Marketing e ai

La credibilità nell’era delle fake news: come creare fiducia nel brand



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L’IA generativa sta trasformando la diffusione di contenuti, rendendo cruciale la credibilità del brand oltre la veridicità dei contenuti stessi. Deepfake e fake news si diffondono facilmente, spostando l’attenzione dalla qualità all’affidabilità del mittente. Le aziende devono ora puntare su trasparenza e autenticità per costruire una reputazione solida nell’era digitale

Pubblicato il 6 feb 2024

Alessio Pecoraro

coordinatore PAsocial Emilia-Romagna, marketing & communication manager



fake news guerra

La diffusione dei sistemi di intelligenza artificiale, soprattutto quella generativa, permettono anche a chi non ha particolari conoscenze tecniche di creare contenuti falsi identici a quelli reali e di diffonderli velocemente in internet. Stiamo assistendo ad un veloce passaggio dal periodo del controllo della verità, ad uno – destinato a durare – dove sarà più importante la credibilità e il brand value di chi pubblica del contenuto stesso. Stiamo entrando a passi spediti, in ambito marketing e comunicazione, nell’era della fiducia.

Oggi con pochi click è possibile generare, sul web, contenuti falsi ma altamente realistici. Come è noto le nuove tecnologie, soprattutto l’intelligenza artificiale generativa, hanno reso molto più facile diffondere notizie false o impersonare qualcun altro.

Deepfake: una nuova realtà con cui fare i conti

Fatti ripresi in registrazioni video o catturati in file audio anche se estremamente realistici possono non essere mai accaduti davvero. Possono, invece, essere stati generati automaticamente da computer e da software di apprendimento automatico.

Il deepfake, la tecnica, basata sull’intelligenza artificiale, utilizzata per creare video, foto e audio capaci di realizzare discorsi o eventi mai accaduti sostituendo all’interno di questi contenuti il viso originale con quello di qualcun altro oppure ricrearne il timbro vocale per attribuire a qualcuno parole che non ha mai pronunciato, è già realtà.

Proprio pochi giorni fa un deepfake che ritraeva la pop star Taylor Swift in atteggiamenti intimi è stato pubblicato su X (ex Twitter) ed è rimasto sulla piattaforma per circa 17 ore. Il post pubblicato da un account verificato (quindi con la “famosa” spunta blu) ha ottenuto oltre 45 milioni di visualizzazioni, 24mila repost e migliaia di mi piace.

Nel 2018 il regista, sceneggiatore e produttore statunitense Jordan Peele, premio Oscar per il suo film d’esordio alla regia “Get Out” ha realizzato insieme a BuzzFeed un finto annuncio pubblico da parte dell’ex Presidente USA Barack Obama, a cui fa dire quello che vuole. Un esempio? “Il Presidente Trump è un totale e completo imbecille”.

Quello che sembra un vero messaggio presidenziale in realtà riprende un esperimento di alcuni ricercatori dell’Università di Washington, datato 2017, capaci di sviluppare un metodo che utilizzando l’apprendimento automatico ha studiato i movimenti facciali di Obama per rendere il movimento del labbro assolutamente reale per qualsiasi traccia audio.

Ciò significava far dire ad Obama tutto quello che vogliono. E così per ogni personaggio, noto e meno noto.

Il deepfake nel marketing

E non è difficile immaginare che i marketer e gli inserzionisti abbiano iniziato a sfruttare le potenzialità del deepfake per creare spot, annunci o materiali promozionali per ottenere il massimo coinvolgimento

Sky lo scorso mese di novembre ha mandato in onda uno spot nel quale il cantante Max Pezzali si trovava di fronte se stesso del 1993 in versione deepfake creato con l’intelligenza artificiale generativa e il machine learning basandosi su vecchie immagini e video dell’epoca.

La veloce diffusione dell’IA generativa sta di fatto chiudendo l’epoca dei contenuti (e della fiducia) di massa.

La fiducia nell’era digitale: lo scenario attuale

Ed anche se questo può sembrare strano, l’era della fiducia di massa per quanto riguarda i contenuti è stata l’eccezione inaugurata dalla diffusione massiccia di internet e dall’avvento dei social network, Facebook su tutti.

Sarà sempre più raro fidarsi di quello che si legge su internet e/o sui social media. I dati diffusi dalla società statunitense di analisi Chartbeat mostrano che il traffico verso i siti di notizie da Facebook è sceso del 48% nel 2023, con il traffico da X (ex Twitter) in calo del 27% e da Instagram del 10%.

Siamo già oltre la verifica di ciò che è vero o falso, anche se alcune cose in questa direzione – rispetto ad un primo momento – sono state fatte. I contenuti online, però, presto non verranno più verificati, quindi sarà chi ha pubblicato qualcosa ad essere importante quanto ciò che è stato pubblicato.

L’importanza delle fonti affidabili

Le fonti affidabili quindi dovranno essere identificabili in modo chiaro e sicuro – attraverso URL (Uniform Resource Locator) la sequenza di caratteri che identifica univocamente l’indirizzo di una risorsa in internet, indirizzi e-mail e piattaforme di social media – così che la reputazione e la provenienza diventeranno più importanti che mai.

