PA DIGITALE

Riuso: ricominciamo da qui

Fatta qualche eccezione, si può dire che il riuso non è decollato: è stato un mezzo fallimento più qualitativo che quantitativo. Dobbiamo lavorare per vincoli (la legge) ma anche e soprattutto per opportunità. Non dobbiamo aver paura di contaminazioni tra il pubblico e il privato

Pubblicato il 31 Lug 2013

Roberto Moriondo

Direttore Generale Comune di Novara - Direttivo ANDIGEL

Pensando al riuso, mi vengono in mente i titoli di due film: “Cronaca di una morte annunciata” e “Ricomincio da tre”.

Volendo essere positivi – volendo vedere il bicchiere grande e mezzo pieno di un ottimo vino – sono portato a scegliere il secondo, partendo però dalla convinzione che, nelle forme e nei modi in cui è stato attuato, non ha funzionato al meglio.

Era il 2005 quando il CAD1 (il “Codice dell’Amministrazione Digitale”), ha provato per la prima volta a disciplinare l’analisi comparativa delle soluzioni, il riuso dei programmi informatici e a istituire la banca dati dei programmi informatici riutilizzabili.

Il CISIS2 ha cercato per anni di far lavorare le regioni insieme o separatamente.

Molteplici sono stati i modelli di riuso adottati: dalla semplice cessione e trasferimento di know how, è il caso del Portale Open data dal Piemonte all’Emilia Romagna o del Sistema di Gestione dello Screening Oncologico sempre dal Piemonte alla Calabria, alle forme di collaborazione interregionale, come è accaduto per il Progetto Sigmater3.

Ma non tutto è andato bene.

Realizzare un’iniziativa di riuso il più delle volte richiede procedure tortuose e tempi troppo lunghi: dalla gestione dell’iter amministrativo che comporta diversi passaggi istituzionali, ai possibili ritardi delle strutture interne che devono avallare l’iniziativa, fino ai cambiamenti organizzativi spesso osteggiati per la sindrome dell’abito su misura.

Ci sono stati anche casi in cui, portata a casa la soluzione applicativa, questa non è risultata completamente matura, richiedendo una serie di ulteriori interventi, anche rilevanti, su quanto acquisito.

Fatta qualche eccezione, si può dire che il riuso non è decollato: è stato un mezzo fallimento più qualitativo che quantitativo (ad oggi sono oltre 60 i programmi riutilizzabili nel Catalogo nazionale pubblicati sul sito dell’Agenzia per l’Italia Digitale4).

Chi ha proposto ad altre amministrazioni soluzioni in riuso è stato accolto il più delle volte come un piazzista, così come purtroppo i vendor che hanno fornito prodotti e servizi alla PA l’hanno fatto privilegiando l’aspetto commerciale di breve periodo, senza un approccio di sistema, una strategia di sviluppo complessiva dell’ICT per la PA, accontentandosi di portare a casa fette grandi di torte piccole.

Fino ad oggi – onestamente – la PA è stato un pessimo acquirente, e, conseguentemente, la risposta dei vendor non è stata adeguata, proponendo un’offerta non coordinata, guidata – non per colpa loro – dalla logica del massimo ribasso.

Fette grandi di torte piccole, appunto.

Ora, partendo dalle regole, dall’esperienza maturata e – perché no? – dagli errori fatti, dobbiamo ricominciare … da tre.

Allora, le regole ci sono e sono chiare. Le esperienze anche, e non bisogna disperderle.

E poi ci sono le competenze, tante.

Dobbiamo lavorare per vincoli (la legge) ma anche e soprattutto per opportunità, per accelerare lo sviluppo. Non dobbiamo aver paura di contaminazioni tra il pubblico e il privato.

Dobbiamo raccogliere la sfida di giocare un ruolo più attivo.

Complice anche la drammatica scarsità di risorse finanziarie a disposizione, non saremo più in grado di presentarci come “finanziatori e/o acquirenti” di progetti di innovazione, ma dovremo assumere il ruolo di “acquirente intelligente” di innovazione, creatore di nuovi mercati di soluzioni innovative e utili, facilitatore dei processi e co-innovatore in quei settori chiamati garantire servizi pubblici efficienti e di qualità.

Il costo dell’ICT nella PA si avvicina ai 9 miliardi di euro con un valore per il mercato potenzialmente enorme.

Ma la spesa ICT deve progressivamente transitare da quella corrente a quella di investimento, sdoganandone il valore per generare un ritorno misurabile e creare nuove opportunità per i privati.

Nuove opportunità nascono anche dalle competenze vecchie e nuove.

Abbiamo in dotazione casi eccellenti, sistemi informativi che potrebbero essere riusati, anche rinforzando il ruolo del CISIS insieme a quello dell’Agenzia in qualità di struttura operativa.

Tutte le regioni, ma penso in via prioritaria a quelle che meno hanno investito – o che lo hanno fatto male – dovranno mappare le loro reali esigenze nella convinzione che la soluzione probabilmente già esiste ed è disponibile e potrà essere adottata, adattata e forse anche migliorata adeguandola al proprio contesto.

Bisogna avere il coraggio di riconoscere che l’Italia viaggia ancora a velocità differenti, di fare un passo avanti nell’esporre le proprie difficoltà e di dichiarare i propri bisogni.

Nello stesso tempo, bisogna avere il coraggio di fare un passo indietro, smettendola di difendere interessi particolari e riconoscendo il valore di una soluzione migliore della propria, per intraprendere insieme un cammino virtuoso e concreto.

1 Oggetto di successive integrazioni e modificazioni.

2 Il CISIS (www.cisis.it) è un’associazione tra le Regioni e le Province autonome che si costituisce nel 1989 in qualità di organo tecnico della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome per le materie Sistemi Informatici, Geografici e Statistici.

3 Servizi Integrati catastali e Geografici per il Monitoraggio Amministrativo del Territorio che ha interessato inizialmente 5 Regioni (Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Abruzzo e Valle d’Aosta) e un’amministrazione centrale (Agenzia del Territorio), fino a trasformarsi in un’azione interregionale regolata da partenariato con una decina di regioni coinvolte.

4 http://www.digitpa.gov.it/riuso/pac

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