sanità digitale nel PNRR

Un nuovo modello di sanità per curare i cittadini nell’era post-covid: serve un “cambio di medium”

Il progetto del Ministero Salute e Agenas per riorganizzare il SSN sulla base del PNRR riflette una “cultura di transizione” nei modelli di servizi sanitari proposti e soprattutto nei paradigmi di cambio del medium in sanità. Ma serve anche una maggiore condivisione delle informazioni e nuove modalità di partecipazione

Pubblicato il 30 Nov 2021

Mauro Moruzzi

Dipartimento Trasformazione Digitale-Presidenza del Consiglio dei Ministri, Scuola di Welfare Achille Ardigò

Fornitori Sanità

“Modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel servizio sanitario nazionale”. È la sanità del PNRR. La bozza del documento AGENAS per riorganizzare il servizio sanitario nazionale sulla base delle indicazioni della missione cinque (M5) ma anche sei (M6) del piano nazionale per il rilancio del paese. Un tentativo serio di rispondere alla domanda di rapida trasformazione del servizio sanitario nazionale con nuovi modelli e standard per gli “anni Venti” di attuazione del piano (2022-26).

Un lavoro impegnativo che qui valutiamo quasi esclusivamente sotto l’ottica di una strategia per l’accelerazione della trasformazione digitale della sanità italiana. Per quel “cambio di medium” del sistema salute di cui abbiamo parlato tante volte parafrasando una famosa espressione di Marshall McLuhan.

Una nuova Sanità territoriale, ecco il piano: come realizzarlo e risolvere i vecchi problemi

Un “cambio di medium” per la sanità italiana

Nella bozza del documento AGENAS si parla infatti diffusamente di NSIS, di nuovo servizio informativo per la sanità italiana ed è giusto partire concretamente da qui.

Direi anzi che il “cambio del medium” comporta come primo cantiere la progettazione di un nuovo servizio informativo di generazione post-Covid19. Sarebbe comunque impensabile mettere in pratica tutte le cose che sono contenute in questa bozza di documento e nel PNRR con il vecchio sistema dei flussi amministrativi SIS a forte valenza burocratica.

Già nel capitolo 2 del documento AGENAS il problema si presenta in tutta la sua consistenza. Nel capitolo 1 è invece indicato l’obiettivo strategico, la vision di tutto il progetto: lo sviluppo dell’assistenza territoriale del servizio sanitario nazionale. Di quell’assistenza che è mancata nei due drammatici anni di COVID19.

L’assenza di una medicina di comunità e di una valida assistenza primaria

L’assenza di una medicina di comunità e di una valida assistenza primaria che comprendesse la rete dei medici di famiglia è stato l’elemento catastrofico di tutta la situazione sanitaria 2020-2021. La medicina di base e di comunità, come per altro la continuità assistenziale e l’integrazione socio-sanitaria, sono state perfino ridondanti nei vecchi documenti di programmazione sanitaria. Ma erano formulazioni liturgiche, espressione di una visione ideologica del servizio sanitario riformato e universalistico. Il tasso di autoreferenzialità del sistema pubblico coniugato con la spending review del primo decennio del 2000 hanno fatto il resto.

Su questa primissima parte del documento voglio solo ricordare i tempi in cui con troppa leggerezza si decideva la chiusura dell’ospedaletto di campagna o di montagna pensando che quello sarebbe stato un successo di razionalizzazione della sanità regionale. Soltanto nella mia regione, l’Emilia-Romagna, sono stati chiusi a partire dalla fine degli anni ‘90 ben 32 piccoli ospedali con un disegno di programmazione, spesso osteggiato dalle comunità locali, che oggi non appare lungimirante.

Una nuova architettura del sistema informativo sanitario

Vengo al tema del “cambio del medium” e della trasformazione digitale. Nel capitolo 2. l’argomento trova la sua concretezza nel proposito di arrivare al più presto a una “stratificazione della popolazione” per condizioni di salute e demografiche dei territori, come strumento di analisi dei bisogni finalizzati alla programmazione e alla presa in carico dell’assistito.

