il commento

Industria 4.0, all’Italia manca (ancora) un piano organico: ecco da dove partire

Ancora una volta, in tema di industria 4.0, il Governo si mostra poco ricettivo sul tema del capitale umano e delle competenze, ma non solo. Sono molte le promesse disattese e gli errori della attuale strategia. Vediamo quali sono e come invertire la rotta. Ce lo chiede anche l’UE in un recente rapporto

Pubblicato il 13 Gen 2020

Gianni Potti

Presidente Fondazione Comunica e founder DIGITALmeet

industry-4.0

Da quanto emerso dalla legge di bilancio 2020, le belle premesse del Ministro dello sviluppo economico, Stefano Patuanelli, su Industria 4.0 sono andate in buona parte disattese (anche se vogliamo ancora credere che alla fine effettivamente i correttivi fiscali e di incentivazione siano obiettivi favorevoli alle PMI). Il primo rischio concreto è che gli interventi e le misure politiche di Governo e Parlamento non abbiano alcun impatto sulle competenze digitali e 4.0. Ma non è solo questo il problema. Per incentivare innovazione, produttività e competitività bisogna cambiare rotta con urgenza. Ce lo chiede anche la Commissione UE in un recente rapporto. Proviamo a indicare una direzione.

Obiettivi del Governo e criticità del Piano

Com’è noto, il Piano Impresa 4.0 ha sin qui premiato maggiormente le medie e grandi imprese rispetto alle imprese di minore dimensione: questo sembra ormai assodato. Inoltre, è stato recentemente rilevato come dopo un 2017 record negli ordinativi interni di macchine utensili, si sia registrato a partire dal 2018 un progressivo calo degli ordini che si è andato ad accentuare nei primi nove mesi del 2019.

Obiettivo del Governo attuale, procedere ad un riassetto delle misure fiscali del Piano Industria 4.0 impostato dall’ex ministro Carlo Calenda, su una base di programmazione pluriennale (bene!), potenzialmente in grado di ampliare fino al 40% la platea delle imprese beneficiarie (quindi premiare le PMI). Poco convincente il passaggio dall’iperammortamento al credito d’imposta. A prima vista è un passo indietro per le imprese, ma lascerei alle circolari esplicative del Mise e a chi ne sa di fisco un’analisi più precisa.

Il Ministro aveva anche detto che intendeva puntare a incentivare di più rispetto agli anni precedenti gli investimenti in formazione 4.0 e in trasformazione tecnologica e digitale, soprattutto se finalizzati alla sostenibilità ambientale. Sulla formazione troppo poche le risorse causa il famoso teorema della coperta troppo corta.

Resta tutt’ora ancora poco definita la figura dell’innovation manager di cui le imprese potranno usufruire tramite voucher, ma complessivamente non ci sono grandi investimenti sul 4.0 (oltre a poche risorse in assoluto, si persegue ostinatamente nei finanziamenti a pioggia) e soprattutto non c’è la tanto auspicata virata in direzione delle competenze e del capitale umano, fattore chiave nella digital transformation in atto sia per nuove professionalità, sia per reskillare chi necessita di nuova formazione.

E in questo stallo sul tema, crescono le richieste di imprese che cercano personale qualificato per posizioni ad alto tasso di skill digitali, nel mentre sul mercato dell’occupazione queste figure scarseggiano.

Anche il Piano Calenda del 2016, che prevedeva super e iperammortamento, ebbe un impatto significativo sugli investimenti fissi, ma si dimostrò del tutto inefficace sul piano del capitale umano. I dati dimostrano che la percentuale di competenze ICT e digitali nelle imprese non mutarono affatto. Al contrario, è aumentato il numero di aziende che dichiara di cercare personale qualificato per posizioni ad alto tasso di digital skill, ma incontra difficoltà nel reperire queste figure sul mercato occupazionale.

Gli errori della strategia Industria 4.0 del Governo Conte bis

Quali, dunque, gli errori della strategia Industria 4.0? Tra i maggiori si può annoverare sicuramente quello di aver incanalato le risorse verso la sola acquisizione di beni strumentali e gli investimenti fissi (specialmente macchinari automatizzati). In un primo momento si è rivelata una misura necessaria per contribuire all’ammodernamento dei processi produttivi. Nel medio periodo, però, sono emersi i limiti dell’unidirezionalità dell’azione governativa.

È necessario anche annoverare la carenza di continuità e stabilità politica tra le cause principali del mancato sviluppo della strategia nazionale 4.0. Il susseguirsi di governi e ministri in pochi anni, con obiettivi ed esigenze diversi (si legga la fusione ad un solo ministero dello Sviluppo Economico e del Lavoro), ha penalizzato l’impostazione data inizialmente dal Governo Renzi che prevedeva una prima fase dedicata agli investimenti fissi ed una seconda alla creazione dei Competence Center. Questi ultimi sono stati sacrificati e ad oggi ne sono stati inaugurati pochi, con scarsi fondi e funzionamento incerto. Parimenti non esiste un qualche coordinamento/strategia comune tra Competence Center, Digital Innovation Lab, azioni delle associazioni di categoria, Regioni, PID delle Camere di Commercio e così via.

Una strategia nazionale deve avere ampio respiro. In particolar modo quando si tratta di lavorare sulle competenze e sulla formazione di centinaia di migliaia di studenti e lavoratori. Continuare a puntare solamente sulla domanda di beni, senza guardare all’offerta di lavoro creerà ancora più squilibrio nell’ecosistema produttivo. Con conseguenze negative sul piano dell’innovazione stessa oltreché per la produttività che necessità sì di capitali, ma anche di forza lavoro qualificata. Il ruolo della politica è mettere gli attori economici nelle condizioni migliori per operare e creare innovazione. In questo modo si sta ottenendo il risultato contrario e nel lungo periodo ne vedremo le conseguenze.

Piano organico cercasi

In un recente studio presentato dalla commissione Industria della UE viene detto che “per massimizzare il valore aggiunto” dell’industria 4.0, “le iniziative dovrebbero andare oltre gli aspetti meramente tecnici e il settore manifatturiero, riflettendo invece le differenze fra le strutture economiche negli Stati membri. Interventi diretti nel mercato appaiono meno promettenti”.

In sintesi, la Ue chiede una revisione delle misure esistenti (e iniziative connesse) riguardanti l’industria 4.0 per assicurarsi che queste considerino gli aspetti più importanti, come “capacità, migrazione, cambiamenti dei modelli di business, clusters, collaborazioni transfrontaliere” e  l’adozione di nuove misure dove vengono identificati gap a livello di Ue e di Stati membri “per monitorare gli sviluppi più recenti, finanziare la ricerca, supportare le pmi, aumentare la consapevolezza delle sfide e delle opportunità, supportare lo sviluppo di una cornice che includa gli standard e giochi un ruolo di coordinazione”

In sostanza si chiede un piano organico, proprio quello che oggi manca all’Italia e che chiediamo da tempo!

Forse dovremmo dedicare questo 2020, appena iniziato, a redigere un piano Industria 4.0 per l’Italia: continuare a vivere il tutto alla giornata aumenta il gap Italia vs resto d’Europa e del mondo.

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