l'analisi

Rivendita delle licenze usate, quali regole per l’Open source?

La rivendita di licenze usate è legittima e deve sottostare a condizioni sancite dalla Corte di giustizia europea. Il discorso relativo alle licenze Open source merita una discussione più approfondita perché, al di là dell’uso del software, tendono a creare una comunità

Pubblicato il 08 Feb 2023

Simona Lavagnini

avvocato, partner LGV Avvocati

open source software

È ormai noto che la rivendita di licenze di software usato sia legittima e possibile. Il principio è stato sancito dalla Corte di giustizia europea che, con la decisione nel caso UsedSoft GmbH c. Oracle International Corp. del 3 luglio 2012 (C-128/11), ha statuito che la rivendita delle licenze del software usato è lecita, purché rispetti determinate condizioni.

La decisione della Corte si è basata sul principio di esaurimento dei diritti d’autore e di marchio, il quale stabilisce che il titolare dei diritti non può opporsi alle rivendite successive del bene protetto, una volta che questo sia stato immesso in commercio nel territorio italiano o di uno Stato membro dello Spazio economico europeo (See), da parte dello stesso titolare dell’esclusiva o comunque con il suo consenso.

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I principi

Secondo la Corte di giustizia europea questa regola vale anche per le licenze di software, che vengono riqualificate come contratti di vendita a condizione che prevedano la concessione a favore dell’acquirente del diritto di utilizzare il software per un periodo illimitato di tempo e, inoltre, a fronte del pagamento di un compenso che corrisponda al valore economico della copia del software.

Quando si verificano queste circostanze, poiché – come detto – la licenza è equiparata ad una vendita, le restrizioni dirette a impedire l’ulteriore circolazione del software non sono invalide, con la conseguenza che l’acquirente del software può cedere il software stesso, anche se ciò è vietato dalla licenza.

Egli deve tuttavia privarsi completamente del software a favore dell’acquirente e cessarne quindi ogni uso, rendendo inutilizzabili eventuali copie digitali che siano rimaste in suo possesso. Il principio in questione è ormai consolidato, in quanto ulteriormente ribadito dalla Corte di giustizia europea nel caso Ranks contro Microsoft (causa C-166/15, decisione del 12 ottobre 2016), con la precisazione che, il principio dell’esaurimento, non si applica alle copie di backup del software.

Il software Open source

Non è tuttavia chiaro se le regole sull’esaurimento ora illustrate si debbano applicare anche nel caso in cui il software sia distribuito attraverso licenze Open source. Le licenze Open source sono quei contratti di cui si avvale la comunità del software cosiddetto “libero”, basate sulla distribuzione gratuita del software all’utente, il quale riceve copia del software stesso nella versione di codice sorgente e può non solo utilizzarlo, ma anche studiarlo, modificarlo e redistribuirlo con o senza modifiche.

La licenza Open source impone tuttavia a tutti i suoi fruitori di redistribuire il software nel rispetto delle condizioni in cui esso è stato ricevuto, e quindi in particolare mettendo a disposizione il codice sorgente del software nella versione modificata, e non soltanto il codice oggetto, e comunque collegando sempre il software stesso alle condizioni della licenza e alle relative annotazioni circa la titolarità dei diritti.

In questo senso le licenze Open source hanno un effetto di tipo virale, nel senso che le libertà attribuite all’acquirente si propagano nella catena della distribuzione e degli sviluppi. È evidente che le licenze Open source siano caratterizzate da un numero di libertà conferite all’utente ben maggiore di quelle tipicamente concesse nello schema delle licenze commerciali, ma è altrettanto evidente che le limitazioni connesse alle licenze Open source siano particolarmente penetranti, poiché l’utente-sviluppatore è tenuto per contratto a rimettere a disposizione il software sviluppato e a rinunciare al suo diritto di monopolio, concedendone ai terzi la libera utilizzazione in tutte le forme previste dalla licenza Open source.

I nodi

Poiché le licenze Open source sono tipicamente caratterizzate dalla concessione a favore dell’acquirente di un diritto di utilizzazione a tempo indeterminato – esattamente come avviene nel mondo del software commerciale – vi è da chiedersi se anche questo tipo di licenze possa essere assimilato ad un contratto di vendita, cui possa essere applicato il principio di esaurimento come sopra descritto.

Se la risposta fosse positiva, ci si dovrebbe poi chiedere se l’acquirente della licenza possa lecitamente rivendere la propria copia del software senza necessariamente rispettare le condizioni previste dalla licenza, dal momento che i contratti di compravendita sono tendenzialmente contratti di cessione della proprietà, a cui difficilmente possono essere applicate limitazioni o restrizioni.

La questione può essere risolta sulla base dell’esame delle caratteristiche tipiche delle licenze Open source le quali sono, secondo l’interpretazione prevalente, accordi appartenenti alla categoria dei contratti gratuiti atipici. In quanto tali, le licenze Open source sono considerate valide ed applicabili, secondo il nostro ordinamento, in quanto dotati di una causa meritevole.

