tassazione e fiscalità

Economia e fisco, meglio gestiti da persone o macchine? Tendenze, rischi e vantaggi

In economia le risorse sono e rimangono per loro natura scarse. Ma i dati abbondano e bisogna farli fruttare, per prendere le migliori decisioni economiche e fiscali. Non è opportuno demandare ogni decisione alle macchine, ma è auspicabile che queste siano di supporto alle decisioni degli esperti. Ecco perché

Pubblicato il 21 Lug 2021

Piero Poccianti

past president AIxIA

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR

intelligenza artificiale

In questi giorni le 20 grandi economie della Terra stanno cercando di formalizzare uno storico accordo su un’architettura fiscale internazionale più equa, che dovrebbe consentire di applicare, a partire dal 2023, un’aliquota minima sui profitti delle multinazionali (global minimum tax). I riflettori accesi sulla tassazione delle multinazionali, mostra la volontà del G20 di combattere finalmente i grandi fenomeni di erosione della base imponibile e dello spostamento dei profitti.

Al tempo stesso la politica sta cercando di mettere a punto sistemi per far fruttare l’enorme mole di dati messi a disposizione dai contribuenti, perché le potenzialità oggi per stanare gli evasori sono enormi. Dal 2017, anno di adozione della Carta Robotica (la risoluzione europea con le prime norme di diritto civile sulla robotica), i progetti per utilizzare l’intelligenza artificiale a fini fiscali sono in costante aumento; occorre però muoversi entro binari giuridici ben definiti, stando attenti ai diversi risvolti che l’utilizzo dell’IA dissemina sul fisco tecnologico.

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In letteratura stanno aumentando anche gli articoli sull’utilizzo dell’IA nella gestione dell’economia e per creare una politica fiscale più equa. Simulazioni che prefigurano un mondo in cui la politica fiscale sia meno politica e più basata sui dati. Se il mondo reale è troppo complicato per essere governato, in futuro, alla gestione delle politiche economiche e fiscali sarà meglio avere la guida di persone o di macchine intelligenti?

La domanda merita di essere approfondita, anche con un ripensamento profondo del nostro sistema economico. Siamo curiosi di vedere se al G20 sull’IA, che si terrà a Genova il 28 e 29 luglio prossimo, la discussione andrà a toccare queste tematiche.

L’IA per ridurre le diseguaglianze

La disuguaglianza di reddito è uno dei problemi generali dell’economia.

Uno degli strumenti più efficaci di cui dispongono i responsabili delle politiche per affrontarlo è la tassazione: i governi raccolgono denaro dalle persone in base a quanto guadagnano e lo ridistribuiscono direttamente, tramite schemi di welfare, o indirettamente, utilizzandolo per finanziare progetti pubblici. Ma sebbene una maggiore tassazione possa portare a una maggiore uguaglianza, tassare troppo le persone può scoraggiarle dal lavorare o motivarle a trovare modi per evitare di pagare, il che riduce l’ammontare complessivo.

Trovare il giusto equilibrio non è facile. Gli economisti in genere si basano su ipotesi difficili da convalidare. Il comportamento economico delle persone è complesso e raccogliere dati al riguardo è difficile. Decenni di ricerca economica non sono bastati per progettare la migliore politica fiscale, che rimane un problema aperto.

In economia le risorse sono e rimangono per loro natura scarse. Ma i dati abbondano e bisogna farli fruttare, per prendere le migliori decisioni economiche e fiscali, pur sapendo che l’economia è una disciplina che, analogamente ad altre, può essere utilizzata per migliorare gli standard di vita, ma anche per peggiorare le cose. Ciò dipende dalle priorità della società e da ciò che consideriamo più importante. Per anni siamo stati indotti a seguire la teoria economica standard che costringe a pensare all’economia come una disciplina, accettata universalmente, che definisce come risorse scarse il capitale e il lavoro, che ha come obiettivo esclusivo la ricerca del profitto e la massimizzazione del vantaggio di un individuo. Questo dottrina ha influito molto sul pensiero economico e quindi su policy e policy maker.

