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Netflix, l’arma segreta sono i dati degli utenti: ecco perché



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Netflix e le altre piattaforme digitali, in possesso di strumenti atti a tracciare il comportamento dei singoli utenti, hanno un vantaggio enorme sui media tradizionali, imbrigliati da vincoli e rigidità che dovrebbero essere superati per bloccare l’erosione di utenti e ricavi

Pubblicato il 10 ago 2023

Luciano Daffarra

C-Lex Studio Legale



mercato televisivo - streaming

Lo scorso 28 luglio, il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo dal titolo: “In che modo gli algoritmi e la tecnologia di Netflix alimentano il suo successo: i dati su chi guarda cosa e per quanto tempo, influiscono su tutto, dai consigli sulle visioni al rinnovo delle serie.”[1]

Il pezzo giornalistico, oltre a fornire numerosi riferimenti circa l’impiego da parte del colosso dell’entertainment di algoritmi proprietari capaci di analizzare i dati riguardanti gli interessi e le scelte dei propri abbonati, riferisce informazioni utili a comprendere le strategie dell’impresa statunitense nel prossimo futuro.

Secondo quanto rende noto l’articolo, Netflix sarebbe in possesso degli strumenti atti a tracciare i singoli utenti, conoscendo ogni film o serie da essi vista, in tutto in parte, il luogo da dove ogni accesso viene effettuato, quali terminali vengano utilizzati a tale scopo e in che modo ciascuno abbia effettuato la navigazione sul menu della piattaforma per giungere all’opzione di proprio gradimento[2].

Di contro, le learning machines di cui dispone la piattaforma digitale non inciderebbero in alcun modo sui nuovi prodotti da realizzare, opzione questa che farebbe capo al team di persone ai vertici dell’azienda, al pari della sua strategia commerciale, basata in maniera rilevante sui contenuti concepiti e sviluppati dagli sceneggiatori di Hollywood. Verso questi ultimi l’azienda di Los Gatos in California si dimostra favorevole al raggiungimento di soluzioni concordate al fine di fare cessare lo sciopero da tempo in corso per l’adeguamento della remunerazione loro spettante, allontanando in tal modo dall’attuale scenario conflittuale la più volte ventilata ipotesi della stesura dei testi delle future serie televisive facendo leva sull’IA generativa.

L’impiego dell’IA nel settore creativo delle produzioni audiovisive

Quello dell’impiego dell’IA nel settore creativo delle produzioni audiovisive non si presenta peraltro come un argomento nuovo, alla luce di ciò che si sta verificando nel settore del doppiaggio e in quello delle c.d. opere trasformative e neppure possiamo seriamente supporre che la questione non si dovrà porre nuovamente in futuro, in considerazione del fatto che la gran parte del sistema economico globale, in tempi non lontani, si baserà sugli algoritmi degli apparati di intelligenza artificiale, modificando radicalmente la vita di noi tutti.

I brevi spunti che abbiamo tratto dall’interessante articolo pubblicato dal Wall Street Journal non si limitano a quanto è stato qui riportato in merito alla forza e alle potenzialità di Netflix, andando anche a toccare il successo delle produzioni più note al pubblico e altre considerazioni sulla gestione dell’azienda. Purtuttavia, tali cenni aprono alla mente una serie di riflessioni che tendono a espandersi rivolgendosi a quanto avviene in Italia e nell’Unione Europea.

Cosa succede in Italia e Ue

Se, come è assodato, nel settore audiovisivo – per stabilire il valore commerciale di un film o di una serie – è necessario conoscere il pubblico cui tali prodotti si rivolgono, ci domandiamo quindi se esista un’equazione capace di mettere in relazione i dati raccolti da una piattaforma digitale che offre contenuti secondo lo schema sintetizzato nell’acronimo atawad, con quelli che si possono desumere per l’audience dell’emittenza televisiva.

Sotto questo profilo, la lettura del documento dell’AGCOM: “Conclusione della consultazione pubblica avviata con Delibera 262/22/CONS”, allegato “A” alla Delibera 43/23/CONS del 22 febbraio 2023, relativa al “processo di razionalizzazione dei sistemi di rilevazione degli indici di ascolto”, ci pone di fronte a un insieme di informazioni riguardanti le posizioni espresse dai delegati dei diversi stakeholder dell’industria dei media italiana, le quali spesso appaiono fra loro non compatibili o non convergenti avuto riguardo sia al perimetro di rilevazione dei dati di ascolto, che agli aspetti metodologici da adottare per la loro acquisizione.