Il documento AGENAS pone subito la necessità di avere questi modelli predittivi e di stratificazione della popolazione, ma essi non possono che derivare da una nuova architettura del sistema informativo sanitario. Per essere più precisi da un’architettura che ci fornisca a livello locale, regionale e nazionale dati reali di salute (Real Word Data) e non soltanto dati amministrativi.

C’è sempre qualcuno che si accontenta e che dice “beh non sappiamo utilizzare nemmeno i dati amministrativi, figuriamoci se siamo in grado di avvalerci di tutti i dati reali che provengono dalle visite specialistiche e dagli esami diagnostici e di laboratorio di tutti gli italiani contenuti nei FSE”. Ma sappiamo che questo modo di ragionare è sempre sbagliato e non ci porta verso l’innovazione.

Il documento giustamente associa la stratificazione della popolazione alla classificazione dei bisogni di salute e pone subito sul tavolo il problema di informazioni che devono provenire necessariamente dai fascicoli sanitari elettronici (FSE).

Se si vuole fornire un valido corredo di informazioni dematerializzate, real time, ai piani individuali assistenziali (PAI) e ai piani riabilitativi individuali (PRI) attraverso le centrali operative (COT) per la presa in carico del paziente, si deve avere a disposizione l’intera massa dei dati reali di salute suddivisa per ogni individuo e provenienti dalle piattaforme del fascicolo sanitario. Non c’è altra strada o scorciatoia.

E questo è essenziale non solo per la ‘stratificazione della popolazione’, quindi per sapere effettivamente di quali patologie soffrono o possono soffrire tutti gli italiani, ma anche per il monitoraggio dei fattori di rischio e la gestione integrata di patologie croniche e di situazioni complesse.

Verso la “medicina di popolazione”

Il documento in bozza, correttamente, dice che per essere elementi efficaci i servizi sanitari devono essere in grado di tutelare la salute della popolazione e non solo di coloro che richiedono attivamente una prestazione sanitaria o sociale. Aggiunge che tale approccio viene definito “medicina di popolazione”.

In sostanza, quello che vuole sottolineare è che la nuova sanità deve andare oltre la prestazione. E fornire servizi personalizzati, ‘sartoriali’ diremmo, basati sulla capacità di gestire la massa dei dati de-materializzati dei cittadini.

Stiamo parlando della conoscenza dei profili epidemiologici e dei relativi bisogni di salute della popolazione assistita che vanno gestiti attraverso le nuove piattaforme, quelle delle tecnologie informative di ultima generazione che associano DataLake e Blockchain. Piattaforme che dovranno comprendere gli indicatori relativi alla qualità dell’assistenza sanitaria, all’aderenza delle linee guida per patologie specifiche, al supporto dei programmi di sorveglianza. Tutto ciò nell’ambito del piano di potenziamento dell’assistenza territoriale.

In sostanza è richiesto un nuovo sistema informativo sanitario (NSIS) in grado di intercettare una valutazione olistica dei bisogni dell’individuo dal punto di vista sanitario E non solo: anche dal punto di vista socio-sanitario. Un sistema che a più livelli sappia quindi utilizzare le informazioni relative ai bisogni clinici assistenziali e sociali di ogni persona.

Quindi, “progetto salute” e  “progetto nuovo sistema informativo sanitario” non possono non andare di pari passo e forse, parafrasando di nuovo McLuhan, sono praticamente la stessa cosa.

Il progetto salute non è qualcosa di generico: riguarda la singola persona, la comunità locale, regionale e nazionale. La lezione del Covid è stata chiarissima. Nella definizione di questo progetto salute l’accesso ad un nuovo livello di Dati e Big Data da parte di tutti i soggetti del welfare sanitario è condizione essenziale.

Il nuovo protagonismo delle persone

Su questo punto il documento esaminato presenta però un limite che spero derivi soltanto dalla mia frettolosa lettura. Sottolinea l’importanza della partecipazione dei professionisti per tutta la durata della presa in carico, ma non fa cenno al nuovo protagonismo del cittadino assistito che ormai è di dominio pubblico e riempie le pagine dei giornali, non solo e non tanto con le cronache No Vax. E protagonismo e partecipazioni oggi significano condivisione paritetica di dati e informazioni, accesso alle fonti informative in rete.

