L'analisi

Ecommerce, la nuova fase: entrano l’utente medio e le pmi

Si ampliano nel contempo la domanda e l’offerta. Finito il tempo delle avanguardie, ora è il momento della grande massa. Ma siamo agli inizi. L’analisi del presidente di Netcomm, esperto del settore

Pubblicato il 27 Set 2012

Roberto Liscia

Presidente Netcomm

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I recenti dati sull’evoluzione del digitale in Italia mettono in evidenze alcuni fenomeni dal lato della domanda e dell’offerta che dimostrano che siamo all’inizio di una nuova fase. Caratterizzata dall’ingresso dell’utente comune (inesperto), spinto da coupon e dalla crisi, e delle pmi.

Come sappiamo l’ecommerce ha avuto nella storia italiana diverse fasi. Agli inizi si erano affacciate su questo mercato solo le start-up e le dot.com che si rivolgevano ad un consumatore “smart” e tecnologico. Successivamente si erano sviluppati modelli multicanale dove il prodotto poteva essere reperito sia nella distribuzione fisica che digitale e l’ultimo fenomeno che abbiamo osservato riguardava il social shopping dove venivano premiati i comportamenti collettivi, gli scambi di opinione e la partecipazione.

Oggi questi modelli non sono scomparsi, sono tutti ancora in evoluzione ma qualcosa di nuovo è accaduto. A luglio 2012 l’osservatorio Netcomm/Human Highway evidenzia che vi erano 12 milioni di acquirenti online attivi nei tre mesi precedenti. Un incremento significativo se si pensa che 12 mesi prima erano solo 9 milioni. Quasi 3 milioni di nuovi acquirenti online si sono affacciati su questo nuovo canale lasciando sorpresi gran parte degli operatori del settore.

Questo balzo superiore al 30% è da attribuire a tre ragioni principali. La crisi ha fatto rompere gli indugi a quegli internauti che erano incerti e insicuri nel passare dalla fase informativa all’acquisto.

La forte diffusione degli smartphone,

30 milioni di possessori, ha reso più facile l’accesso a internet in ogni momento della giornata facilitando, educando e creando quel fenomeno di me too che scatena fenomeni di massa in tutti i modelli di consumo. Non ultimo e non meno importante è stata l’evoluzione dell’offerta delle vendite di abbigliamento, sul modello delle flash sales, all’offerta di coupon di servizi locali fortemente scontati che hanno dato una scossa al mercato.

Infatti anche l’offerta nel 2012 ha avuto un forte incremento, vicino al 20%, ed anche su questo lato dell’equazione qualcosa è cambiato. Oltre agli attori “discount” sono comparsi in forze i produttori del “Made in Italy” dalla moda e accessori al piccolo artigianato, cuore pulsante di una Italia dimenticata.

Malgrado tutte queste notizie positive il modello di ecommerce italiano rimane terribilmente arretrato rispetto a tutti i paesi occidentali e l’Italia è tra gli ultimi in tutte le statistiche in termini di internauti, acquirenti online, imprese ecommerce, imprese che acquistano a loro volta online, accesso digitale ai servizi della PA,ecc..ed è l’unico grande paese che acquista all’estero online più merci di quanto non ne esporti.

l’Agenda Digitale Europea ripresa dall’attuale governo Monti pone degli obiettivi per il 2015 estremamente ambiziosi e che l’Italia potrà difficilmente raggiungere.

Con solo il 15% degli italiani che fanno acquisti online sarà molto difficile raggiungere la quota del 50% della popolazione e ottenere che un terzo delle imprese facciano i propri acquisti e vendano i propri prodotti online.

Molteplici sono i freni inibitori allo sviluppo di una economia digitale competitiva nel nostro paese.

La scarsa cultura tecnologica dei cittadini, il ritardo della scuola, la

scarsa diffusione della banda larga, il ritardo dell’offerta ma soprattutto la piccola dimensione delle aziende italiane hanno penalizzato lo sviluppo di questo settore.