Se, infatti, vi è convergenza nell’affidare a un unico soggetto[3] la rilevazione dei dati di ascolto, vi sono ostacoli oggettivi (il superamento dei sistemi di rilevazione intesi in senso tradizionale, es. Auditel) e ineludibili esigenze di inclusione nel panel di indagine, di operatori del mercato degli OTT, dei servizi media a richiesta, oltre che delle piattaforme di video-sharing, soggetti tutti che saranno inclusi nella misurazione pubblicitaria nel corso del prossimo anno, secondo le prescrizioni del Digital Market Act[4].

Nell’ambito della consultazione sopra ricordata, sono emerse peraltro voci discordanti circa l’ampiezza della raccolta dei dati da affidare alla JIC, soprattutto se sia opportuno passare da un sistema di rilevazione incentrato sui singoli mezzi di diffusione a un sistema di acquisizione dei dati consumer-centric, fondato sulla profilazione dei consumatori, elementi questi – con tutte le inerenti criticità, privacy inclusa – che l’Authority ha analizzato e passato in rassegna approfonditamente, ma che si traducono inevitabilmente in un’ampia serie di opzioni e di variabili, le quali non sembrano potere trovare un minimo comune denominatore fra tutti gli operatori coinvolti, almeno nel breve – medio termine.

D’altronde, il sistema televisivo, che si basa ancora su un palinsesto immodificabile dagli utenti, con una forte componente di affollamento pubblicitario[5], e si avvale di strumenti di determinazione del risultato dell’investimento pubblicitario fondato sul GRP[6], senza disporre di algoritmi in grado di determinare tendenze, gusti, scelte precedenti e successive di ogni utente, e tantomeno di personale che effettui costantemente il monitoraggio dei contenuti offerti per esprimere giudizi e critiche immediate (tag) su quanto essi vedono[7], appare difficilmente in grado di pervenire alla creazione di sistemi di rilevazione che possano essere non solo validi per l’intero sistema dei media audiovisivi, ma soprattutto trasparenti e completi in maniera tale da evitare posizioni di maggiore favore per uno o più dei soggetti interessati dalle rilevazioni.

L’impatto dell’inserimento della pubblicità nella programmazione delle piattaforme

In questo contesto, la scelta di talune piattaforme digitali (oltre che dei giganteschi siti web detentori dei motori di ricerca e di apparati di intelligenza artificiale generativa) di inserire la pubblicità nella propria programmazione[8], ponendo le condizioni per dare maggiore certezza agli investitori circa le potenzialità del servizio offerto e del raggiungimento dei bisogni degli utenti, appare un ulteriore aspetto che andrà valutato sotto il profilo concorrenziale.

Chi dispone di un numero di abbonati distribuiti worldwide che, oltre a corrispondere un canone per la visione nell’area di geolocalizzazione, potrebbe infatti disporre di politiche di vendita degli spazi pubblicitari tese a porre fuori dal mercato altri operatori, ovvero ridurre ancor più la loro fetta di mercato che nel tempo diverrà vieppiù marginale per effetto delle caratteristiche intrinseche degli atawad, i quali appaiono più flessibili nell’offerta di prodotti al pubblico di riferimento.

Inoltre, questa ulteriore opportunità di incrementare i ricavi per i detentori di piattaforme web di dimensioni globali riduce notevolmente la capacità competitiva e l’offerta di prodotto da parte dei broadcaster tradizionali, tanto da costringerli a una programmazione rivolta a contenuti di entertainment in gran parte slegati dalla diffusione di film e di serie di nuova produzione, assai costose, così da incidere negativamente sull’impatto del proprio brand nel mercato dei media, a causa dell’impoverimento dell’offerta di produzioni da prime time di sicuro successo.