Il tema dell’assenza di equità nella distribuzione della ricchezza e delle disparità dei redditi è stato sollevato dall’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale nel volume “L’Intelligenza artificiale per lo sviluppo sostenibile” in cui si può leggere che “per ridurre le disuguaglianze è necessario un ripensamento profondo del nostro sistema. Il problema più grave consiste nelle modifiche ai modelli socio economico oggi dominanti. I sistemi di IA possono aiutarci a trovare soluzioni ai nostri problemi, ma solo se siamo capaci di descrivere obiettivi, contesto, vincoli e strumenti in modo corretto. Purtroppo, allo stato attuale non siamo ancora abituati a farlo.”

Cosa può fare l’IAPericoli e rischi da evitare
Aiutare i decisori politici a simulare le conseguenze delle loro decisioni (per esempio sui sistemi di tassazione, lavoro, previdenza, istruzione, salute, ecc.Strumenti di IA ad appannaggio di pochi che detengono la capacità di trovare soluzioni
Individuare i soggetti a rischio e prevenire situazioni di emergenzaStrumenti di IA che contribuiscono a ridurre la capacità critica delle persone
Rendere il sistema fiscale equo e combattere l’evasione fiscaleStrumenti di IA che comprimono il principio del contradditorio e della buona fede tra amministrazione fiscale e contribuente (profilazione, assenza misure per impedire effetti discriminatori o per rettificare inesattezze dei dati)
Aumentare l’occupazione e dare un lavoro decente a tutti
Ridurre il ricorso alla finanziarizzazione dell’economia

Adam Smith sosteneva che a un Paese per crescere serve poco altro “se non pace, tasse accettabili e una tollerabile amministrazione della giustizia”. Visto che il nostro Paese non cresce da diversi anni, pur vivendo in pace, e che i nostri standard di vita sono pressoché invariati, tasse e giustizia (oggi anche giustizia sociale) diventano i fattori principali su cui concentrare i nostri sforzi.

Riforma del fisco: il Parlamento scalda i motori

La strada per accrescere il benessere passa anche dal rendere il nostro sistema fiscale più semplice e certo. Una consapevolezza maturata anche tra i componenti delle Commissioni Finanze di Camera e Senato, che dopo aver svolto un’indagine conoscitiva sul sistema fiscale, hanno approvato un documento conclusivo in cui si premette che il nostro sistema tributario, debuttato nel 1974, sebbene sia stato soggetto a cambiamenti normativi anche significativi, “sostanzialmente non ha conosciuto interventi strutturali di riforma organica nell’ultimo mezzo secolo”.

I parlamentati hanno voluto proporre perciò alcune misure specifiche, ben sapendo che in tutto questo lasso di tempo il contesto economico ha sperimentato cambiamenti di intensità superiore a quelli osservati nel passato: la dimensione dei mercati, il ruolo dello Stato, la struttura produttiva, le nuove tecnologie, la divisione del lavoro, le dinamiche della vita familiare, il peso del lavoro dipendente, la mobilità dei fattori produttivi. “Queste sono solo alcune delle principali dimensioni che, essendo profondamente mutate rispetto ad allora, hanno radicalmente cambiato il contesto all’interno del quale il sistema fiscale opera nonché la validità dell’obiettivo che persegue”.

Il PNRR prevede che il governo tenga conto di risultati dell’indagine conoscitiva per scrivere la legge-delega sulla riforma fiscale, che dovrebbe essere varata entro la fine di luglio. Che dunque l’intero sistema politico italiano chieda di ridurre l’Irpef sui ceti medi e di superare l’Irap non potrà essere ignorato da chi scriverà la nuova riforma fiscale. Così come che l’attività di riscossione debba andare incontro a una vera e propria “rivoluzione manageriale” e che lo scambio tra digitalizzazione e riduzione degli adempimenti per professionisti, imprese e intermediari debba essere un vincolo ineludibile e strutturale.