Le aziende italiane sono prevalentemente PMI che hanno difficoltà ad affrontare la trasformazione digitale che necessita investimenti, conoscenze tecnologiche e risorse umane adeguate e soprattutto la capacità di rimettere in discussione i propri modelli di business e le modalità di commercializzazione ed esportazione dei propri prodotti.

Una delle grandi forze del “Made in Italy” è stata, nel passato, la capacità dei nostri oltre 100 distretti industriali di mettere a sistema le piccole aziende del territorio ritrovando quelle economie di scala e di scopo non all’interno della singola azienda ma nella capacità di queste di lavorare insieme su gran parte dei fattori produttivi e commerciali. La competizione industriale ha messo in crisi questi modelli e oggi è necessario rinnovare e ritrovare, attraverso il digitale, questa dimensione consortile che ha permesso all’Italia di crescere e di competere con gli altri paesi negli ultimi anni.

Una missione in Cina per guidare l’export italiano

L’Agenda Digitale del nostro attuale governo ha messo giustamente l’accento sulla necessità di sviluppare strumenti di incentivazione all’export delle piccole aziende italiane ma questo non sarà sufficiente per fare superare alle stesse gli scogli dimensionali, tecnologici e di investimento che ne frenano lo sviluppo per affrontare le opportunità dei grandi mercati emergenti.

A luglio Netcomm, a seguito di diversi eventi e incontri avvenuti a Milano tra il 2011 ed il 2012 con alcune importanti realtà del commercio elettronico come Chinova e China Unionpay, ha condotto un’importante missione in Cina con l’obiettivo di realizzare in questo paese un canale di vendita virtuale di eccellenza al fine di consentire alle aziende italiane che non hanno ancora pianificato il loro ingresso commerciale in questo paese di accedervi in modo efficace utilizzando strutture comuni.

I numeri lasciano ben sperare: le vendite online a consumatori finali cinesi sono previste per fine 2012 in circa 150 Miliardi di dollari e la stima per il 2015 è di 360 Miliardi. Gli acquirenti online, attualmente circa 190 milioni, sono in possesso di un’istruzione universitaria, hanno un’età compresa tra i 20 e i 35 anni e la residenza in una grande città come Shanghai, Pechino, Canton. Il 90% degli utenti complessivi scrive recensioni dopo aver acquistato un prodotto su un sito web e l’80% degli acquirenti online legge le recensioni prima di acquistare. Tra le tipologie più acquistate online troviamo abbigliamento e accessori (79,6% degli utenti) seguiti da elettronica (45,3%).

Il confronto diretto con alcuni dei protagonisti del mercato cinese – tra cui Baidu (primo motore di ricerca in Cina), 360buy (primo venditore BtoC in Cina), FedEx (unico corriere internazionale con magazzini e mezzi propri in Cina), Yoka (primo portale fashion in Cina), QQ-Tencent (primo network social in Cina) e Unionpay (gestore unico delle carte di credito in Cina) – è stato fonte di innumerevoli informazioni e spunti operativi che Netcomm metterà a disposizione degli operatori italiani. Tutti gli interlocutori hanno in ogni caso dichiarato un forte interesse per le aziende italiane ed i prodotti del Made in Italy e se anche in Cina oggi sono presenti online solo pochi brand italiani, la domanda è in crescita ed è sempre più sofisticata.

Gli accordi con gli operatori italiani non riguarderanno soltanto l’ultima fase relativa alla consegna dei prodotti ma anche la gestione del magazzino. La totale messa a punto della filiera dall’Italia alla Cina consentirà agli operatori italiani di gestire la vendita dall’inizio alla fine, nei due sensi di marcia, con un’ottimizzazione dei costi garantita da una soluzione multiazienda: una piattaforma ecommerce che comprenda per tutti software, magazzini fisici, accordi sugli strumenti di pagamento, corrieri, comunicazione.

Dobbiamo ritrovare la capacità di sviluppare, su questo modello, dei progetti/sistema per affrontare i mercati internazionali e per ricreare quello spirito consortile che ha permesso alle piccole aziende italiane di essere la forza propulsiva del nostro paese.

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