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Bandi PNRR, comincia la danza su digitale e innovazione: ecco dubbi e speranze

Il PNRR è sfida che richiede velocità di esecuzione e competenze di alto livello. L’attenzione va tenuta alta: dall’esito non dipende il futuro solo del Paese, ma delle regole finanziarie del continente. Dubbi sulla strategia per la rete ultrabroadband, ma il bicchiere è mezzo pieno anche grazie a nuove gare Mise

Pubblicato il 21 Gen 2022

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR

ultrabroadband

Secondo il Governo l’assegnazione delle risorse del PNRR in favore di ricerca, sviluppo tecnologico e digitale, sta procedendo spedita.

Le attività avviate dal Ministero dell’Innovazione e Transizione Digitale nel 2021 hanno già assorbito il 48% delle risorse a disposizione (9,5 miliardi su un totale di 19,8). Sul fronte della ricerca industriale le attività avanzano sui binari giusti. Ai bandi già pubblicati dal Mur (ecosistemi dell’innovazione e infrastrutture di ricerca), in questi giorni si è aggiunto il decreto del Mise che riforma lo strumento degli Accordi per l’innovazione, con uno stanziamento di 1 miliardo.

Sostenibilità e impatto: il PNRR occasione irripetibile per il futuro digitale

Un pacchetto di investimenti di dimensioni senza precedenti. Lo sapevamo. Così come sapevamo che bisogna fare i conti con la dura realtà. E non mancano segnali di preoccupazione. Scontiamo ritardi pluridecennali e le nostre amministrazioni hanno limiti oggettivi.

C’è la burocrazia, vecchia nemica di ogni progetto. C’è che i tempi e le procedure pubbliche mal si adeguano a quelli del PNRR e le tempistiche delle opere si sovrappongono e si confondono. C’è il caro materiali, e con l’aumento del costo delle materie prime si allungano le tempistiche di attuazione dei contratti. Poi si scopre anche che mancano le figure specializzate nei settori delle Tlc, e che per il digitale l’allarme skill gap è stato lanciato da tempo.

Digitale: avviate le gare per completare la rete BUL, ma non mancano i timori

Approvato da Infratel a metà gennaio, il Bando per la concessione di contributi finalizzati alla costruzione e gestione di reti a banda ultra-larga, è la seconda gara che vede la luce, in attuazione del PNRR, tra gli interventi pubblici previsti dal Piano “Italia a 1 Giga” che il Comitato interministeriale per la transizione digitale il 27 luglio 2021 ha inserito nella Strategia italiana per la Banda Ultra Larga – Verso la Gigabit Society.

Sul tavolo 3,7 miliardi per portare l’internet veloce in ogni unità immobiliare di 7 milioni di indirizzi e numeri civici, con l’obiettivo di aggiudicare tutte le gare entro giugno. Uno sforzo enorme, che fa presagire che la costruzione della rete, configurandosi per ora più come un piano di opere pubbliche per la posa di cavi, potrebbe subire dei rallentamenti. In primis perché, nei procedimenti per la concessione di contributi pubblici, i rischi di contenziosi tra aziende sono molti alti. Peraltro, per stessa ammissione di Colao, all’appello mancherebbero fra i 10mila e i 15mila addetti per la posa delle reti, alias per gli scavi. Non a caso il ministro, intervenendo in Commissione Trasporti alla Camera, ha indicato che ‹‹le priorità ora sono aggiudicare i bandi di gara entro giugno, superare le criticità relative alla scarsa disponibilità di forza lavoro qualificata – abbiamo inserito nei bandi di gara uno specifico punteggio per gli operatori che dimostreranno di avere una buona strategia per la formazione – e continuare il processo di semplificazione dei tempi amministrativi››.

Preoccupazioni destinate a crescere, in vista delle prossime gare su Sanità connessa, Piano Scuole connesse e soprattutto per il 5G da 2 miliardi.

Andrà poi portata a termine la trattativa diretta tra il Ministero e alcuni candidati per portare la connessione Internet veloce nelle isole minori. La prima gara (fornitura e posa in opera di cavi sottomarini e fibre ottiche per la realizzazione dell’infrastruttura di collegamento) è andata deserta. Nonostante si trattasse di una dote esigua (60,5 milioni), non è stato un bel segnale per il prosieguo del programma. Il bando era stato lanciato da Infratel inserendo alcuni vincoli che hanno spaventato gli operatori. Troppo alta la soglia (45% di quanto messo a disposizione) per obblighi fideiussori e possibili penali per ritardi. Per le prossime gare il sistema andrà sicuramente rivisto, rendendolo compatibile con le norme comunitarie.