Il documento parlamentare è chiaro nell’indicare le condizioni per dispiegare i benefici della digitalizzazione e garantire migliori servizi ai singoli e alla collettività: informatizzare e semplificare gli adempimenti fiscali, anche attraverso l’interoperabilità delle banche dati, puntando a una sistema fiscale più equo, ma anche più semplice e più efficiente, attraverso l’utilizzo delle più evolute tecnologie, sempre nel rispetto del diritto alla protezione dei dati personali. In tal senso, l’indicazione aggiuntiva che arriva dai parlamentari è che “contestuale alla funzionale interoperabilità dei dati, è opportuno che, in sede di tutela del contribuente, sia comunque garantita allo stesso la conoscibilità di quelli in possesso dell’amministrazione finanziaria in un rapporto di parità e simmetria informativa, nonché la valorizzazione del contradditorio in sede di accertamento quale presupposto indefettibile della validità dello stesso.”

Il momento delle scelte dunque si avvicina, con il governo obbligato a precise scelte politiche.

Politiche fiscali basate sull’IA

Che l’IA possa aiutare a trovare la migliore politica fiscale con l’allocazione ottimale delle risorse ne sono convinti anche alla Salesforce, una società statunitense di tecnologia aziendale, dove un team guidato da Richard Socher ha sviluppato un sistema chiamato “AI Economist” che utilizza l’apprendimento per rinforzo, lo stesso tipo di tecnica dietro AlphaGo e AlpahZero di DeepMind, per identificare politiche fiscali ottimali per un’economia simulata.

Per ora la politica fiscale elaborata da AI Economist è un po’ insolita[1] e lo strumento è ancora relativamente semplice (non è possibile che includa tutte le complessità del mondo reale o del comportamento umano), ma è un primo passo verso la valutazione delle politiche in un modo completamente nuovo. “Sarebbe fantastico rendere la politica fiscale meno politica e più basata sui dati, testando la bontà dei modelli economici esistenti”, ha affermato il membro del team Alex Trott.

Meno convinto, invece, è Doyne Farmer, economista dell’Università di Oxford. Sebbene accolga con favore il crossover dell’apprendimento per rinforzo dai giochi all’economia, pensa che ci vorrà del tempo prima che lo strumento sia effettivamente utile. “Il mondo reale è troppo complicato”, dice. Il team accetta che alcuni economisti avranno bisogno di essere persuasi. A tal fine, stanno rilasciando il loro codice e invitando altri a eseguire i propri modelli attraverso di esso. A lungo termine, questa apertura sarà anche una parte importante per rendere affidabili tali strumenti.

Se in futuro la valutazione delle politiche, in un’economia simulata, sarà ad esclusivo appannaggio dell’apprendimento automatico e saranno gli algoritmi a identificare le politiche fiscali ottimali, si arriva alla domanda se l’IA potrà essere usata per influenzare l’attività economica reale e se riuscirà a distribuire la ricchezza in maniera più omogenea. Ancora non lo sappiamo, ma in ogni caso, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale sarà cruciale per individuare modelli decisionali a supporto delle scelte da effettuare, così che chiunque adotti la decisione di avere tasse più alte o più basse sarà messo in grado di dire meglio il perché.

L’utilizzo dell’IA nella PA

L’Intelligenza artificiale oggi è molto più presente nelle PA italianw di quanto si potrebbe pensare (procedure legate a concorsi e graduatorie, chat bot per rispondere alle domande più frequenti dei cittadini). Esistono anche le prime sentenze del Consiglio di Stato sulla digitalizzazione della pubblica amministrazione, avendo il legislatore posto degli obiettivi di efficientamento e automazione che possono essere perseguiti con strumenti diversi e l’IA è uno di questi.

“In questo momento, a legislazione invariata – fa presente Ernesto Belisario, avvocato esperto di PA – il Consiglio di Stato dice che l’utilizzo di algoritmi nell’ambito dell’attività amministrativa è auspicabile perché l’intelligenza artificiale può garantire efficienza all’attività amministrativa ed è anche garanzia di imparzialità dell’attività amministrativa”. Sebbene auspicabile, tuttavia, gran parte degli algoritmi utilizzati in ambito pubblico sono attualmente piuttosto semplici e riguardano le attività vincolate, cioè quelle che sono più facilmente automatizzabili e hanno a che fare con punteggi, graduatorie, concorsi.

Ben altra cosa rispetto alla lotta all’elusione e all’evasione fiscale. Eppure in questa direzione stanno guardando diversi governi.

