normative e innovazione

L’impatto economico di DMA e DSA: i rischi per le PMI che l’Ue non ha calcolato



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Le autorità globali – Ue in prima linea con DMA e DSA – intensificano la regolamentazione delle big tech per proteggere consumatori, privacy e concorrenza. Mentre le sanzioni multimilionarie sembrano poco incisive rispetto ai guadagni delle aziende, emerge un dibattito sull’efficacia e sui costi delle normative, specialmente per le PMI e l’innovazione

Pubblicato il 8 feb 2024

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione



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Un grande attivismo caratterizza le autorità nazionali e internazionali che si occupano della tutela del consumatore, della concorrenza, della privacy: nel mirino ci sono le aziende big tech.

Ma perché il mercato digitale è divenuto oggetti di tanta attenzione regolatoria? E, soprattutto, le strategie di regolamentazione adottate da enti come l’Unione Europea, la Federal Trade Commission e altre autorità globali, sono davvero efficaci nel promuovere un ambiente competitivo e innovativo, specialmente in relazione alle PMI?

https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/adeguarsi-al-digital-markets-act-le-strategie-di-amazon-google-meta-e-apple/

Proviamo a offrire una panoramica complessiva dell’attuale scenario di regolamentazione digitale e delle sue conseguenze economiche.

Limitare il potere delle big tech: primato e limiti dell’Ue sul piano normativo

La Federal Trade Commission guidata da Lina Kahn e le autorità europee, altri attori importanti a livello internazionale, come Cina, Regno Unito, Giappone, agitano gli strumenti a disposizione per limitare il potere di mercato di big tech. Anche le autorità giudiziarie sembrano coinvolte: cause importanti, come quelle sollevate da Epic per rompere l’oligopolio Google-Apple sulle piattaforme di accesso e di pagamento, segnano un indebolimento delle posizioni dominanti sul mercato internazionale esercitate dai cosiddetti gatekeeper, ossia dalle piattaforme che assicurano l’accesso ai servizi di rete[1].

Sul lato normativo l’Unione Europea primeggia: essa muove in direzione del mercato unico europeo, e questo è un obiettivo ambizioso ma straordinariamente importante. Forte di questo punto di appoggio indiscutibile, la Commissione ha continuato sulla strada della costruzione normativa. Dove la differenza tra costrizione e costruzione, purtroppo, è per forza di cose sfumata. L’impostazione di base del nuovo impianto normativo dell’Unione si basa su pochi presupposti noti. Le norme precedenti sono considerate insufficienti, poiché nuovi aspetti sono emersi con forza tale da mettere in discussione la giurisprudenza classica, e tra questi in particolare: la dimensione delle aziende, l’interazione tra consumatore e produttore dei servizi digitali, l’appropriazione delle informazioni da parte del produttore, la natura two-sided di molti servizi di rete.

La consapevolezza strategica alla base della costruzione normativa europea è sempre stata quella che la norma europea serviva ad armonizzare le norme nazionali: un processo faticoso, ma utilissimo: la vera chiave del successo economico europeo, ossia la costruzione, passo dopo passo di un mercato unico. Ossia di un mercato competitivo ampio, in grado di affrontare la globalizzazione da una posizione di forza.

I limiti di quella costruzione del mercato unico attraverso l’armonizzazione sono la lentezza e l’incertezza del risultato, specie sui dossier o sui settori in cui gli interessi politico/partitici nazionali sono particolarmente sensibili, come si vede oggi con gli agricoltori.

Perché il digitale è diventato oggetto di attività regolatorie incalzanti

Ma a differenza di altri settori che domandano assistenza perché non producono più margini in grado di assicurare sufficienti investimenti (si pensi all’acciaio), il digitale non ha alcun problema di crescita, non ha incertezze strategiche. I settore ha sofferto sulla catena delle forniture, per effetto dello shortage dei chip, di cui però oggi non c’è più traccia e non certo per merito delle colossali mobilitazioni di risorse dei Chips Act transatlantici. Eppure, il digitale sta diventando l’oggetto di attività regolatorie incalzanti.

