loro la strada? Le risposte, a mio avviso, sono scontate.

Se non si cambia approccio in fretta, magari testando su poche ma significative realtà l’innesto di figure manageriali improntante all’innovazione, il sistema pubblico non sarà in grado di comprendere cosa serve davvero.

Non solo assunzioni per innovare la PA

Innovare la Pa, occorre ricordare, non significa solo fare nuove assunzioni, ma agire sul personale già presente, in un contesto caratterizzato da una certa rigidità per quanto attiene le skill richieste.

Nell’ultimo decennio, il numero di laureati è cresciuto del +23,1%, ma le lauree appartengono quasi esclusivamente all’area economico-giudiziaria: il 13% degli occupati Pa ha un titolo in giurisprudenza, scienze giuridiche, diritto, consulenza del lavoro oppure economia, e solo il 5,6% in materie STEM.

È fondamentale, dunque, avviare un nuovo ciclo di formazione continua a fronte degli appena 40 euro spesi, nel 2020, per la formazione dei dipendenti pubblici. Come spiega uno studio dell’università Bocconi, sempre Nel 2020 ogni dipendente pubblico ha speso in media meno di un giorno lavorativo di formazione. In relazione al genere, peraltro, emergono forti disparità di trattamento fra uomini e donne: i primi hanno goduto in media di 1,2 giorni di formazione; le donne, soltanto di 0,6.«La limitata attività di formazione – spiega ancora lo studio – è stata indirizzata in modo improprio. A tal riguardo, ad esempio, nel 2018 la formazione ICT ha coinvolto solo il 7,3 per cento dei dipendenti della PA locale, con una diminuzione dello 0,4 per cento rispetto al 2015. Le problematiche descritte sono più gravi nelle amministrazioni periferiche. Questa sofferenza delle pubbliche amministrazioni assume i connotati della grave emergenza se si pensa alle nuove sfide che le stesse devono affrontare in un contesto economico in cui la loro performance in termini di investimenti e di prestazioni diviene fattore determinante di competitività̀».

Il necessario percorso di riforma delle competenze

Come esperto nel public innovation management, mi auguro che parta al più più presto il percorso di riforma delle competenze cui sono dedicati precisi investimenti. Nell’ambito della formazione, come raccontato dalla fondazione Openpolis, sono tre le azioni previste: formazione a distanza, comunità di competenze e supporto economico alla formazione.

In primo luogo i Mooc (Massive Open Online Courses). È prevista l’erogazione di corsi online per il reskilling e l’upskilling del capitale umano. Questi corsi saranno incentrati sulle priorità del Pnrr (trasformazione digitale, transizione green, innovazione sociale) e sulle competenze manageriali necessarie per una pubblica amministrazione più moderna. Ne saranno attivati un centinaio e saranno sviluppati da partner qualificati. Altra novità, sono le cosiddette comunità di competenze (Community of Practice) pensate per sviluppare best practice all’interno della PA (ad esempio, manager della trasformazione digitale o green). Si prevedono 20 community tematiche (capitale umano, digital transformation ecc.), trasversali alle amministrazioni. I manager coinvolti saranno supportati nell’implementare progetti innovativi all’interno delle proprie amministrazioni. A questo si aggiungono i voucher formativi ed il supporto agli enti di piccole dimensioni (con progetti dedicati di change management volti alla trasformazione del loro modello operativo.

Conclusioni

Di tutto questo, ancora non si è visto molto anche se in Italia esiste una nutrita comunità di public innovation manager pronti a fornire il supporto utile agli enti locali per imprimere la svolta necessaria: la formazione continua può essere uno strumento utile, ma occorre cambiare anche le regole di reclutamento. Il classico concorso non basta più: servono forme di ricerca attiva da parte della PA, mutuate dall’ambito privato. Solo così si faranno avanti candidati più giovani e motivati, capaci di rispondere alle sfide future.

Davide D’Arcangelo, vice presidente network Impatta e responsabile relazione esterne e Pnrr di Fondazione Italia Digitale

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