“La reputazione personale, professionale, aziendale si fonda sulla credibilità costruita nel tempo attraverso la qualità e l’attendibilità di quanto si condivide con gli altri: persone, aziende, fornitori, partner professionali e soprattutto clienti” ha detto Teresa Cardona consulente branding e personal branding, che aggiunge: “Una realtà che ha una reputazione di alto livello diventa più facilmente un punto di riferimento di cui ci si fida ed alla quale ci si affida per informarsi”.

In un recente articolo pubblicato sul settimanale d’informazione politico-economica britannico The Economist emergeva con chiarezza il concetto “chi ha fatto il post sarà presto più importante di quello che è stato pubblicato”.

La reputazione aziendale nell’era dell’AI

Per Emanuela Goldoni, professionista della comunicazione “Alla base della relazione tra le persone, da sempre, c’è la reciprocità della fiducia. L’ambiente digitale replica esattamente la stessa dinamica sociale non solo tra le persone, ma anche tra le persone e le aziende. Ci fidiamo di un’azienda, di un professionista, del negoziante sotto casa, perché inconsciamente sappiamo che le informazioni condivise con noi saranno genuine e con un certo grado di probabilità potranno portarci un vantaggio”.

“In Italia, secondo il Report 2023 Trustbarometer di Edelman, negli ultimi dieci anni si è alimentato un generale clima di sfiducia, soprattutto verso i media. Amministratori delegati e Amministratrici delegate e manager, invece, sono le persone di cui si fidano di più gli italiani perché sono dimostrabili sia le loro competenze che i loro valori etici. Un binomio vincente sul cui si fonda la migliore delle comunità, quella in cui ci identifichiamo e puntiamo a vivere perché ci fa sentire al sicuro” spiega la Goldoni.

In un contesto nel quale, come emerge dalla ricerca Digital News Report 2023 pubblicata dal Reuters Institute, il prestigioso centro di ricerca dell’Università di Oxford che si occupa di news media, solo la metà degli intervistati ha dichiarato di “preoccuparsi di identificare la differenza tra ciò che è reale e falso su Internet” quando si tratta di notizie e con una previsione che suggerisce che la stragrande maggioranza di tutti i contenuti di internet sarà prodotta dall’intelligenza artificiale generativa entro il 2026 per le aziende i loro brand investire maggiormente sui propri canali diretti e/o sperimentare piattaforme alternative di terze parti è sicuramente una strada da seguire.

Il caso del TikToker Dylan Page

Il profilo di Dylan Page, un giovane creator inglese, ad esempio, è il canale di notizie numero 1 su TikTok e conta più follower e visualizzazioni rispetto alla BBC o al New York Times grazie ad un approccio autentico e format video veloci e concisi.

Elementi dei quali le aziende e i loro brand non possono non tenere conto quando si tratta di definire le proprie strategie comunicative. Inoltre la Generazione Z è particolarmente esigente quando si tratta di fiducia con il 70% dei 14-24enni che dichiara di verificare sempre ciò che un azienda o un brand dice sui social media è reale oppure no.

“Oggi è impensabile per un’azienda limitarsi a vendere solo un prodotto o un servizio, questi devono essere accompagnati da informazione. E se è un azienda a fare informazione, visto che ci mette la faccia, l’informazione sarà più attenta e puntuale. Come dico sempre la notizia migliore che puoi dare è quella per la quale sei la miglior fonte” non ha dubbi Diomira Cennamo, giornalista esperta di Comunicazione e marketing digitale, autrice del libro “L’azienda media company. Storytelling, brand journalism e organizzazione”, le aziende devono ambire a diventare media company.

Negli anni settanta del secolo scorso, Susan Sontag una delle più influenti intellettuali americane della sua epoca, nelle sue riflessioni sulla fotografia scriveva: «La fotografia è diventata uno dei principali meccanismi per provare qualcosa, per dare una sembianza di partecipazione».

Investire su brand autentici e trasparenti

Quello al quale stiamo assistendo è un profondo cambiamento nelle società che hanno a lungo considerato immagini, video e audio come la prova più certa che qualcosa sia accaduto realmente lasciando la “presunzione di veridicità” della signora Sontag sepolta nel passato.

Un periodo, però, nel quale  per le aziende i loro brand è utile prevedere una profonda revisione delle proprie strategie comunicative, con i contenuti che da soli non bastano più e l’obiettivo – sempre crescente – di coniugare credibilità, innovazione e flusso di notizie. Certamente può rappresentare un investimento vincente trasformarsi in editori, puntare a diventare una media company.

Attenzione però “Al crescere della credibilità aumenta la percezione della reputazione aziendale, da sempre, il più importante degli asset. Ma guai a tradire, ingannare o far cadere in errore chi ti sta dando fiducia. Il danno potrebbe essere irrimediabile e non è detto che il web abbia davvero la memoria corta” mette in guardia le aziende e i loro brand la professionista della comunicazione Emanuela Goldoni.

Nell’era dell’IA, diventa essenziale costruire e preservare una reputazione solida, poiché il pubblico attribuisce un valore sempre maggiore al mittente rispetto al singolo messaggio. Le aziende devono investire nella costruzione di brand autentici, trasparenti e in grado di comunicare in modo efficace.

Le aziende e i loro brand non possono più basare la loro reputazione esclusivamente sulla qualità o sulla veridicità del contenuto prodotto, ma devono concentrarsi sulla costruzione di un brand di valore, anche per quanto riguarda la comunicazione.

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