tra video e realtà

Fuga dalle news: come pandemia e guerra hanno cambiato il nostro rapporto coi media

I terremoti comunicativi della pandemia, della fase finale della presidenza Trump e della guerra in Ucraina hanno trasformato l’approccio all’informazione, soprattutto tra i più giovani, ma non solo. In una realtà che è sempre più mediata dagli schermi si incrina la fiducia nelle news. Gli scenari

Pubblicato il 06 Set 2022

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

big tech schermi digitale

La pandemia prima e la guerra in Ucraina dopo sembrano aver riportato la realtà al centro dell’attenzione, ma la realtà risulta comunque mediata dai social. Attraverso gli schermi abbiamo avuto accesso a una pluralità di fonti assemblate su misura per noi dagli algoritmi: un’abbondanza che ha fatto presto a trasformarsi in saturazione e fuga dalle news che per molti – soprattutto i più giovani e i meno istruiti – equivale a una fuga dalla realtà.

Uno scenario che andiamo ad approfondire attraverso uno studio dell’OMS e diverse indagini di società media e di ricerca.

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La pandemia: dallo schermo alla realtà

La pandemia ha dato una scossa alla tradizionale dicotomia tra ottimisti e pessimisti riguardo l’impatto sociale dello sviluppo dei servizi in rete.

Da un lato i pessimisti hanno prima temuto e poi denunciato i rischi ingigantiti e pervasivi della sorveglianza totale, mentre gli ottimisti magnificavano le potenzialità di prevenzione e controllo della diffusione del contagio attraverso l’informazione e il tracciamento; dall’altro lato, sul versante della narrazione sociale, i pessimisti erano intimoriti dal diffondersi delle notizie false, dall’emergere di sottoculture antiscientifiche e cospirazioniste. È emerso che la ragione stava da tutte e due le parti: le app dedicate al controllo della pandemia servivano sia a contenere il contagio, sia a dare nuovi strumenti di controllo sociale ai regimi autoritari.

Lo studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e diversi centri di ricerca, ha fatto il punto su queste dinamiche, ponendo al centro dell’attenzione i giovani della generazione Z e i Millennials[1].

Prima di analizzare la rete di strumenti utilizzata dai giovani per informarsi sul COVID-19, occorre tener presente l’ampiezza degli interessi direttamente o indirettamente connessi alla pandemia e alla sua gestione medico-epidemiologica. Come si vede dalla figura 1, prima di trovare motivazioni legate al proprio stato di salute (come: Propria salute mentale, Non poter accedere alle cure mediche), una serie di altre preoccupazioni urgono nell’animo dei giovani, e riguardano soprattutto le proprie prospettive di inserimento sociale.

Passiamo ora alle fonti considerate più attendibili, ricordando che la ricerca era patrocinata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che voleva misurare il suo grado di influenza in materia di COVID-19 nel momento cruciale della diffusione pandemica. La figura 2 ci dice alcune cose ovvie ed altre sorprendenti.

La realtà sta dentro lo schermo

La prima cosa ovvia è che i social media sono un mediatore onnipresente, nel senso che attraverso di loro passano le informazioni originate da altre fonti; infatti, nonostante il ruolo ancora primario di giornali, radio e televisioni per il 44% degli intervistati, i social media svolgono un ruolo fondamentale nell’accesso indiretto alle informazioni dei media tradizionali (34%), dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (32%) degli esperti (29%), del governo (28%).

Il risultato più sorprendente, che porta acqua al mulino dei pessimisti, è che amici e parenti, che pure erano in cima alle preoccupazioni dei giovani, come fonte di informazioni sono relegati nella parte bassa della graduatoria, a dimostrazione che le interazioni personali sono ormai svalutate come fonte primaria di informazioni.

Tra i risultati che corroborano una visione positiva dell’impatto dei servizi di rete durante la pandemia, vi è la rilevazione che i contenuti scientifici sono tra i più meritevoli di essere condivisi sui social media, come dimostra la figura 3.

Ma, d’altra parte, il linguaggio, espresso dal tipo di media condiviso, non è affatto coerente con la condivisone di informazioni scientifiche, poiché si basa prevalentemente su video e immagini, strumenti che banalizzano l’informazione rendendola facile preda della più diverse manipolazioni, (figura 4).

Una simile contraddizione si riscontra quando la domanda riguarda le fonti considerate più attendibili. Qui, richiamando ancora il caveat a proposito del fatto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità era tra i promotori della ricerca, troviamo che, nonostante la famiglia non risulti una fonte prioritaria di ricerca delle informazioni, essa viene ritenuta la più attendibile, dopo quelle accreditate a livello internazionale dell’OMS e dopo gli esperti, precedendo anche il governo.