Questa situazione di indebolimento dei broadcaster della televisione digitale terrestre rispetto alle piattaforme OTT trova ulteriori limitazioni nel sistema vigente delle c.d. windows, cioè negli intervalli temporali che devono intercorrere fra lo sfruttamento cinematografico e i successivi passaggi su altri canali di sfruttamento che anticipano quello televisivo[9]. Pur essendosi provveduto a regolare con il c.d. “Decreto Franceschini”, vigente dal 3 maggio 2021, il periodo di protezione a favore delle sale cinematografiche dei film che godono di finanziamenti a carico dello Stato, elevandolo – salve specifiche eccezioni – a 90 giorni, il problema del c.d. “day and date” cui fanno sempre più di frequente ricorso le piattaforme digitali c.d. “Over The Top” (OTT),[10] si pone come ulteriore ostacolo per le emittenti televisive, le quali sono costrette ad attendere che le diverse forme di sfruttamento dell’opera filmica abbiano avuto luogo prima di poterla pubblicare sulle loro emittenti[11].

Conclusioni

In conclusione, il divario fra le piattaforme digitali e gli operatori di altri servizi di messa a disposizione del pubblico di contenuti protetti sembra allargarsi, ponendo le condizioni per una progressiva erosione del mercato dei media tradizionali, i quali – per rinnovarsi – dovranno, da un lato, sviluppare nuovi modelli di business basati sui terminali mobili e, dall’altro, modificare i vincoli e le rigidità che trovavano ragione in un sistema mediatico totalmente differente da quello attuale.

Note


[1] L’articolo, a firma del giornalista Christopher Mims porta il seguente titolo originale: “How Netflix’s Algorithms and Tech Feed Its Success – Data on who watches what, and for how long, affects everything from recommendations to series renewals

[2] Questo non contraddice il fatto che più dell’80% delle serie e film di Netflix vengano trovati dagli utenti utilizzando il sistema di raccomandazione di Netflix, aiutandoli a identificare contenuti che essi potrebbero non avere scelto. Da “Wired” – “This is how Netflix’s top-secret recommendation system works” di David Giesbrecht: https://www.wired.co.uk/article/how-do-netflixs-algorithms-work-machine-learning-helps-to-predict-what-viewers-will-like

[3] Il c.d. “JIC (Joint Industry Committee), composto da proprietario dei media – agenzia – inserzionista.

[4] Per un esame della materia si confronti:

[5] Si tratta comunque di un sistema, quello dei servizi AVMS, regolato attualmente dal Decreto Legislativo 8 novembre 2021, n. 208, che include precisi limiti di raccolta e di diffusione dei messaggi pubblicitari trasmessi (https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/product-placement-verso-lautoregolamentazione-per-produttori-emittenti-e-concessionarie/), l’obbligo di programmazione e di investimento in opere europee, oltre a prevedere limitazioni nei contenuti e negli orari di trasmissione di programmi per minori e adulti.

[6] Ci riferiamo al Gross Rating Point che è il metodo matematico per stabilire la pressione effettiva dell’investimento pubblicitario diretto a una determinata audience. Questi dati sono integrati dal CPRP (Costo per Rating Point), o in alternativa dal CPM (Costo per Mille) che indica il costo che deve essere affrontato per raggiungere un target di mille persone.

[7] Ci riferiamo a quanto avviene sulla piattaforma digitale di Netflix, a titolo esemplificativo.

[8] Netflix ha iniziato ad offrire un abbonamento “Base” con inserimenti pubblicitari nel mese di novembre 2022, a un prezzo mensile di € 5,49 e un massimo di circa 4 minuti di pubblicità / ora, modificando successivamente l’offerta dei propri abbonamenti. Vedi Wired: https://www.wired.it/netflix-piano-base-senza-pubblicita-cancellato-stati-uniti-regno-unito/

[9] Sul tema: https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/piattaforme-digitali-e-nuove-finestre-cosa-restera-del-cinema/ Si segnala, sul tema della c.d. “tenitura” dei film in sala una interessante sentenza della Corte di Appello di Milano, Sez. III, in data 13 marzo 2023 R.G. 996/2022

[10] Sul punto vi è ampio cenno nel documento di cui alla nota 10.

[11] Secondo la ricercar svolta dalla Entertainment Strategy Guy dell’aprile 2023, i film che hanno successo in sala, ottengono migliori risultati sulle piattaforme in streaming (si veda): https://cineguru.screenweek.it/2023/02/le-serie-e-i-film-streaming-che-hanno-floppato-37067/

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