I dubbi sul Piano “Italia a 1 Giga”

Il compito non sarà facile e le critiche già non mancano. C’è chi ha ricordato che i fondi europei per la realizzazione della infrastruttura di rete per la BUL si stanno spendendo fin dal 2007, soprattutto nelle regioni meridionali, dove però si registrano i livelli più bassi di domanda e di contratti per la fibra. Le imprese effettuano gli scavi e posano i cavi, ma la rete resta inerte. La chiamano “fibra spenta”, a testimonianza che di servizio effettivamente erogato se ne è visto finora ben poco. La deputata Enza Bruno Bossio si è interrogata sull’efficacia, in assenza di una strategia, di questo ulteriore investimento di finanza pubblica, dichiarando che il ‹‹PNRR nasce per assolvere a una funzione precisa, che non è solo quella di spendere soldi, per lo più a debito, ma soprattutto nel campo del digitale dovrebbe servire a dare risposta ai bisogni della popolazione, con ricadute nella vita reale ed è proprio su questo che sarebbero necessarie indicazioni precise››.

Il Bando ha suscitato timori anche a Enrico Miceli, segretario confederale della CGIL, che ha messo in dubbio il fatto che si possa parlare di rete unica perché il bando, così com’è (considerando che il valore economico del bando è stato suddiviso in 15 lotti territoriali e che le imprese che presenteranno un’offerta potranno al massimo vedersi aggiudicare 8 lotti), andrebbe invece nella direzione di una rete “frammentata”, perché 10 o 20 piccole reti non fanno l’infrastruttura di una nazione.

Il nodo (ancora da sciogliere) della gestione della rete

Rischiare di perpetuare quel digital divide sotto gli occhi di tutti non è più accettabile. Sarebbe opportuno interrogarsi anche sul ruolo dei futuri possibili gestori della rete. Siccome la fibra è parte integrate dello sviluppo del sistema 5G e sarà necessario collegare la rete a infrastrutture tecnologiche, con la necessità di investimenti e aggiornamenti continui, appare rischioso portare avanti un piano di trasformazione digitale senza sapere cosa accadrà alla gestione della rete, quale sarà il destino di Open Fiber o il futuro riassetto di Tim.

Per quanto riguarda Tim, la partita si intreccia con l’avvio del Polo Strategico Nazionale. L’istruttoria si è conclusa con la valutazione favorevole della proposta presentata da Tim, Cdp Equity, Leonardo e Sogei. La cordata avrebbe fornito le migliori garanzie in termini di corrispondenza tra i contenuti della proposta e i requisiti di completezza dei servizi cloud, ma anche di sicurezza dei dati strategici e critici. Dal Ministero fanno sapere che a breve è prevista la pubblicazione della gara per questo progetto. La centrale di committenza sarà Difesa e Servizi SpA, società del Ministero della difesa, con un cronoprogramma che prevede il collaudo per la fine del 2022 e la migrazione dei dati sul cloud tra il 2023 e il 2025.

Innovazione: dal Mise 1 miliardo per realizzare progetti di ricerca industriale

Ciò nonostante, il bicchiere è ancora mezzo pieno. Negli ultimi mesi si è messo in modo un intervento emergenziale ai limiti dell’impossibile. Le attività procedono e non passa giorno che dai dicasteri non venga annunciato lo sblocco di risorse o l’avvio di nuovi bandi. E molti altri se ne annunciano nei prossimi mesi. I professionisti reclutati tramite il portale (InPa.gov.it), assunti con tempi record rispetto agli standard del passato, e le figure professionali che, nel corso di quest’anno, potranno trovare un posto di lavoro nella PA contribuiranno a far avanzare i progetti. Non è il momento di abbassare la guardia.

Procedure semplificate per la concessione di contributi e finanziamenti agevolati per realizzare progetti di ricerca industriale e di sviluppo sperimentale, realizzati nell’ambito di accordi sottoscritti dal Ministero con i soggetti proponenti e con le amministrazioni pubbliche interessate al cofinanziamento dell’iniziativa.