La realtà riconquista la scena, ma – per così dire – la scena è fornita dai social e questo fatto rende il recupero dei fondamentali avvenuto durante la pandemia (autenticità delle notizie, autorevolezza delle fonti, importanza dei fatti verificati, loro impatto reale) un risultato non scontato per il futuro, perché reversibile.

Un altro segno che sembra deporre a favore di una qualche schizofrenia del pubblico giovane risiede nel fatto che, da un lato, si dichiara di usare in maniere ampia i social per connettersi agli altri e ricercare le informazioni, e dall’altro, alla specifica domanda sulla fiducia riposta nelle diverse fonti, i social appaiono come una fonte non attendibile.

“Finisco di leggere un articolo più stressata e a volte più confusa” (intervistata di 24 anni del Regno Unito)

La saturazione informativa rafforza lo scetticismo verso l’informazione

La ricerca intensa effettuata su una pluralità di fonti assemblate prevalentemente dai social, infine, produce in molti intervistati la saturazione informativa che rafforza lo scetticismo nei confronti dell’informazione in quanto tale, compresa quella di qualità[2]. Per questo motivo, anche quando vi è la percezione della inaffidabilità delle fonti o addirittura la convinzione di essere di fronte a fake news, la reazione più frequente è di andare oltre e non di contrastarle.

Così, se il mestiere del giornalista e dell’esperto ha avuto un momento di massima attenzione e svolto un ruolo importante durante la pandemia, queste conquiste non possono essere date per acquisite. È nella logica intrinseca dei social ridefinire continuamente il profilo della credibilità/attrattività dei soggetti che partecipano al gioco sociale che si alimenta della continua ridefinizione dei ruoli e dei punti/temi di aggregazione dell’interesse.

La crisi del rapporto tra giornalisti ed esperti e pubblico, d’altra parte, non è di oggi e non è nemmeno il frutto dell’usura cui l’attenzione del pubblico è stata sottoposta da un eccesso di esposizione mediatico-informativa. La trasformazione del rapporto tra media e pubblico è avvenuta nel corso degli ultimi decenni, come si vede dalla figura 6.

Nei paesi dove il sondaggio è stato effettuato dopo l’invasione dell’Ucraina, si riscontra una crescita della credibilità della televisione, particolarmente sensibile nei paesi più prossimi al conflitto, come la Polonia e la Germania.

La fiducia è il capitale più volatile nel mondo digitale

Anche qui ci troviamo di fronte a tendenze contrastanti: in alcune aree del Centro Europa l’interesse per le news e la fiducia nella TV aumenta, per effetto della guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina, mentre in generale, e negli Stati Uniti in particolare, l’interesse per le news è diminuito in modo significativo, con il passaggio dalla pandemia all’attuale situazione endemica per quanto riguarda il COVID-19 e con l’avvio della guerra. Così, mentre alcuni brand importanti produttori di news hanno rafforzato la loro posizione già forte prima del Coronavirus, oggi misuriamo una generale disconnessione dalle news da parte degli utenti, soprattutto giovani[3].

Se la crisi del Coronavirus ha portato ad una maggiore attenzione per le informazioni, come abbiamo visto, quella crisi ha accelerato anche la diffusione e intensificato l’utilizzo dell’informazione sui dispositivi mobili, accentuando la divaricazione tra i giovani sotto i 30 anni e il resto della popolazione. Questo fatto ha avuto un impatto significativo sul settore dei media: alcune testate hanno accresciuto la loro diffusione e la raccolta pubblicitaria, molte altre hanno incontrato maggiori difficoltà, altre ancora hanno deciso di innovare il proprio modello di business, accelerando l’adozione di servizi digitali.

La lenta fuoriuscita dalla pandemia e la sua trasformazione in malattia endemica, ha portato ad una perdita di parte degli effetti positivi che la pandemia aveva introdotto, in termini di maggiore attenzione alle news e alle fonti più attendibili: la fiducia risulta il capitale più volatile nel mondo digitale.

2022, fuga dalle news

Dall’indagine della Reuters, condotta in 6 continenti e 46 mercati, risulta che la quota di nuovi consumatori che dichiarano di evitare le news, di frequente o qualche volta, è aumentata in tutti i paesi considerati. Questa fuga selettiva è raddoppiata in Brasile e nel Regno Unito negli ultimi 5 anni, con molte spiegazioni.