L’IA per la lotta all’evasione: i casi di Francia e Italia

Se negli USA il fisco tecnologico, potenziato dall’IA, è ormai una realtà da decenni, in Europa le prime sperimentazioni sono più recenti. Sappiamo che l’interesse per questi temi sta aumentando e che l’amministrazione fiscale francese, per esempio, dall’inizio di quest’anno, ha istituito un sistema di monitoraggio dei social network per verificare la congruenza fra le dichiarazioni dei redditi presentate dai contribuenti e il loro reale tenore di vita.

La sperimentazione in corso, che durerà tre anni, prevede una prima fase dedicata all’apprendimento e alla progettazione, durante la quale sarà implementato il reperimento dei dati attraverso le piattaforme online (tecnica del web scraping[2]). La seconda fase sarà dedicata allo sfruttamento dei dati e alla loro trasformazione in informazioni utili per rilevare eventuali attività fraudolente. Per non ledere la privacy degli utenti, le autorità francesi[3] hanno imposto due condizioni: i dati devono essere liberamente accessibili sulla piattaforma digitale; i contenuti controllati devono essere volontariamente resi pubblici dall’utente sul sito web.

Dopo quello francese, anche il governo italia guarda all’IA come una possibile frontiera nella lotta all’evasione. Nell’atto di Indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale per il triennio 2020-2022 , firmato dal Ministro dell’Economia, tra le priorità affidate all’Agenzia delle Dogane, troviamo l’obiettivo di “efficientare la capacità di controllo a mezzo di strumentazione non intrusiva di ultima generazione e sviluppo di moduli di intelligenza artificiale di autoapprendimento nel contrasto ai fenomeni illeciti di natura fiscale ed extra tributaria”.

La Guardia di Finanza è chiamata a “valorizzare sistematicamente i dati acquisiti attraverso le indagini di polizia giudiziaria e di polizia economico-finanziaria, l’attività di intelligence, l’analisi di rischio mediante le banche dati, la cui interoperabilità sarà intensificata, l’uso di sistemi di intelligenza artificiale, anche in ottica predittiva, il controllo economico del territorio e i canali di cooperazione internazionale”.

Da ultimo, tra i compiti assegnati all’Agenzia delle Entrate rientra “il processo di valorizzazione del notevole patrimonio informativo esistente si svilupperà predisponendo opportune banche dati, che consentiranno il pieno sfruttamento delle informazioni a disposizione anche mediante il ricorso a tecniche di machine learning e intelligenza artificiale”. In tal senso, il Direttore dell’Agenzia Entrate, nella sua audizione https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/232968/Audizione+ADE+04.03.21+uv.pdf/34e48b94-d781-a4d0-caca-1512a6bfebef al Senato del 4 marzo 2021, ha delineato le direttrici dell’evoluzione del rapporto tra fisco e digitalizzazione.

Controlli fiscali di nuova generazione: le previsioni dell’Agenzia Entrate

L’Agenzia delle Entrate, negli ultimi anni, ha avviato significative innovazioni organizzative mediante la creazione di strutture centrali e periferiche specializzate nell’analisi ai fini della valutazione del rischio fiscale ed ha, nel contempo, introdotto strumenti innovativi e metodologie di advanced analytics e big data.

A livello centrale, sono stati realizzati e messi a punto strumenti dedicati all’analisi del rischio e della qualità dei dati. Altre infrastrutture e strumenti di big data sono in corso di realizzazione allo scopo di estendere la capacità dell’Agenzia di gestire e analizzare grandi volumi di dati.

Per le strutture territoriali, è stata realizzata una specifica piattaforma, pensata come strumento evoluto di analisi e navigazione dei dati, attualmente in corso di sperimentazione; inoltre, sempre a livello territoriale, sono state sviluppate forme di collaborazione con alcune Università, che hanno consentito di definire metodologie e tecniche innovative per l’analisi dei dati, molte delle quali sono state inglobate in un sistema avanzato denominato “TaxNet[4]”, ideato per rendere più efficace ed efficiente l’analisi del rischio fiscale, facilitando l’esplorazione e la ricerca delle relazioni tra i contribuenti, con possibilità di intercettare pattern di relazioni a rischio all’interno della rete fiscale.