È quanto prevede il nuovo decreto del Mise con il quale arrivano nuove regole procedurali, la definizione di 6 tecnologie chiave e 18 aree di intervento, con 1 miliardo a disposizione in tutto, da qui al 2025. Risorse per progetti che il PNRR ritiene sinergici alla componente “dalla ricerca all’impresa”.

Punto di partenza per accedere ai contributi è la sottoscrizione di un Accordo per l’innovazione, a cui si arriva tramite una domanda che i soggetti proponenti devono presentare al Mise. La domanda va corredata da una scheda tecnica, dal piano di sviluppo del progetto e, nel caso di progetto proposto congiuntamente da più soggetti, dal contratto di collaborazione, con eventuale cofinanziamento (che tuttavia non è obbligatorio) delle Regioni coinvolte.

Le agevolazioni, concesse a valle di una procedura valutativa negoziale, sono erogate nella forma del contributo diretto alla spesa e, eventualmente, del finanziamento agevolato a valere sulle risorse messe a disposizione dalle amministrazioni sottoscrittrici dell’Accordo.

Il decreto ha stabilito anche che possono beneficiare delle agevolazioni le imprese di qualsiasi dimensione che svolgono attività industriali, agroindustriali o artigiane, e che i progetti devono prevedere spese e costi ammissibili non inferiori a 5 milioni di euro e avere una durata non superiore a 36 mesi. Il limite massimo dell’aiuto concedibile potrà essere pari al 50% dei costi ammissibili di ricerca industriale e al 25% per quelli di sviluppo sperimentale; inoltre il finanziamento agevolato, qualora richiesto, è concedibile esclusivamente alle imprese, nel limite del 20% del totale dei costi ammissibili di progetto.

Le attività progettuali dovranno essere effettuate all’interno di un perimetro ben definito. Devono cioè fare specifico riferimento a una delle sei tecnologie abilitanti fondamentali (materiali avanzati e nanotecnologia; fotonica e micro/nano elettronica; sistemi avanzati di produzione; tecnologie delle scienze della vita; intelligenza artificiale; connessione e sicurezza digitale). Non solo, queste tecnologie devono avere ricadute concrete nelle missioni scelte dall’Italia per realizzare il PNRR: salute, digitale e industria spazio, clima energia e mobilità, risorse naturali, agricoltura e ambiente.

L’allegato tecnico dal decreto contiene nel dettagli questi poli tematici, ripartendoli in 18 specifiche aree di intervento: Tecnologie di fabbricazione; Tecnologie digitali fondamentali, comprese le tecnologie quantistiche; Tecnologie abilitanti emergenti; Materiali avanzati; Intelligenza artificiale e robotica; Industrie circolari; Industria pulita a basse emissioni di carbonio; Malattie rare e non trasmissibili; Impianti industriali nella transizione energetica; Competitività industriale nel settore dei trasporti; Mobilità e trasporti puliti, sicuri e accessibili; Mobilità intelligente; Stoccaggio dell’energia; Sistemi alimentari; Sistemi di bioinnovazione nella bioeconomia; Sistemi circolari.

Conclusioni

Quella che il PNRR pone alle amministrazioni pubbliche e agli enti locali è una sfida importante, che richiede velocità di esecuzione e competenze di alto livello. Di fronte a questa sfida, però, vista la fretta di dover presentare progetti per non perdere i fondi, lungo il cammino potrebbero sorgere falle e buchi. Imprevisti che potrebbero rendere la partita ancora più complessa, stante l’assoluta ristrettezza dei tempi e la necessità di rispettarli in una fase nella quale i soggetti attuatori hanno necessità di far crescere e irrobustire la propria capacità amministrativa.

Nei primi otto mesi del 2022 dovranno arrivare altre due rate di fondi europei, di circa 20 miliardi ciascuna. Non possiamo permetterci di mancare il bersaglio. Per questo l’attenzione va mantenuta alta. Anche perché l’esito del Piano sarà decisivo non solo per portare il Paese nel nuovo tempo della ricostruzione, ma lo sarà anche per definire le nuove regole finanziarie del continente. Se riuscissimo a dimostrare che il progetto Next Generation funziona per davvero, è più probabile che questo strumento di indebitamento comune possa diventare la normalità. Sarebbe una svolta clamorosa per l’intera Europa.

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