Ormai le persone non accettano di essere curate, seguite dal punto di vista assistenziale, senza essere precisamente e puntualmente informate sulle terapie e sui programmi di salute; senza poter in qualche modo co-progettare – è un termine abusato ma veritiero – la risposta ai propri bisogni e alle proprie paure.

Co-progettare welfare sanitario sembra una parola grossa, quasi una fuga dal reale, ma in realtà è quello che ogni giorno noi tutti cerchiamo di fare quando interagiamo costantemente e criticamente con i medici e con le strutture del servizio sanitario.

Dopo il COVID19 sappiamo ancor più di ieri che ogni decisione inerente alla nostra salute è, per svariate e complesse ragioni, in un limbo di possibilità e criticità e che assenza e delega sono condizioni pericolosissime per ogni individuo che necessiti di cure.

Spesso questo aspetto – che come più volte ha ricordato il grande sociologo Achille Ardigò è una componente caratterizzante della sanità e della società moderna – si salda con le dinamiche di un cambio di paradigma nella gestione delle informazioni. L’empowerment della persona entra in rapporto di fatto competitivo con le competenze accumulate dell’organizzazione pubblica, con le informazioni scientifiche in possesso dei suoi professionisti. La triangolazione delle informazioni di salute tra cittadino, medico di famiglie e medico specialista (e potremmo aggiungere, operatore sociale) è la cellula informativa di base, il DNA, del NSIS a supporto di una medicina di comunità. La rete del FSE, nella sua estensione regionale e nazionale, è il grafo che raccoglie milioni di queste cellule informative. Un tessuto di comunicazione su cui può posarsi la nuova sanità partecipata e co-progettata.

Case di comunità e condivisione delle informazioni

Parlando a questo proposito delle “case di comunità”- capitolo 4 della bozza di documento – ovvero del luogo, della sede privilegiata per la progettazione-co-progettazione ed erogazione di interventi sanitari e di integrazione sociale, si coglie tutta l’importanza di poter far funzionare queste nuove strutture con sistemi a rete di alta condivisione delle informazioni: tra medici e cittadini (e operatori sociali) ma anche tra gruppi di persone interessate agli stessi problemi di salute e sofferenza.

L’incontro tra NSIS e le svariate forme di social network praticate dalla gente può avvenire appunto in questi ‘luoghi’ che possono essere anche virtuali.

Le centrali operative territoriali

Nel capitolo 7 si affronta inoltre il tema della progettazione delle centrali operative territoriali, le cosiddette COT che dovranno offrire strumenti per il tracciamento e monitoraggio delle transizioni da un luogo di cura all’altro e da un livello assistenziale all’altro.

Qui deve essere fornito il supporto informativo e logistico ai professionisti e alla rete dei medici di famiglia (medici di medicina generale e pediatri di libera scelta) e dell’infermiere di comunità. Un monitoraggio dei pazienti in assistenza domiciliare anche attraverso strumenti di telemedicina, con piattaforme di supporto per la presa in carico delle persone.

In sostanza, tutto il nuovo sistema che il PNRR prevede – dalla de-ospedalizzazione alla casa “come primo luogo di cura”- si basa sul supporto di queste centrali operative, di queste piattaforme che dovranno fornire non solo telemedicina e teleassistenza ma un sistema informativo connected care incentrato sul paziente e la comunità locale.

La stessa progettazione degli “ospedali di comunità” si basa sul supporto di nuovi flussi del sistema informativo sanitario NSIS da progettare. È scritto nel documento che l’ospedale di comunità dovrà essere costantemente alimentato da un sistema informativo per la raccolta, l’aggiornamento e la gestione dei contenuti informativi di comunità.

Si potrebbe però aggiungere – e questo il documento non lo dice – che la costruzione di queste informazioni comunitarie deve partire da una lettura dei Big Data in grado di generare, come nelle migliori esperienze e in particolare in quella bolognese, mappe di fragilità. Esse sono il frutto dell’applicazione di tecniche avanzate di intelligenza artificiale nella gestione dei dati di salute.