Un importante potenziamento delle attività di contrasto ai fenomeni di evasione ed elusione fiscale, secondo il Direttore Ernesto Maria Ruffini – arriverà dal progetto denominato “A data driven approach to tax evasion risk analysis in Italy” (“Un approccio basato sui dati per analisi del rischio di evasione fiscale in Italia”) che ha ricevuto un finanziamento della Commissione europea. L’obiettivo strategico della nuova iniziativa dell’Agenzia, con la collaborazione di Sogei, è di innovare i processi di valutazione del rischio di non-compliance. In sostanza, si provvederà a introdurre, a sperimentare e a utilizzare tecniche innovative di network analysis, di machine learning e di data visualization, al fine di realizzare un nuovo sistema di supporto ai processi di individuazione dei soggetti ad alto rischio di evasione.

Fisco e digitalizzazione: cosa ci insegna l’esperienza del Cashback

La misura denominata “cashback“, prevista dalla legge Bilancio 2020 e disciplinata dal decreto n. 156 del 2020, è stata sospesa dall’attuale esecutivo. Qualcosa non è andato come previsto e siccome le risorse sono pur sempre scarse, meglio non perseverare nell’impiego di soldi senza che le finalità siano pienamente raggiunte.

Tra le finalità del cashback c’era quella di favorire un maggior uso delle carte di pagamento. Un giusto obiettivo, in un Paese nel quale il contante è ancora molto diffuso. Secondo un’indagine di PagoPA, il cashback un suo contributo può averlo dato. Non così come ci si aspettava, anche perché risulta difficile capire quale sia stata la spinta dovuta alle nuove abitudini dei consumatori legate alla pandemia. Commissioni bancarie e costi di transazione, a carico dei commerciati, plausibilmente, hanno tarpato le ali all’operazione (va ricordato che la promessa fatta dal precedente esecutivo, di cancellare le commissioni al di sotto dei 5 euro non è stata mantenuta). L’attuale governo, nel sospendere il cashback, non ha abbandonato la strada della digitalizzazione e ha varato un credito d’imposta a favore dei commercianti per spingerli a dotarsi di strumenti adeguati[5].

I sostenitori del cashback hanno insistito molto su un altro aspetto, ritenuto del tutto qualificante. L’incentivo ai pagamenti con carta o app avrebbe permesso di migliorare la lotta all’evasione e alle attività in nero. Il premier ha spiegato che la misura, tanto per cominciare, è risultata regressiva. L’esatto contrario della progressività fiscale scritta in Costituzione. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di incentivi e non di tassazione. Ma è pur vero che il cashback ha restituito soldi a consumatori largamente abbienti senza distinzione del tipo di spesa, anche per i beni di lusso. Peraltro sulla conoscibilità degli utilizzatori poco o nulla si sa.

“Relativamente al cashback – si legge nel Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti – sembrerebbero sussistere difficoltà a monitorarne i reali effetti economici e tributari dalla misura. Il programma non raccoglie informazioni di dettaglio circa la categoria merceologica e la localizzazione degli esercenti. Risulta pertanto paradossale che le informazioni, di cui ordinariamente dispongono dli acquirer e le organizzazioni che analizzano il settore dei pagamenti elettronici non siano conoscibili dalle istituzioni pubbliche che hanno finanziato l’iniziativa”.

“Permane – si legge più avanti – la preclusione all’utilizzazione dei dati relativi ai pagamenti elettronici effettuati dai consumatori finali per le attività di controllo, stante la mancata attuazione dell’articolo 1, comma 682, della legge n. 260/2019, in forza della quale i dati contenuti nell’archivio dei rapporti finanziari da parte dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza sono utilizzati per le attività di analisi del rischio e di controllo ai fini fiscali”.

Insomma, per vincoli normativi, soprattutto per la privacy, l’interconnessione tra banche dati non si è concretizzata e l’obiettivo della lotta all’evasione è sfumato. La lezione più importante che si può trarre riguarda la consapevolezza nell’utilizzo (e nelle criticità) di questi strumenti. Oggi è molto importante che le amministrazioni sappiano cosa comprare e che riescano ad assicurarsi, da parte dei fornitori, il possesso di tutti i requisiti necessari.

