manovra 2019

Impresa 4.0, perché incentivare la formazione è necessario all’Italia e ai giovani

La diffusione della cultura dell’innovazione lungo l’intero ciclo formativo, dalla scuola all’università è necessaria all’economia e può stimolare l’occupazione giovanile. Ecco perché bisogna sperare che gli emendamenti alla Manovra correggano i tagli agli incentivi in Formazione e alle ore di Scuola-Lavoro

Pubblicato il 28 Nov 2018

Dunia Pepe

INAPP e Stati Generali dell’Innovazione

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Per sapere, in termini strettamente economici,  in quale misura gli incentivi promossi da Impresa 4.0 abbiano effettivamente contribuito ad innescare investimenti in tecnologie ci vorrà il prossimo anno. 

Cionondimeno, per dare modo ad un numero ampio di imprese di intraprendere gli investimenti necessari alla trasformazione tecnologica, non bisogna fermarsi a questi dati, ma ragionare con una logica di medio-lungo periodo.

Ecco perché non si può non guardare con preoccupazione all’intenzione manifestata dal Governo di ridimensionare il Piano nazionale Impresa 4.0 nella Manovra 2019, riducendo il credito di imposta per la formazione e le ore di alternanza scuola lavoro. Ora alcuni emendamenti incoraggiano la speranza (come sottolineato anche da Elio Catania di Confindustria Digitale), ma la battaglia sarà dura e delicatissima.

Se i tagli saranno confermati, infatti, rischiano di allontanare i giovani dalle competenze utili per i lavori del futuro e di vanificare quanto fin qui ottenuto grazie al Piano nazionale Impresa 4.0, che ha dato vita nel nostro Paese ad un ecosistema dell’innovazione i cui attori interagiscono e collaborano nell’intento di accompagnare l’industria manifatturiera verso un processo di progressiva digitalizzazione. Gli attori di questo sistema sono i Competence Center, i Digital Innovation Hub, i Cluster, le Smart Factory, le imprese sia di grandi dimensioni che PMI, ma anche i sistemi dell’istruzione e della formazione. Ognuno di questi sistemi ha una sua identità, una specifica configurazione giuridica, un diverso ruolo rispetto al processo dell’innovazione.

I competence center

L’istituzione dei competence center (CC) risponde alla filosofia di dotare la nazione di una rete di formazione alle competenze in grado di coprire tutte le tecnologie 4.0. Hanno l’obiettivo di fornire l’advisory tecnologica soprattutto alle PMI, favorire la sperimentazione e la produzione di nuove tecnologie, formare i giovani ed accrescere le competenze dei lavoratori. Il 30 aprile 2018 si è chiuso il bando per l’istituzione dei competence center ed è iniziata la fase di istituzione dei partenariati con le imprese. Da parte delle imprese c’è stato molto interesse a collaborare ed in alcuni casi è stato persino difficile gestire tutte le manifestazioni di interesse. Entro il 30 dicembre 2018, i competence center presenteranno i partenariati e poi riceveranno i finanziamenti per poter iniziare le attività. I competence center proposti in Italia sono otto e rispondono ad una logica verticale di specializzazione in diverse aree tematiche: robotica, additive manufacturing, realtà aumentata, internet of things, cloud, big data e analytics, simulazione, cyber security.

I Digital Innovation Hub

Se i CC rappresentano il risultato di forme di partenariato pubblico-privato, i Digital Innovation Hub (DIH) sono finanziati da Confindustria e dalle imprese. I DIH presenti in Italia sono 21 e rispondono ad una logica orizzontale volta a diffondere l’innovazione nei territori. Essi hanno una dimensione regionale e svolgono un lavoro per molti aspetti “artigianale” per l’innovazione e la digitalizzazione soprattutto delle PMI. Da un lato, le imprese stanno manifestando grande interesse verso l’opportunità che viene loro offerta di intraprendere un percorso di innovazione, dall’altro lato, i DIH cercano di intercettare quante più imprese possibili da avviare alla digitalizzazione. Per la valutazione del grado di maturità digitale delle imprese e per accompagnarle nel percorso di innovazione, i DIH hanno a disposizione uno strumento di grande rilevanza: si tratta di un test, messo a punto dal Politecnico di Milano e da Assoconsult, che consente di misurare la maturità digitale delle aziende in relazione a vari macroprocessi  con lo scopo di capire, da un lato la loro posizione di partenza e, dall’altro, di raccogliere i dati utili per stimare il posizionamento del sistema industriale italiano e per strutturare gli indirizzi strategici che potrebbero promuovere il processo di digitalizzazione nel Paese (Linati cit. da Magna, 2018, p. 4).