Di giugno 2017 è la multa di 2,42 miliardi di euro della Commissione europea contro Google per abuso di posizione dominante nella pubblicità. Nel 2018 la Commissione ha sanzionato Google per 4,34 miliardi di dollari per abuso di posizione dominante nel mercato dei sistemi operativi con Android. Le autorità nazionali si sono mosse anch’esse su scala inferiore, in Germania contro Google, mente nel 2019 la sanzione è venuta da Gibmedia in Francia. In Italia le sanzioni hanno colpito Amazon per 1.128 milioni per discriminazioni nei servizi di logistica, in Spagna l’obiettivo nel 2023 si è stornato su Google e sull’abuso nei diritti di autore.

C’è anche chi osserva che un conto è sanzionare con ammende record e un altro conto e farle pagare: i processi si allungano negli anni e spesso non si concludono con conferme delle sanzioni irrogate. Anche se le sanzioni fossero pagate esse si confrontano con i guadagni: secondo un recente calcolo, Alphabet, Amazon, Apple Meta e Microsoft hanno ricevuto nel 2023 circa 3,04 miliardi di dollari di multe per aver violato le leggi sui due lati dell’Atlantico. E’ stato calcolato che quell’ammontare di multe potrebbe essere pagato con i guadagni dei primi sette giorni e tre ore del 2024.[2]

Apple preoccupata per gli effetti del DMA

Anche se nelle relazioni sui rischi “regolatori” le grandi aziende segnalano quelli connessi all’entrata in vigore delle norme europee, queste costituiscono solo una parte dei rischi connessi al contesto giuridico e istituzionale internazionale in cui operano. Nel FORM 10 K che le aziende devono presentare alla SEC per evidenziare tra le altre cose i rischi del loro business, Apple sembra la più preoccupata degli adeguamenti imposti dal DMA : “La Società prevede di apportare ulteriori modifiche aziendali in futuro, anche a seguito di iniziative legislative che incidono sull’App Store, come l’EU Digital Markets Act, che la Società è tenuta a rispettare entro marzo 2024, o leggi simili in altre giurisdizioni. Le modifiche hanno incluso il modo in cui gli sviluppatori comunicano con i consumatori al di fuori dell’App Store riguardo ai meccanismi di acquisto alternativi. I cambiamenti futuri potrebbero anche influenzare ciò che la Società addebita agli sviluppatori per l’accesso alle sue piattaforme, come gestisce la distribuzione delle app al di fuori dell’pp Store e come e in che misura consente agli sviluppatori di comunicare con i consumatori all’interno dell’App Store in merito a meccanismi di acquisto alternativi”.[3]

La riorganizzazione di App Store

La riorganizzazione di App Store, è già in corso. Nel difendersi dai regolatori e dalle richieste degli sviluppoatori di app, come EPIC, Apple si appella sempre alla sicurezza del suo ambiente, che le nuove norme e le iniziative giudiziarie metterebbero a repentaglio. La nuova offerta su cui sembra muoversi l’azienda per rispondere alle richieste della Commissione, sarebbe una opzione. O continuare a pagare il 30% delle vendite su App Store, oppure optare per un 17% sulle vendite più un ulteriore mezzo euro per ogni download che oltrepassa il milione/anno. Molti, facendo i conti, trovano che l’offerta di Apple è peggiorativa rispetto allo status quo.

Quale che sia, la proposta di Apple sarà valutata dalla Commissione dopo il 7 marzo, ma i commenti sono espliciti: “Questo non può essere ciò che intendeva la Commissione europea perché non cambia le dinamiche fondamentali”, ha affermato David Heinemeier Hansson, uno dei fondatori di Hey.com. “Apple ha reso le disposizioni così velenose e l’asticella così alta che è chiaro che nessuno dovrebbe mai usarle.”[4]

Se poi la scelta di Apple fosse quella di splittare l’App Store in due mondi diversi, uno per l’Europa e un altro per il resto del mondo, si creerebbe un precedente pericoloso: la via del frazionamento verrebbe resa disponibile per ogni regolatore che volesse esibire il proprio potere di condizionamento, rendendo farraginosa ed inefficiente l’intera filiera, con un danno significativo per la stessa Apple, che guadagna sulla estensione del suo mercato, il più possibile omogeneo e globale.[5]

La concorrenza tra le grandi piattaforme non manca

D’altra parte la concorrenza tra le grandi piattaforme non manca, in certe aree è intensa. Lo è sul mercato della pubblicità, lo è in alcune nicchie tecnologiche che possono diventare importanti, come i visori per la realtà virtuale. Qui Meta e Apple si fanno concorrenza: Vision Pro di Apple, molto performante anche perché segue i movimenti dell’occhio e quindi concentra la resa ottica in quell’area con risparmio di energia, costa 3.500 dollari, contro il prezzo assai più contenuto del Meta Quest3 che ne costa circa 500. La concorrenza, come si vede esiste, ma l’interesse di Meta è anche che l’interesse del pubblico si concentri su questi oggetti nuovi, per allargare non solo la vendita dell’hardware, ma anche per allargare l’accesso al metaverso, la gallina dalle uova di coccio (per ora) di Meta[6].