Purtroppo, in diversi capitoli si colgono ancora, qua e là, espressioni che sono un retaggio culturale del vecchio impianto amministrativo e top down della sanità italiana. Infatti, parte del documento è costruito sulla base di una “cultura di transizione” tra la vecchia sanità e il nuovo progetto di salute di comunità attento alla territorializzazione dei servizi richiesta dal piano nazionale di ripresa e resilienza. Anche la parte che riguarda il rifacimento del sistema informativo – e quindi del ‘cambio del medium’ – riflette questa ‘cultura di transizione’.

Il nodo dell’integrazione dei big data

Nel capitolo 14, espressamente riferito ai sistemi informativi, è posto il problema di come integrare l’enorme patrimonio di Big Data oggi disponibili nelle banche informative degli enti locali, dell’Inps e delle aziende sanitarie. SI parte dalla giusta constatazione che la sanità italiana detiene già oggi un enorme patrimonio di dati de-materializzati sia pure in formati diversi e raccolti e conservati in modo frammentario. Quasi certamente questa massa di dati è superiore alla mole di dati pro-capite di salute che possiedono gli altri paesi europei, con poche eccezioni.

Ma in questo capitolo il documento, dopo la corretta constatazione appena richiamata, non dà il meglio di sé perché rappresenta il sistema informativo della sanità italiana alla vecchia maniera. Una rete che dovrà collegare tutte le aziende sanitarie con tutti i cittadini e tutte le strutture sanitarie pubbliche e private, ma ancora concepita in termini di ‘rete di repository’, di contenitori di dati.

La rete eHealth di una sanità al tempo di Internet è un insieme di tanti nodi che producono e gestiscono dati specifici e in questo caso dati di salute. Ogni medico, ma anche ogni cittadino e ogni comunità locale, è un nodo che genera informazioni. Il grafo che raccogliere tutti questi nodi e tutti questi link è qualcosa di sempre più complesso e dinamico che va esplorato con le nuove macchine del Machine Learning della AI.

Il completamento del FSE

Nel documento AGENAS viene fatto un giusto richiamo al completamento del fascicolo sanitario elettronico e anche del profilo sintetico sanitario, spesso assente all’interno del fascicolo stesso. Si commette però l’inesattezza di scrivere che “il fascicolo deve costituire punto di accesso per il servizio sanitario nazionale delle prestazioni sanitarie e al contempo deve essere strumento di raccolta e di lavorazione dei dati per gli organi di programmazione regionale al fine di un miglioramento continuo della qualità dell’offerta“.

Il FSE è del cittadino; è il punto di raccolta di tutti i dati della sua storia clinica che dovranno essere rielaborati a livello individuale e della collettività con tecnologie di intelligenza artificiale, al fine di rendere condivisibili (sottolineo condivisibile) le informazioni di salute tra un medico e un assistito, tra un servizio sanitario e una comunità.

Conclusioni

Concludo dicendo che il documento proposto da AGENAS riflette un impegno di grande professionalità di questa importante struttura del SSN; assieme a un tentativo di prendere seriamente in considerazione una sanità territoriale e di comunità e di gettare le basi di nuovo modello di sanità per curare i cittadini nell’era post-COVID19.

Nello stesso tempo il documento – ma difficilmente poteva essere diversamente – riflette una “cultura di transizione” nei modelli di servizi sanitari proposti e soprattutto nei paradigmi di cambio del medium in sanità. Ciò che più si stenta a proporre è una nuova forma di condivisione delle informazioni tra sistema sanitario e cittadini e quindi nuove modalità di partecipazione del singolo assistito e della sua comunità di riferimento.

Si può ancora lavorare e bisogna farlo lungo quest’ultima prospettiva, come peraltro è stato proposto anche recentemente nei bei appuntamenti milanesi di AssinterAcademy di questo lungo autunno, che riflettono, anche tecnologicamente, il nuovo livello di discussione presente nei territori e nelle regioni.

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