Il test per misurare la maturità digitale delle aziende

Specificamente, il test prende in considerazione quattro dimensioni relative alla maturità digitale di un’impresa:

  • l’organizzazione;
  • l’esecuzione dei processi;
  • il monitoraggio e il controllo;
  • le tecnologie.

Queste quattro dimensioni sono poi analizzate nei macro processi che compongono la value chain dell’impresa: ricerca e sviluppo, produzione, qualità, supply chain, logistica, marketing, vendite e customer care, risorse umane (Magna, 2018, p.5).

Il Digital analizza i risultati emersi dal test con l’impresa, verifica con essa i punti di forza ed i punti di debolezza e fa una sorta di roadmap cercando di capire cosa può fare l’impresa per avviare il processo di digitalizzazione e di innovazione, quali tecnologie può introdurre, su quali funzioni aziendali si può concentrare. Otre alla misurazione della maturità digitale di quell’impresa, il report riporta i trend relativi alla trasformazione digitale del suo settore di appartenenza. In questo modo l’azienda, oltre a ricevere suggerimenti sul percorso da seguire ha modo di avere anche informazioni sul posizionamento nel proprio settore e nel contesto generale. L’aspetto più complesso di questo processo di valutazione delle imprese è la messa a punto di un assessment nazionale unico da parte del Digital Innovation Hub di Roma, Cicero Hub, che raccoglie e gestisce i dati dell’intera rete nazionale: solo uno strumento di analisi capace di dare risultati paragonabili può consentire di avere uno sguardo globale e di ottenere un confronto efficace tra i vari processi di innovazione (Magna, 2018, p.6).

La fase di sperimentazione dell’innovazione

Una volta individuati i passi necessari che l’impresa deve compiere per migliorare ed innovarsi, ha inizio la fase due fatta di sperimentazioni dell’innovazione, di formazione, di introduzione nell’impresa di tecnologie abilitanti. In questa fase, il DIH può orientare l’impresa verso luoghi ai quali essa da sola non saprebbe accedere e dove è possibile conoscere e testare queste tecnologie :

  • i centri di eccellenza e le smart factory come il Centro Tecnologico e Applicativo – TAC – di Piacenza;
  • la fabbriche faro come l’Ansaldo di Genova;
  • i Comptence Center,
  • i Cluster tecnologici nazionali e regionali,
  • le università, i parchi tecnologici, i centri di ricerca pubblici e privati, i centri di trasferimento tecnologico.

Un esempio di centro di eccellenza per la guida del manifatturiero italiano verso l’innovazione è il TAC di Piacenza. Grazie ad un accordo tra Confindustria e Siemens, il TAC collabora con la rete dei Digital Innovation Hub di Confindustria offrendo la possibilità di organizzare 100 giornate di formazione, fino alla fine del 2020, per le imprese interessate a conoscere e investire nelle tecnologie abilitanti Industria 4.0 (Pedrollo, 2018). Il Centro Tecnologico e Applicativo rappresenta un centro di eccellenza e modello di smart factory del tutto simile ai Cluster nazionali istituiti nel 2012 dal Ministero dell’Istruzione.

I Cluster

Il Cluster, scrive Laura Magna citando Viscardi (2018, p. 8), è il terzo elemento della rete di abilitazione alle competenze digitali. Si tratta di un anello molto importante in questa catena del valore: i cluster nazionali sono 12, riconosciuti da una legge dello stato che gli ha assegnato competenze ben precise. I Cluster sono un’emanazione del MIUR e hanno una specializzazione tematica, così come i Competence Center. Sono chiamati a tracciare delle roadmap di sviluppo per le imprese a partire dalle proprie aree di specializzazione che riguardano: l’aerospazio; l’agrifood; la chimica verde; la fabbrica intelligente; i mezzi ed i sistemi per la mobilità di superficie terrestre e marina; le scienze della vita; le tecnologie per gli ambienti di vita; le tecnologie per le smart communities; il patrimonio culturale, il design, la creatività e il made in Italy; l’economia del mare; l’energia.

Il Piano Nazionale di Ricerca definisce i Cluster come lo strumento principale per raggiungere gli obiettivi di coordinamento pubblico-pubblico tra Stato, Regioni e Amministrazioni locali. I Cluster hanno la funzione di studiare e comprendere i megatrend, le direzioni del cambiamento e dell’innovazione, i grandi orientamenti di natura socioeconomica che stanno interessando il Paese come l’invecchiamento della popolazione, l’emergere di nuovi mercati ma anche la scarsità delle risorse e il cambiamento climatico o l’avanzare delle tecnologie disruptive che più impattano sul manifatturiero come, ad esempio, l’intelligenza artificiale. Di questi megatrend i Cluster informano il Governo che, in casi come questo, potrebbe promuovere un bando per diffondere l’utilizzo dell’AI nelle aziende ed il suo studio al livello dell’istruzione e della formazione.