Gli obiettivi e l’efficacia degli strumenti normativi

L’attenzione europea è volta a tre obiettivi: aumentare la competizione, proteggere i dati personali da un utilizzo da parte dei gatekeeper, limitare l’espansione delle piattaforma americane in Europa.

Anche per questi motivi, in particolare per quest’ultimo motivo, la Cina ha adottato un sistema di regolazione fortemente improntato alla logica interventista dell’Unione Europea[7], pur avendo condizioni strutturali assai diverse sotto il profilo del ruolo delle aziende di stato e della libertà di impresa.

Ma questa affinità tra politiche europee politiche cinesi in materia di mercati e servizi digitali rafforza le preoccupazioni di chi teme che l’eccessiva regolazione finisca per penalizzare non tanto i getekeepers, ma proprio le PMI che dovrebbero crescere e sviluppare la propria capacità innovativa in Europa.

Nonostante la grande attenzione al digitale che da anni la Commissione porta avanti per promuovere il mercato unico e il posizionamento dell’industria europea, gli investimenti nelle start up rimangono limitati sia rispetto agli Stati Uniti, sia rispetto alla Cina. E questo nonostante il posizionamento favorevole dell’Europa nell’interscambio commerciale.

La tavola1 propone un dato sorprendente: in termini di interscambio l’Unione europea è di gran lunga non solo la prima area per volume di import/export di prodotti e servizi ICT, ma è anche l’area con maggiore avanzo di bilancia commerciale.[8]

Tavola 1. Anno 2019. Esportazioni ed importazioni di beni e servizi ICT (fonte Swedish Enterprise su dati OCSE)

I costi della regolazione

Se è vero che i giganti del web sono localizzati negli Stati Uniti, l’intero settore ha comunque dimensioni colossali nell’Europa a 27. Si tratta di un settore fortemente integrato dal punto di vista tecnologico e finanziario con gli Stati Uniti. Questo fatto solleva quindi un quesito di fondo: ha un senso la scelta dell’Europa di considerare strategico l’obiettivo di disaccoppiare lo sviluppo dell’ICT europea da quello degli Stati Uniti? Non sarebbe meglio coordinare strettamente la regolazione, in particolare puntare all’unificazione effettiva del mercato intraeuropeo, per consentirgli di acquisire una dimensione tale da potere esprimere compiutamente le proprie potenzialità inn sinergia con gli Stati Uniti? Non sarebbe più utile puntare all’avvicinamento tra le due grandi aree di mercato, di ricerca e di investimento transatlantiche, avvicinandole più di quanto non si siano avvicinate le aree transpacifiche?

Le principali obiezioni sollevate dalle nuove norme

L’analisi svedese che abbiamo presentato in Tavola 1 pone l’accento sulla competitività del settore, uno degli obiettivi principali dichiarati dal legislatore europeo. Vediamo le principali obiezioni. Le norme insistono in buona misura sullo stesso settore economico, creando sovrapposizioni giurisprudenziali che possono creare difficoltà interpretative e soprattutto applicative, provocando elevata conflittualità e innumerevoli ricorsi. Abbiamo visto quanto durino le cause civili non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti: la durata dei processi è un forte incentivo per i grandi operatori a sostenerne il costo, dal momento che gli interventi correttivi vengono rinviati nel tempo e che ciò accade in un mondo che cambia, per il progresso tecnico, a rapidità irraggiungibile dal potere regolatorio e sanzionatorio.

Molte delle nuove regole pongono limitazioni alla protezione dei segreti industriali e della proprietà intellettuale: un terreno minato per chi abbia a cuore la promozione dell’innovazione e la mobilitazione della ricerca.

