L’emendamento 8.500 al cosiddetto Decreto Legge Semplificazioni (decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135), approvato nelle Commissioni riunite del Senato e attualmente in discussione al Senato in sede di assemblea per la conversione in legge, ha il merito di occuparsi della domanda sulla governance del digitale che era rimasta senza risposta: cosa succederà dopo la chiusura dell’esperienza del Commissario straordinario all’attuazione dell’Agenda Digitale e del team per la trasformazione digitale?
La risposta era ed è importante, perché nonostante gli indubbi progressi sul quadro d’insieme delle iniziative sul fronte dell’Agenda Digitale italiana e su alcuni progetti in particolare (tra i principali, senz’altro PagoPA e la fatturazione elettronica), la governance rimane la principale incompiuta della Strategia di crescita digitale dell’Italia.
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La novità normativa in discussione
L’emendamento prevede, di fatto, che l’accentramento di poteri, funzioni e compiti che avevano dato vita alla figura del Commissario venga mantenuto. Secondo l’emendamento il Presidente del Consiglio li riprende in carico (il Commissario era delegato del Presidente, sostanzialmente) e si predispone ad attuarli con una struttura specifica. Così recita l’emendamento: “[i poteri, le funzioni e i compiti che erano stati attribuiti al Commissario] sono attribuiti al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro delegato che li esercita per il tramite delle strutture della Presidenza del Consiglio dei Ministri dallo stesso individuate, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze per le materie di sua competenza” e di conseguenza “Per l’esercizio delle funzioni [.. di cui sopra], il Presidente del Consiglio dei ministri, o il Ministro delegato, si avvale di un contingente di esperti messi a disposizioni delle strutture [..di cui sopra], in possesso di specifica ed elevata competenza tecnologica e di gestione di processi complessi, nonché di significativa esperienza in tali materie, ivi compreso lo sviluppo di programmi e piattaforme digitali con diffusione su larga scala”.
Come si legge, non è definita una struttura ad hoc (l’interpretazione futura dell’emendamento potrebbe anche portare ad una suddivisione su più dipartimenti della Presidenza del Consiglio), ma se ne pongono le condizioni.
La richiesta a cui questo emendamento cerca di dare risposta è di una governance che sia in grado di coordinare una strategia organica sui tre fronti sui quali deve intervenire un’azione di reale impatto per la crescita socio-economica del Paese: Cittadini (nel senso più ampio di “utenti” del nostro territorio), Imprese, Pubblica Amministrazione. Tre fronti non a caso scelti dal DG di AgID Teresa Alvaro come dimensioni del nuovo Piano Triennale per l’Informatica nella PA.
Le carenze di un approccio fin qui parziale
Il compito è difficile e complesso, ma chiaro, come evidenti sono state fin qui le carenze di un approccio che negli anni non è riuscito a connettere in uno schema organico le diverse strategie (quando presenti) e i ministeri e gli attori coinvolti. Non è un caso che anche le ultime rilevazioni di Istat e di Eurostat evidenzino non solo il permanere di un divario significativo italiano rispetto agli altri Paesi europei su diverse aree della maturità digitale, ma anche, nell’ambito nazionale, un divario notevole tra regioni del Nord e del Centro Sud, tra famiglie che hanno componenti laureati e famiglie con basso livello d’istruzione, tra grandi imprese e PMI, con livelli di arretratezza delle tipologie in difficoltà che configurano una vera e propria esclusione dai benefici delle azioni dell’Agenda Digitale nazionale, con a fascia consistente di popolazione ancora non in condizione di fruire dei benefici delle innovazioni digitali.
Gli elementi di una nuova governance
Un suggerimento che avevo indicato un po’ di mesi fa con Luca Gastaldi era di prevedere un livello strategico e di coordinamento dei processi strategici per l’innovazione digitale italiana che assumesse come condizione di base la trasversalità di azione, oltre che la naturale pervasività del digitale, prevedendo un ruolo politico “forte” di regia, al livello del Presidente del Consiglio (o un sottosegretario) “così da consentire un’azione di coordinamento anche con ministeri storicamente “forti” come MISE e MIUR” e la disponibilità di una struttura amministrativa dedicata “un dipartimento ad hoc, in grado di tradurre gli indirizzi in politiche e a cui l’AgID farebbe riferimento nelle attività di coordinamento operativo”.
Credo che non possano avere successo soluzioni “ridotte”, soprattutto se questo significa che l’ambito d’azione di cui trattiamo rimane quello della Pubblica Amministrazione e che per Agenda Digitale si intende sostanzialmente la strategia di sviluppo digitale pubblico.
L’ambizione necessaria deve essere, a mio avviso, quella di prevedere un livello di coordinamento complessivo dell’azione nazionale sul fronte della trasformazione digitale, connettendo e coniugando le strategie in tema di industria 4.0, ricerca, cittadinanza, competenze digitali (nelle diverse tipologie), sviluppo ICT delle PA, banda ultralarga, smart city, e facendo sì che queste connessioni siano attive anche ai diversi livelli territoriali, con la creazione puntuale di ecosistemi di innovazione.
Suggerimento per qualche passo in più
Per questa ragione, ben venga la scelta di mantenere l’accentramento di poteri, funzioni e compiti in tema di innovazione digitale, ma si faccia qualche passo in più: si punti alla definizione di un dipartimento nuovo che possa fungere da coordinamento e “pannello di controllo” della strategia integrata e organica nazionale sull’innovazione del Paese con il digitale.
Un dipartimento, da questo punto di vista, che certamente deve dotarsi di esperti con elevata competenza tecnologica, ma che abbia anche il connotato della multisciplinarietà, necessario per essere in grado di coordinare e supportare in modo efficace progetti di trasformazione profonda, “progetti Paese” come quello necessario per lo sviluppo della cultura digitale nazionale. Un dipartimento, quindi, che possa essere di supporto al suo referente politico (Presidente del Consiglio o delegato) anche per delineare la strada difficile ma essenziale dell’intervento pubblico secondo il modello dello “stato imprenditore”, per cui è necessaria una strategia integrata sulle diverse aree di intervento della società, dalla scuola alle imprese, dal settore pubblico alla popolazione. Con un approccio che non c’era e di cui abbiamo bisogno.