Il cluster nazionale fabbrica intelligente

Dal 2015 è stato istituito il Cluster Nazionale Fabbrica Intelligente: un’Associazione senza fini di lucro che raccoglie oltre 300 aderenti tra imprese di grandi e medio-piccole dimensioni, università e centri di ricerca, associazioni imprenditoriali, distretti tecnologici, organizzazioni non governative e altri stakeholder attivi nel settore del manufacturing e della fabbrica intelligente. Partendo dalle potenzialità del Piano Industria 4.0 “il Cluster Fabbrica Intelligente ha lanciato un programma innovativo con lo scopo di applicare tecnologie Industria 4.0 per risolvere problemi concreti. La novità sta nel farlo su impianti produttivi destinati al mercato, ridisegnando le intere fabbriche. Queste diventerebbero le Lighthouse Plant, cioè le ‘fabbriche faro’, che nelle intenzioni del Cluster devono indicare la strada maestra verso il manifatturiero avanzato” (Viscardi cit. da Magna, 2018, pp. 8 – 9).

La diffusione della cultura dell’innovazione

Nella misura in cui interessa anche la formazione delle competenze per la digitalizzazione, il Piano Impresa 4.0 prevede la diffusione della cultura dell’innovazione lungo l’intero ciclo formativo, dalla scuola all’università, dagli istituti tecnici superiori ai corsi di dottorato. Il Piano promuove un modello formativo volto a far crescere professioni tecniche e scientifiche capaci di dare una cultura che non invecchi con la tecnologia. Questa formazione dovrebbe svilupparsi in ottica di Industria 4.0, quindi soprattutto nell’ambito della valorizzazione degli indirizzi di studio METS – mathematic, engineering, technology, science – sia a livello universitario che di scuole superiori con una significativa rivalorizzazione degli istituti tecnici. Un aspetto appare di particolare importanza in questa politica della formazione: Industria 4.0 può e deve essere anche un’occasione per l’occupazione giovanile. Il ruolo della formazione diventa essenziale in un mondo ad alto tasso di trasformazione che richiede nuove e significative competenze legate all’utilizzo delle nuove tecnologie, a sistemi di produzione e di economia circolare, a dinamiche di sviluppo e di crescita improntate all’innovazione ed alla sostenibilità.

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Il grado di maturità digitale delle imprese manifatturiere

Il Centro Studi di Confindustria – CSC – ha condotto diverse analisi per capire quale grado di maturità digitale sia stato effettivamente raggiunto dall’impresa manifatturiera italiana grazie al Piano Impresa 4.0. Le analisi del CSC sono state svolte a partire dalle rilevazioni Istat sulle tecnologie ICT che fotografano la situazione all’inizio del 2017. Queste rilevazioni indicano come ci sia in realtà una forte eterogeneità all’interno del sistema industriale: cinque, in particolare, sono i profili digitali delle imprese individuati sulla base delle tecnologie e delle competenze di cui dispongono (CSC, 2018, p. 1).

  • Innovatori 4.0 ad alto potenziale che rappresentano il 4% del totale delle imprese manifatturiere con più di 10 addetti, ossia 2.700 imprese circa.
  • Possibili innovatori 4.0 ad alto potenziale che rappresentano il 9% del totale delle imprese manifatturiere con più di 10 addetti, ossia 6.100 imprese circa.
  • Innovatori 4.0 a basso potenziale che rappresentano il 4% del totale delle imprese manifatturiere con più di 10 addetti, ossia 2.700 imprese circa.
  • Digitali incompiuti che rappresentano il 37% del totale delle imprese manifatturiere con più di 10 addetti, ossia 25.000 imprese circa.
  • Analogici che rappresentano il restante 46% del totale delle imprese manifatturiere con più di 10 addetti, ossia 31.000 imprese circa.

Complessivamente, quindi, l’assenza di software ICT per la raccolta sistematica delle informazioni aziendali caratterizza quasi la metà delle imprese manifatturiere (con più di 10 addetti) mentre la mancanza di competenze umane specialistiche in ambito ICT arriva ad interessare quasi il 90% di esse (CSC, 2018, pp. 4 – 5).