L’esenzione di intere classi di aziende, come nel caso del Digital Market Act e del Data Act, crea discriminazioni che indeboliscono l’efficacia della norma e aprono la strada a frizioni con gli accordi internazionali sul libero scambio, sottoscritti in sede World Trade Organisation.

Nelle valutazioni di impatto proposte dalla Commissione, non viene considerato l’effetto che la complessità delle norme e della loro applicazione produce in termini di costi di transazione e di oneri amministrativi.[10] Un esempio eloquente è la valutazione che un’impresa investita dai nuovi adempimenti dell’Artificial Intelligence Act riesca ad impratichirsi degli adempimenti in tre minuti. Commentano gli svedesi non senza ironia “forse questo può essere vero per alcune aziende in Germania, ma non sarà il caso di molte aziende distribuite tra i paesi dell’Unione”.[11]

L’Alleanza Europea delle PMI Digitali (European SME Alliance) stima i costi per l’adozione delle soluzioni AI ad alto rischio intorno ai 7.000 euro. Ma mettere in campo un sistema manageriale adeguato alle esigenze di qualità dell’intelligenza artificiale può costare dai 193.000 ai 330.000 euro, mentre i costi della certificazione fornita da terze parti possono essere superiori.

Secondo lo studio svedese, l’effetto delle norme potrebbe essere quello di accrescere le difficoltà e i costi delle imprese europee.

Il tema, visto in una prospettiva schumpeteriana di innovazione come processo economico-culturale e non solo tecnologico, ci porterebbe a considerare la prospettiva del mercato unico, ossia dell’abbattimento delle barriere all’ingresso, come l’impegno più importante delle autorità sovranazionali. E’ la possibilità di sfruttare su una scala adeguata le innovazioni ciò di cui l’imprenditore innovativo ha bisogno, in particolare se è a capo di un’impresa di piccole dimensioni. I costi di transazione, i costi amministrativi, i costi burocratici (fiscali, legali, contrattuali, regolatori) sono spesso insostenibili per realtà di piccole dimensioni. Le risorse necessarie per superare quelle barriere vengono sottratte agli investimenti in innovazione.[12]

Ma sono proprio quelle risorse che mancano all’Europa: risorse finanziarie, talenti, competenze, facilità di accesso ai dati.[13]

Conclusioni

Regole sì, quindi, ma soprattutto regole condivise, regole tali da creare un campo di gioco competitivo comune, un terreno livellato per consentire gli investimenti nelle start up innovative, ponendo attenzione ai costi delle PMI, in particolare nella loro fase di sviluppo iniziale. E, infine e soprattutto, perché non concentrare le risorse nello sviluppo delle capacità delle scuole e delle università di sfornare personale adeguatamente preparato per rispondere alla domanda di un settore che esprimerà comunque in larga misura la domanda di lavoro futura?

Note

  1. ) Si veda dello scrivente, Antitrust, la lotta contro le Big Tech ora unisce Ue e Usa, Agenda Digitale, 16 gennaio 2024.
  2. ) Richie Koch, Big Tech has already made enough money in 2024 to pay all its 2023 fines, Proton Blog, January 8, 2024.
  3. ) Apple, Annual report on Form 10K 2023 10-K.
  4. ) Tripp Mickle, Adam Satarino, Apple Has a New Plan for Its App Store. Many developers Hate It. The New York Times, Febrary 1, 2024.
  5. ) Michela Rovelli, Perché l’App Store dell’iPhone sta per cambiare completamente dopo 17 anni, Corriere della Sera, LOGIN, 21 gennaio 2024.
  6. ) Salvador Rodriguez, Meta Welcomes Headset War With Apple, The Wall Street Journal, January 28, 2024.
  7. ) Aifang Ma, A comparative Perspective of the Antitrust Regulation of the Digital Economy i n Europe and China, Schuman Paper n. 730, December 12 th, 2023.
  8. ) Swedish Enterprise, cit.
  9. ) Spotify, The DMA Means a Better Spotify for Artists, Creators, and You, January 24th, 2024.
  10. ) Swedish Enterprise, New regulations in Europe’s digital economy. Design, structure, trade and economic effects. June 2023
  11. ) Ivi.
  12. ) Swedish Enterprise, Digital innovation and digital innovation processes. IPR aspects on how to harness innovation, December 2023.
  13. ) European Digital SME Alliance, AI Act Open Letter. Supporting AI Innovators, 2022.

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