In questo senso esiste già una giurisprudenza nazionale e internazionale sufficientemente consolidata. Le licenze Open source sarebbero infatti dirette a realizzare un interesse delle parti che, benché di carattere non patrimoniale, sarebbe comunque sempre individuabile, per esempio nell’interesse all’ampliamento della notorietà da parte del titolare dei diritti, ovvero alla promozione della circolazione e dello sviluppo del software in modalità dinamica.

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Il principio dell’esaurimento nell’Open source

Le licenze Open source sono tendenzialmente caratterizzate dalla gratuità. In questo caso si potrebbe allora valorizzare il passaggio della decisione della Corte di giustizia europea, nella quale la stessa ha ritenuto che una delle condizioni per l’applicabilità dell’esaurimento alle licenze di software consista nella circostanza che la copia del software sia stata immessa sul mercato a fronte della ricezione da parte del titolare dei diritti di un compenso corrispondente al valore economico della copia stessa.

In questo caso, infatti, il titolare dei diritti ha già soddisfatto la propria rendita di posizione monopolistica con la percezione del corrispettivo economico versato dal licenziatario per la licenza, e non ha quindi più diritto a controllare l’eventuale successiva commercializzazione dell’opera. Quando la licenza è gratuita, tuttavia, non è possibile individuare un corrispettivo economico a favore del titolare dei diritti, e questa circostanza potrebbe già essere un elemento sufficiente per escludere l’applicabilità del principio dell’esaurimento alle licenze open source.

Non tutte le licenze Open source sono tuttavia caratterizzate dalla totale gratuità. Inoltre, pur in mancanza di un corrispettivo economico, esse non sono contratti liberali, ovvero atti di disposizione in cui il disponente persegue l’intento di arricchire l’altra parte attraverso il proprio impoverimento, e senza alcun altro interesse.

Al contrario, le licenze Open source perseguono precisi interessi del disponente che non sono patrimoniali ma non sono neppure altruistici o, per lo meno, interamente altruistici. A ben vedere, tuttavia, questi interessi possono essere perseguiti solo se viene mantenuto il carattere virale della licenza, grazie al quale si produce l’ulteriore disseminazione del software in codice sorgente, con tutte le connesse libertà dell’utente, che costituiscono lo strumento attraverso il quale si realizza l’obiettivo del titolare dei diritti a una diffusione ampia del suo software e a un suo sviluppo dinamico.

Di conseguenza, applicare il principio di esaurimento nel contesto delle licenze Open source equivarrebbe a negare la stessa ratio del contratto di licenza quale contratto gratuito atipico. Si dovrebbe allora giungere alla conclusione che la licenza Open source è invalida ma, in questo caso, l’acquirente non avrebbe mai validamente ricevuto i diritti d’utilizzo, e l’ulteriore distribuzione delle copie del software da parte sua sarebbe sicuramente illecita.

Si tratta di una conclusione estrema che contraddice la realtà economica e sociale delle licenze open source, e che quindi va sicuramente esclusa.

Il caso Tom Kabinet e i libri elettronici

Questa conseguenza pare necessaria alla luce del caso Tom Kabinet del 19 dicembre 2019, con cui la Corte di giustizia europea ha escluso l’applicazione del principio di esaurimento ad un servizio on-line consistente in un mercato virtuale per libri elettronici “di seconda mano”.

La Corte ha infatti ritenuto che le regole sull’esaurimento del caso Usedsoft non possano essere applicate ai libri elettronici, in quanto esse sarebbero di specifica applicazione al solo software, di cui si occupa la Direttiva 2009/24, mentre in generale per le altre opere dell’ingegno deve essere presa in considerazione la Direttiva Infosoc sul diritto d’autore europeo, con esiti diametralmente opposti.

Conclusioni

A ben vedere, la sentenza Tom Kabinet si basa su di un principio di specialità che sembra strettamente legato alle modalità di circolazione dei software commerciali, tramite licenze d’uso perpetue e basate sul pagamento di un corrispettivo. Valorizzando le differenze fra i modelli distributivi del software commerciale e del software Open source, si dovrebbe escludere l’applicabilità del principio dell’esaurimento a quest’ultimo settore.

Le licenze Open source non sono strettamente finalizzate a concedere all’utente il mero uso del software, ma mirano a creare una vera e propria comunità, i cui partecipanti sono tendenzialmente a loro volta titolari di diritti d’autore, che modificano il software per evolverlo e re-immetterlo nel circuito della comunità. Di qui, l’estraneità del modello Open source a quello del software commerciale e l’opportunità di riconoscere quindi la validità e l’autonomia delle licenze Open source, con la conseguente piena applicazione delle clausole ivi previste, fra cui in particolare quelle tipiche della cosiddetta viralità.

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