Oltre il covid-19

Italia digitale, i tre problemi da risolvere ora per un salto di qualità

L’emergenza in corso potrebbe essere un’occasione importante per imboccare definitivamente la strada della trasformazione digitale, ma ci sono almeno tre problemi che spengono i facili entusiasmi. Ecco quali sono e come superarli

Pubblicato il 15 Apr 2020

Stefano da Empoli

presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com)

italia-digitale

Secondo un comune refrain, nell’enorme disgrazia che le si è abbattuta contro, l’Italia potrebbe aver ricevuto la spinta che serviva per imboccare con slancio la strada del digitale. Come è successo in altri casi della nostra storia, grazie a un fattore esterno imprevedibile quanto drammatico, sono stati spazzati via anni di dibattiti e piani più o meno sterili, sostituiti dalla necessità di un’implementazione rapida e massiva.

Alle soglie della digitalizzazione di massa? Tre motivi che fanno dubitare

Secondo i dati di Gfk, nella settimana dal 2 all’8 marzo le vendite di pc portatili sono cresciute del 63% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quelle di stampanti multifunzione del 53,5%. Aumenti dei volumi tra il 30 e il 100% sono segnalati dagli operatori sulle reti tlc fisse e mobili. Secondo una rilevazione Nielsen, in Italia lo shopping online è aumentato dell’80% nelle settimane immediatamente successive al lockdown, rispetto allo stesso periodo del 2019.

Nell’enorme tragedia del Paese, si tratta di dati che autorizzano a pensare che il traguardo di una digitalizzazione di massa possa essere finalmente alla portata.

Ci auguriamo naturalmente che questa speranza sia fondata. Anche se ci sono almeno tre motivi per spegnere entusiasmi troppo facili.

In primo luogo, un periodo di recessione economica accentuata, come quella che ci stiamo avviando a subire, porta con sé tagli agli investimenti per la stragrande parte delle organizzazioni, in particolare (ma non solo) per le piccole e medie imprese che sono più indietro nella trasformazione digitale. Anche qualora non si arrivi a riduzioni esplicite di spesa, è facile immaginare che quantomeno si rinviino molte decisioni strategiche, in attesa che le nubi dell’incertezza si diradino. Peraltro, escludendo l’acquisto o il rimpiazzo di hardware e software standard, l’introduzione di nuove tecnologie e con esse di nuovi modelli di business e organizzativi (pensiamo all’intelligenza artificiale) richiede forme di tutoring e formazione che in teoria possono essere condotte da remoto ma che più facilmente verranno semplicemente posticipate a tempi migliori (sempre che le imprese in questione saranno in grado di riaprire i battenti una volta passata la tempesta).

Inoltre, senza una precedente preparazione e con direttive poco chiare o non vincolanti, applicazioni di massa dello smart working e della scuola a distanza (giusto per citare le trasformazioni più rilevanti in atto, forzate dall’emergenza) presentano evidenti limiti. Il rischio è che molte imprese preferiscano ricorrere a ferie e permessi, specie se lo stop dovesse durare a lungo (e in seguito alla chiusura di molte attività correlate), e che molte scuole si limitino a dare compiti (che peraltro in molti casi non verranno mai corretti o valutati), con tutt’al più qualche breve video pseudo motivazionale dell’insegnante di turno.

Naturalmente, le circostanze sono complesse e inattese e appare in questo momento inopportuno criticare quanto non è stato fatto prima dell’emergenza attuale sui due fronti. Tuttavia, sarebbe utile se, oltre a facilitare le aziende che decidano di congedare almeno temporaneamente i propri dipendenti, il Governo premiasse le imprese che hanno optato per modalità smart working, contribuendo a mandare avanti il Paese, e le scuole che raggiungono livelli minimi di didattica a distanza reale. Non si pretende che sia tenuta online la stessa quantità di ore previste nell’ordinamento scolastico ma quantomeno una frazione significativa e sarebbe giusto riconoscere qualcosa alle scuole e ai relativi dirigenti scolastici in grado di raggiungere quell’obiettivo.

In entrambi i casi non stiamo parlando di risorse premiali significative ma di un gesto poco più che simbolico (al tempo in cui i simboli rivestono un ruolo di particolare valore).

Infine, il terzo limite evidente del digitale al tempo del coronavirus è che una parte significativa del mondo online si regge su un back-office fisico. Lo si è visto molto chiaramente con l’e-commerce, che si è trovato nello stesso momento a fronteggiare un forte aumento della domanda da un lato e limiti crescenti alla possibilità di gestire i processi efficientemente dall’altro, a causa soprattutto delle norme sul distanziamento sociale. Ma, in maniera meno visibile, si registrano difficoltà lungo tutta la filiera, ad esempio nella capacità di attivare nuove connessioni Internet o, più in prospettiva, nel lavoro rallentato se non fermo del tutto dei cantieri per la banda ultra-larga, già in forte ritardo rispetto alla tabella di marcia prevista.

E se prima i sindaci rilasciavano autorizzazioni malvolentieri agli operatori di rete, possiamo immaginare le difficoltà operative di queste settimane, per le società che dovrebbero portare a termine o quantomeno avviare i progetti nei prossimi mesi, scavando in molte centinaia di Comuni.

Strategie per il sistema paese ferme al palo

Ma il back-office fortemente impattato dall’emergenza non è solo quello operativo. Ferme al palo ci sono strategie di immensa portata per il made in Italy e il sistema Paese, come quella sull’intelligenza artificiale, o norme di fondamentale importanza come quelle attuative della legge sul perimetro nazionale di sicurezza cibernetica, propedeutiche al lancio effettivo del 5G. Un altro dei tasselli tecnologici fondamentali del mosaico digitale che occorre costruire. Perché dopo questo periodo di sofferenza e di recessione si possa davvero rilanciare velocemente il Paese.

Più volte viene adoperata l’analogia con la Seconda guerra mondiale per auspicare un nuovo inizio per l’economia italiana. Nel Dopoguerra furono la ricostruzione delle fabbriche e gli investimenti nelle infrastrutture fisiche a guidare la crescita italiana che tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta culminò nel cosiddetto “Miracolo economico”.

Conclusioni

Oggi, sono cambiate molte circostanze e certamente la competizione internazionale si è allargata di molto, oltre i confini dell’Europa occidentale e del Nordamerica. Ma certamente a trainare la nostra crescita futura non potranno che essere stavolta le infrastrutture immateriali e i servizi digitali. Perché questo accada, prima ancora degli investimenti necessari da introdurre, si dovrà partire da una massiccia semplificazione normativa e amministrativa. Per poter accelerare sugli investimenti nelle reti ma anche sul take-up dei servizi innovativi, offerti auspicabilmente anche da imprese e startup italiane. Solo a queste condizioni, la strategia digitale per il post-coronavirus potrà ripartire con slancio. Permettendo quel salto definitivo di qualità, oggi sperimentato da molti più per necessità che per convinzione.

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