Diritto dell’IA: verso procedure robotizzate da normalizzare

Se non si può più fare a meno della IA nella pubblica amministrazione moderna, non si può fare a meno di una sistematizzazione giuridica della nuova frontiera del diritto. Sul portale istituzionale della giustizia amministrativa è stato pubblicato un contributo di dottrina, a firma di un Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, indicato come relazione al convegno in tema di “Intelligenza artificiale e Invalidità e giustiziabilità dinanzi al giudice amministrativo”.

Secondo l’autore “essendo l’intelligenza artificiale parte della nostra vita, dobbiamo regolarla nei suoi vari aspetti che si presentano, diritto dell’economia, diritto tra privati, diritto pubblico, diritto internazionale e così via: il diritto non è altro che la nostra vita disciplinata dalle leggi che la regolano e l’attività amministrativa a mezzo di algoritmo riguarda non solo la forma ma la sostanza della attività e può quindi consentire di migliorare le perfomances dell’amministrazione”.

L’attività amministrativa realizzata in modo automatizzato, perciò, non può ritenersi di per sé invalida, ma essa è più che valida e anzi auspicabile, sempre rispettando regole e principi ben individuati. Insomma, l’utilizzo di intelligenza artificiale nelle PA è ormai pacifico, non occorrono nuove norme ad hoc e non sarà più consentito tornare indietro. Occorrono piuttosto dei contrappesi adeguati. Il Consiglio di Stato, nelle sue due storiche sentenze[6], individuando alcuni principi, è giunto alla conclusione che le decisioni automatizzate:

  1. non siano esclusivamente robotizzate ma debba esservi “un soggetto responsabile” (persona fisica) per un principio di “accountability”;
  2. che siano “trasparenti” o piuttosto comprensibili, non opachi, i criteri, di rilevanza, di acquisizione, di rilevazione, di profilazione dei dati, al fine di inquadrare sotto una regola giuridica la regola tecnica connessa all’algoritmo;
  3. che tali criteri “non siano discriminatori”, sotto i profili più soliti delle differenze di sesso, razza, religione, pensiero e così via (art. 3 Cost.); tale antidiscriminatorietà va intesa anche nel senso che tali criteri debbano essere ragionevoli, logici, corrispondenti alle linee guida della specifica materia della quale si tratta.

In sostanza, il meccanismo attraverso il quale si concretizza la decisione “robotizzata” (l’algoritmo) deve essere conoscibile e tale conoscibilità deve essere garantita in tutti i suoi aspetti: dai suoi autori, al procedimento usato per la sua elaborazione, al meccanismo di decisione. Emerge così il diritto alla spiegazione, che null’altro è che un’evoluzione del diritto alla motivazione. Il diritto di ciascuno a conoscere l’esistenza di processi decisionali automatizzati che lo riguardino e ricevere informazioni sulla logica utilizzata; il principio di non esclusività della decisione algoritmica e di non discriminazione algoritmica, nel senso che l’algoritmo non deve assumere decisioni che abbiano effetti discriminatori verso determinati soggetti. È nel rispetto di tali principi che sarà opportuno che il titolare del trattamento adotti dei requisiti minimi affinché siano rettificati i fattori che comportano inesattezze dei dati e sia minimizzato il rischio di errori, impedendo, tra l’altro, effetti discriminatori.

È da notare che, in alcuni casi, potrebbe essere opportuno adottare strumenti che non siano esattamente in grado di spiegare il proprio comportamento per individuare situazioni anomale, sulle quali successivamente potrebbero indagare analisti umani, supportati da sistemi di decisioni “trasparenti”.

Se la creazione del diritto dell’IA è in continuo divenire e da un lato presenta grandi opportunità, dall’altro permangono ancora tanti dubbi, in tema di parzialità dei dati, di esigenza del consenso, quindi di vera utilità e non dannosità sociale sotto vari punti di vista, soprattutto nel senso dell’esigenza di un utilizzo “responsabile” ed etico di strumenti dalle grandi possibilità.