Molti lamentano la ripetitività delle news, soprattutto relative al COVID e alla politica, in termini di effetti negativi sul proprio stato d’animo, mentre molti tra i giovani e i meno istruiti che dichiarano di evitare le notizie perché difficili da seguire e da comprendere (vedi figura 7).

La saturazione di informazioni durante le fasi critiche della pandemia e durante le prime fasi di guerra ha contribuito alla accentuazione della disconnessione dei giovani dalle news.

Il paradosso americano: gli Stati Uniti – Divisi

I giovani sempre più considerano la connessione in rete come luogo di espressione delle loro interazioni sociali e come fonte di intrattenimento. TikTok risulta, anche nell’indagine Reuters, il network che maggiormente cresce, raggiungendo il 40% dei giovani tra 18 e 24 anni, di cui il 15% utilizza la piattaforma per accedere alle news, con le aree dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa su livelli decisamente superiori a Stati Uniti ed Europa[4].

In paesi come Norvegia, Spagna, Finlandia e Regno Unito, lo smartphone è il primo accesso del mattino alle news e non più la televisione.

Emergono due tendenze di fondo, che le vicende del COVID e della guerra hanno intersecato, ma non interrotto.

La prima è costituita da un pubblico giovanile crescente di utenti con forti interazioni social, ma disconnesso dalle news, che non considerano rilevanti per il loro modo di vivere.

L’altra tendenza riguarda il pubblico più in generale, non solo quello giovanile. Qui l’accesso alle news è diventato più complesso di un tempo e forse meno efficace, nonostante la moltiplicazione o forse proprio per la moltiplicazione delle fonti di accesso. Questo cambiamento ha reso meno stretto il legame tra utente e produzione di news, con la sola eccezione dei brand di maggior peso che rafforzano il loro legame con il proprio pubblico.

Oltre alle differenze per età, quelle tra i paesi sono straordinariamente significative. Il sondaggio Reuters pone a raffronto gli Stati Uniti (l’America divisa) e la Finlandia (il paese consensuale), che divergono completamente per le visioni che il pubblico di sinistra e di destra ha delle news.

Nelle due figure 8 e 9 si leggono dati impressionanti nella loro diversità per livelli e andamenti nel tempo. Negli Stati Uniti nel 2015 il livello di fiducia nelle notizie era comunque basso, anche nel pubblico di sinistra (35% aveva fiducia, contro il 25% tra il pubblico di destra). Nel 2022, dopo le vicende di Trump e l’avvio della presidenza Biden, dopo il Covid e la Guerra in Ucraina, la confidenza nelle notizie sale leggermente tra il pubblico di sinistra (39%), mentre precipita tra il pubblico di destra (14%).

Al contrario, in Finlandia, il livello è molto elevato del 2015 ed è analogo tra destra e sinistra (64% e 65% rispettivamente) e sale ulteriormente nel 2022, dopo la pandemia e dopo l’avvio della crisi tra Russia e Ucraina (66% e 70% rispettivamente). Sono differenze che definiscono un range estremo di variabilità, così estremo da porre un interrogativo sulla possibilità di conciliare questi dati con l’appartenenza dei due paesi ad una area di democrazia liberale e ad una alleanza militare difensiva quale la NATO.

Lo schermo tra noi e la realtà: gli scenari

In un interessante scenario proposto da Deloitte prima che si verificassero i terremoti comunicativi della pandemia, della fase finale della presidenza Trump e della guerra in Ucraina, il futuro delle nuove tecnologie mobili era proiettato, con fantasia ma anche con prudenza, in una serie di scenari a dieci anni, con orizzonte il 2030[5].

È probabile che nessuno di quegli scenari finirà con l’avverarsi, la tecnologia ci ha abituato a sorprenderci proprio quando mostriamo maggiore confidenza.

Tuttavia, la lettura dei terremoti comunicativi ci consente di prendere a prestito alcuni degli spunti sviluppati.

A livello globale, come dimostrano anche le dichiarazioni di coloro che dicono di non voler seguire le news perché si sentono a disagio, il problema della fuga dalle news è un problema di fuga dalla realtà: esso riguarda soprattutto i più giovani e i meno istruiti. Il video è meglio della realtà, è più semplice ed appagante della realtà sia essa culturale (le news), sia essa sociale (i social media).

Esiste una strada per ritrovare la realtà, sia nei rapporti sociali sia nell’accesso alle informazioni? Forse sì, ma è assai probabile che questa via di ritorno alla realtà sia assai più complessa di come possiamo oggi immaginarla.