La ripartizione dei profili digitali per classe dimensionale mostra una chiara relazione inversa tra il ritardo digitale e la taglia dell’impresa. Nella classe 10-49 addetti, più della metà delle imprese è classificata come “analogica”; sommando anche la categoria dei “digitali incompiuti” si raggiunge l’89% del totale. Di contro, nella classe 250 e più addetti, quasi la metà delle imprese rientra nella categoria degli “innovatori 4.0 ad alto potenziale”; sommando anche la categoria dei “possibili innovatori 4.0 ad alto potenziale” si raggiunge l’88% del totale (CSC, 2018, p. 5).

A livello settoriale, sono soprattutto tre i raggruppamenti che finora hanno maggiormente investito in tecnologie 4.0. Due prevalentemente in veste di produttori di beni strumentali 4.0, ossia l’elettronica da un lato e la meccanica strumentale e le apparecchiature elettriche dall’altro; uno in veste di attivatore di domanda di questi beni strumentali 4.0, ossia i mezzi di trasporto. Di contro, i settori tradizionali del Made in Italy, legati al mondo del food, fashion e design sono quelli che hanno finora investito meno nella digitalizzazione probabilmente a causa delle loro logiche specifiche di produzione (CSC, 2018, pp. 5 – 7).

La forte eterogeneità nei profili digitali delle imprese non assume particolari connotati geografici. Nel Nord si registrano le quote maggiori di imprese classificate come “innovatori 4.0 ad alto potenziale” e come “possibili innovatori 4.0 ad alto potenziale”, ma si tratta pur sempre di quote marginali rispetto al numero di “digitali incompiuti” e di “analogici”. Il Centro è l’area dove i profili digitali più evoluti hanno il peso relativamente minore, e questo anche in ragione della maggiore specializzazione relativa nei settori del Made in Italy tradizionale che sinora sono stati meno interessati dalla trasformazione digitale. Il Sud è allineato alla media nazionale per quanto riguarda il peso dei profili digitali più evoluti, ma presenta una quota maggiore di imprese “analogiche”.

Il Piano Nazionale Industria 4.0 definisce dunque per la prima volta in Italia una politica articolata di sostegno pubblico all’adozione di tecnologie 4.0 da parte delle imprese, grazie all’adozione di misure tra loro complementari: la diffusione di reti a banda ultralarga sul territorio nazionale, la concessione di sgravi fiscali automatici riconosciuti alle imprese che investono in beni strumentali e tecnologie 4.0, l’istituzione del credito agevolato per sostenere gli investimenti, il potenziamento degli Istituti Tecnici Superiori e degli studi tecnico e scientifici per la diffusione di una formazione 4.0.

Ad oggi non sono ancora disponibili dati utili a comprendere, in termini strettamente economici, in quale misura gli incentivi promossi da Impresa 4.0 abbiano effettivamente contribuito ad innescare investimenti in tecnologie.

Tali investimenti potranno essere stimati attraverso i bilanci di chiusura dell’anno fiscale delle imprese e comunque solo nel 2019. Ciò che ci si può auspicare è che l’orizzonte della politica sia di medio-lungo periodo, vale a dire che sappia guardare oltre il 2018 e questo per dare modo ad un numero ampio di imprese di intraprendere gli investimenti necessari alla trasformazione tecnologica. Preoccupano al riguardo, in questo momento, la proposta di riduzione del credito di imposta, per la formazione, e il taglio delle ore, di alternanza scuola lavoro, che rischia di allontanare i giovani dalle competenze utili per i lavori del futuro.

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Riferimenti bibliografici

Centro Studi Confindustria (2018), Impresa e politica insieme per l’industria 4.0, testo accessibile al sito www.confindustria.av.it/wp-content/uploads/2018/09/Nota-CSC-n.-3-2018_Industria-4.0.pdf

Confindustria (2018), I Digital Innovation Hub. La rete di Confindustria, testo accessibile al sito: Report_DIH_con_allegati_19_luglio_2018 (4).pdf

Magna L. (2018), Il futuro dei Digital Innovation Hub, in Industria italiana, testo accessibile al sito: www.industriaitaliana.it/il-futuro-dei-digital-innovation-hub/

Pedrollo G. (2018), “White Paper. Cento giornate per fare Industria 4.0 in Italia”, testo accessibile al sito: www.01net.it/cento-giornate-industria-italia/

Pepe, D. (2018), “Digital innovation hub, cosa sono e che ruolo hanno in Industria 4.0” in AgendaDigitale.eu, testo accessibile al sito: www.agendadigitale.eu/industry-4-0/innovazione-4-0-italia-competence-center-digital-innovation-hub/

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