Conclusioni

Le scelte di politica fiscale saranno sempre più condizionate da modelli di IA in grado di supportare le decisioni. Abbiamo bisogno di indirizzi e modelli decisionali capaci di regolare fenomeni tecnologici, economici, sociali, prima che amministrativi, con nuovi strumenti giuridici e tecnici affinché l’IA siano in grado di apportare benefici al benessere individuale e sociale.

Anche nella lotta all’evasione fiscale il contributo dell’IA sarà determinante. I sistemi di IA possono aiutare a trovare soluzioni, potenziando la lotta all’evasione fiscale e migliorando il rapporto tra fisco e contribuente, ma solo se saremo capaci di descrivere obiettivi, contesto, vincoli e strumenti in modo corretto. Dobbiamo abituarci a farlo, perché indietro ormai non si torna.

Il progresso è condizionato dallo sviluppo crescente della scienza digitale, dalle esigenze incessanti della società e dell’economia, da un mondo che aumenta le sue richieste, perciò non si può pretendere che una realtà così complessa e soprattutto in divenire sia regolata dalla fissità della legge.

Per questo è importante orientarsi verso una regolazione consapevole, che abbia regole chiare e precise, muovendosi entro binari giuridici ben definiti, che eviti l’utilizzo di algoritmi considerandoli dei semplici software, senza avere contezza dei rischi esistenti e delle cautele necessarie.

Per rispondere alla domanda che abbiamo posto nel titolo, riteniamo che non sia opportuno demandare la gestione del fisco e dell’economia a una macchina, ma che sia ormai indispensabile supportare le decisioni degli esperti e dei politici, con sistemi di supporto alle decisioni basati su Intelligenza Artificiale, che consentano di modellare e cercare di prevedere gli effetti delle leggi e degli interventi di varia natura sulla società e sul benessere.

Note

  1. A differenza della maggior parte delle politiche esistenti, che sono progressive (vale a dire, i redditi più alti sono tassati di più) o regressivi (i lavoratori più alti sono tassati di meno), la politica dell’IA ha messo insieme aspetti di entrambi, applicando le aliquote fiscali più elevate ai ricchi e ai poveri e i più bassi ai lavoratori a reddito medio. Come molte soluzioni proposte dalle IA, il risultato sembra contro intuitivo e non qualcosa che un essere umano potrebbe aver ideato. Ma il suo impatto sull’economia ha portato a un divario minore tra ricchi e poveri.
  2. Il web scraping (letteralmente “raschiare”) o web data extraction è una tecnica mediante cui dati e informazioni pubblicate su alcuni siti web vengono estratte automaticamente per essere poi riportate su altri siti. La pratica del web scraping non è di per sé illegale, in realtà essa varca la soglia dell’illegalità quando viene impiegata per finalità illecite e quando i dati estrapolati vengono utilizzati per altri usi (pubblicazione, scopi di lucro, finalità di controllo, raccolta e trattamento dati personali, sensibili, finanziari, ecc.) all’insaputa e senza il consenso del titolare del sito e/o del titolare dei contenuti e delle informazioni presenti su di esso.
  3. Si tratta della Commissione nazionale per l’informatica e le libertà e dell’Authority della privacy.
  4. La nuova piattaforma è attualmente in corso di sperimentazione presso alcune Direzioni regionali, in modo da verificarne l’efficacia prima della relativa estensione a livello nazionale.
  5. L’intervento del governo prevede il rimborso totale delle commissioni pagate alle banche da commercianti e ristoratori che accettano bancomat e carte di credito. La norma è contenuta nel decreto legge “Sostegni bis (AC 3132)” ed estende dal 30 al 100% il credito d’imposta sulle spese del Pos per un anno, fino al 30 giugno 2022, a favore delle partire Iva che hanno un fatturato inferiore ai 400 mila euro.
  6. Nel 2019 il Consiglio di Stato (con le note sentenze 8 aprile 2019 n. 2270 e 13 dicembre 2019 n.8472) si era espresso sulla legittimità dell’utilizzo di algoritmi nell’ambito dell’attività discrezionale della PA, quindi anche ai fini fiscali.

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