Qualcomm ha disegnato il futuro dello screen, sostenendo, forse con troppo entusiasmo tecnologico, ma non senza buone ragioni, che la realtà aumentata sarà sempre più presente e che essa si diffonderà anche nell’uso quotidiano. È il passaggio dal casco per la realtà virtuale, agli occhiali XR che sovrappongono alla realtà i metadati, le connessioni o la realtà virtuale che aumenta il nostro controllo sulla realtà oggettiva[6].

Queste prospettive tecnologiche potrebbero incontrarsi con gli scenari proposti da Deloitte che fanno riferimento agli sviluppi del video e della TV, i due terreni su cui oggi si sviluppa uno dei confronti competitivi più accesi, con Amazon, YouTube, Spotify e TikTok, impegnati ad erodere la pubblicità e gli accessi del pubblico alla TV.

Gli scenari proposti da Deloitte si basano sulle assunzioni che i contenuti possano essere distribuiti o da player nazionali o da player globali, e che possano essere prodotti o posseduti o da produttori di contenuti specializzati o da grandi piattaforme, in uno schema articolato come nella figura 10.

Nello Scenario Supermarket universale, poche piattaforme digitali avranno preso il sopravvento come aggregatori e distributori dei contenuti sulle emittenti nazionali, entrando in tutti gli anelli della catena del valore, dalla creazione all’aggregazione, dalla distribuzione alla relazione con il consumatore finale. Come i supermarket le piattaforme offriranno una vasta gamma di prodotti globali e nazionali, con possibilità di differenziare l’offerta per fasce esclusive di intrattenimento e sport.

Lo scenario Trionfo dei contenuti, prevede che i possessori dei contenuti siano i trionfatori della transizione di mercato. Anche qui dovranno integrare la catena del valore, sottraendo i contenuti alla piattaforme e distribuendoli con propri canali raggiungendo i consumatori direttamente.

La Vendetta delle emittenti è lo scenario in cui le emittenti nazionali, con uno sforzo gigantesco riescono a condurre a compimento la trasformazione digitale completa del loro ruolo, assicurando una pozione solida al proprio controllo della TV esteso ai video. L’impegno più gravoso sarà di raggiungere la pubblicità targettizzata che oggi contraddistingue le piatteforme e ne ha decretato, almeno fino ad oggi, il trionfo.

Lo scenario Perduti nella diversità prevede che non vi sarà un driver dominante e che il sistema continua ad ospitare un diversificato mercato di TV, video, presenti in diversi ecosistemi di pubblicità e di contenuti, con una vivace turnazione delle aziende nel mercato. Esso rimane fortemente caratterizzato dalla domanda di contenuti nazionali, con possibili partnership, alternate tra produzione nazionale e distribuzione globale.

Conclusioni

Come si vede, l’unico scenario in grado di preservare un aggancio solido con la realtà culturale espressa a livello locale e nazionale, è l’ultimo, ma non è detto che esso sia il più probabile.

È l’unico in cui si può trovare qualche risposta alle insicurezze dei giovani e qualche possibile spazio per ridurre i nuovi divide che si stanno formano nell’accesso alle informazioni alle notizie, come abbiamo visto. La realtà continuerà ad essere rappresentata dall’accesso allo screen: lo schermo però, in questo caso, potrebbe non frapporsi opaco tra noi e la realtà, ma aiutarci a riconoscerla.

Note

  1. ) Ingrid Volkmer, Social media and COVID-19: A global study of digital crisi interaction among Gen Z and Millennials, study in 24 countries conducted by Wunderman Thompson, University af Melbourne, Pollfish and World Health Organization, 2021.
  2. ) Ivi, p. 58 e ss.
  3. ) Nic Newman, Richard Fletcher, Craig T. Robertson, Kirsten Eddy, Rasmus Kleis Nielsen, Reuters Institute Digital News Report 2022, Reuters Institute for the Study of Journalism, 2022.
  4. ) Ivi, p. 11.
  5. ) Deloitte, The future of the TV and video landscape by 2030, 2018.
  6. ) Qualcomm, The Mobile Future of eXtended Reality (XR), November 2020.

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Transizione digitale, Simest apre i fondi Pnrr alle medie imprese
Prospettive
Turismo, cultura e digital: come spendere bene le risorse del PNRR
Analisi
Smart City: quale contributo alla transizione ecologica
Decarbonizzazione
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Unioncamere
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I fondi
Industria 4.0: solo un’impresa su tre pronta a salire sul treno Pnrr

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