la riflessione

Una nuova PA col PNRR: bello, ma evitiamo gli errori del passato

Non basta reclutare giovani laureati con competenze tecniche per cambiare la PA: serve anche un’importantissima aggiunta di concorsi da dirigente, che siano RTD o meno, ma che abbiano tutti chiari profili di e-leadership. E serve il coraggio della classe politica di cambiare lo status quo

Pubblicato il 08 Feb 2021

Paolo Coppola

Professore associato di informatica, Università di Udine, consulente Governo per progetti di digitalizzazione della PA

Piattaforma digitale nazionale dati

Il reclutamento e la valorizzazione del capitale umano della Pubblica amministrazione sono al centro di due progetti contenuti nella proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) presentata dal Presidente del Consiglio dei ministri al Parlamento lo scorso 15 gennaio.

La proposta prevede lo stanziamento di 11 miliardi e 750 milioni di euro per la digitalizzazione e modernizzazione della Pubblica amministrazione, suddivisi tra 5 miliardi e 610 milioni stanziati per progetti in essere, che riguardano soprattutto la cittadinanza digitale, i servizi e le piattaforme abilitanti, e 6 miliardi e 140 milioni per nuovi progetti. Tra questi ultimi, ben due si focalizzano, appunto, sulla componente più importante in assoluto per la trasformazione digitale della PA, ovvero quella umana.

Sono previsti:

  • 210 milioni di investimenti per il reclutamento (“PA capace”) e
  • 720 milioni per il rafforzamento e la valorizzazione (“PA competente”) del capitale umano.

Finalmente!

Non basta reclutare giovani laureati per cambiare la PA

Attenzione, però, a non ripetere errori compiuti nel passato. È vero, come è scritto nel PNRR, che occorra “reclutare prioritariamente giovani laureati con competenze tecniche”, ma non basta. La Pubblica Amministrazione, lo sappiamo tutti, ha bisogno anche di nuove figure dirigenziali. La cosa peggiore che si può fare ad un giovane laureato brillante con competenze tecniche è metterlo a lavorare sotto a un capo incompetente e incapace di riconoscere e valorizzare il merito. Senza un’azione decisa nei confronti della dirigenza pubblica, l’immissione di frotte di giovani laureati competenti avrà solo due possibili risultati: nel primo caso scapperanno, nel secondo i giovani invecchieranno precocemente, adattandosi all’ambiente non meritocratico e imparando la “lezione fondamentale” degli ambienti di lavoro pubblici, cioè “non fare troppo, né troppo meglio degli altri tuoi colleghi, perché altrimenti ti attirerai molto più lavoro di tutti gli altri, che saranno felici di scaricarti il loro, e anche il loro risentimento, e al primo errore saranno felici di riversartelo contro, con gli interessi”.

La PA digitale nel Recovery Plan: cosa c’è e cosa manca

Certamente non tutta la PA è così e sappiamo tutti che esistono isole di eccellenza a cui dobbiamo essere grati, perché sono gli abitanti di quelle isole che mandano avanti la baracca, nonostante tutto. Ma sappiamo anche che in molti casi, con svariate sfumature, la gestione del personale nella PA è fortemente e inutilmente gerarchizzata, senza nessuna o pochissima attenzione al merito, in cui vertici politici e amministrativi incompetenti, più interessati alle loro carriere personali che agli impatti delle politiche e alla efficienza ed efficacia dei servizi, gestiscono in modo inaccettabile il personale senza nessuna cognizione di management e molta, troppa, gestione personalistica.

La PA e la (in)cultura dell’adempimento

Come cittadino sono rimasto indignato nel leggere nel “Referto al Parlamento sullo stato di attuazione del piano triennale per l’informatica 2017-2019 negli enti territoriali” della Corte dei conti che “nel 67,9% delle nomine effettuate, il Responsabile per la transizione al digitale è privo di competenze specifiche nel campo IT”. Indignato ma non troppo sorpreso, perché come presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul livello di digitalizzazione della PA avevo già toccato con mano la (in)cultura dell’adempimento per cui l’importante è che ci sia una carta che dimostri che quello che c’era da fare è stato fatto e nessuno si interessa, invece, del merito delle questioni e degli eventuali risultati da perseguire. Nella relazione della Commissione al Parlamento e al Governo avevamo spiegato chiaramente l’importanza di avere nuovi dirigenti con le giuste competenze.

L’ultimo atto, purtroppo senza successo, della Commissione era stato quello di presentare un emendamento alla Legge di bilancio per istituire un fondo ad hoc per cofinanziare l’assunzione da parte delle PA di Responsabili per la transizione alla modalità digitale. La proposta era quella dell’istituzione di una sorta di albo, presso l’AgID, a cui accedere per concorso, con un numero di posti limitato dalle necessità di assunzione programmate dalle varie PA. I vincitori avrebbero passato almeno un anno in AgID, supportando l’Agenzia, che soffre di una grave carenza di personale, nelle innumerevoli attività che svolge e costruendosi un bagaglio di competenze importantissimo da portare negli anni successivi negli enti che li selezionavano secondo le loro necessità. La proposta obbligava anche gli enti a dare priorità all’assunzione degli RTD nei loro piani, perché, bisogna dirlo, è una vera vergogna che si sia arrivati al 2020 senza aver avuto il buon senso di programmare l’assunzione di dirigenti con le necessarie competenze.

Un’infornata di giovani laureati

Ora, con il PNRR, la proposta della Commissione potrebbe essere ripescata, affiancando alla necessaria “infornata” di giovani laureati, anche una importantissima aggiunta di concorsi da dirigente, che siano RTD o meno, ma che abbiano tutti chiari profili di e-leadership.

Certo, serve il coraggio della classe politica di cambiare lo status quo e di riformare l’organizzazione attuale, togliendo i posti di comando a chi non li merita e dandoli a chi ha le opportune competenze. Fino ad ora, pochi ministri hanno dimostrato di avere il coraggio che serviva. Speriamo che il prossimo sia tra quelli che ne hanno da vendere.

Considerazioni finali

Un’ultima considerazione sui progetti del PNRR: bene il “Portale del reclutamento”, ma speriamo che non diventi l’ennesimo progetto milionario affidato per legge a qualche software house di Stato. Speriamo, invece, che sia il risultato di un’azione seria e determinata nel far rispettare un obbligo previsto da anni nel Codice dell’Amministrazione Digitale, quello del comma 1-bis dell’articolo 64-bis, che impone di esporre le interfacce applicative (API) per tutti i servizi online.

La pubblicazione di un bando di concorso, dal punto di vista informatico, dovrebbe corrispondere alla messa a disposizione di dati strutturati e interfacce applicative per la presentazione della domanda, che possano essere utilizzate da software di terze parti, che siano il semplice CMS che gestisce il sito della PA in questione, il back-end della quarta serie speciale della Gazzetta Ufficiale, il cui front-end potrebbe evolvere nel nuovo “Portale” senza bisogno di inventarsi cose nuove, ma anche la pletora di servizi online privati specializzati nel campo dei concorsi. Almeno questa volta evitiamo il “ghe pensi mi” di Stato e costruiamo le condizioni affinché i cittadini possano scegliere se accedere ai servizi dall’intermediario pubblico o privato che preferiscono.

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